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Gruppo dei Trenta, un club di banchieri annoiati che vuole togliere potere agli Stati

by La Redazione
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gruppo dei trenta, draghi

Roma, 13 feb – Pensate a una città, la nostra città. La vedete più spenta, intristita, semideserta. Nelle strade in cui in cui siete cresciuti il vuoto avanza inesorabile, portandosi dietro la sua triste scia di miseria. Non va affatto nelle aree periferiche. Qui fabbriche, officine e manifatture che hanno reso grande questa nazione sono state cedute a nuovi e spesso esotici padroni. Oppure inghiottite per sempre dal deserto industriale. Quelli bravi pretendono di insegnarci che il declino sia dovuto a una serie di “crisi”. Le cui responsabilità, ben lungi dall’essere imputabili alle manchevolezze della politica o all’imperfezione del modello capitalista, sarebbero figlie della colpa del singolo imprenditore, spesso complice involontario di un destino cinico e beffardo.

Il Gruppo dei Trenta, esclusivo club di banchieri annoiati

Oggi la pandemia offre ulteriori argomenti alle speculazioni, non esclusivamente concettuali, di molti analisti e centri di interesse. Tra questi si distingue per autorevolezza e capacità previsionali il Gruppo dei Trenta. Parliamo di un esclusivo circolo di banchieri privati, ex ministri, accademici internazionali, governatori di banche centrali e consulenti di fondi di investimento. Tra essi personalità quali Mario Draghi, Jacob Frenkel, Janet Yellen, Timothy Geithner e Domingo Cavallo.

Nel disinteresse dell’intero sistema mediatico, il Gruppo dei Trenta ha redatto di recente un rapporto che analizza le opportunità offerte dalla pandemia e delinea le politiche di intervento del post-emergenza. Il titolo, “Rivitalizzare e ristrutturare il settore industriale del dopo Covid – Interventi di politica pubblica“, rivela che i destinatari del discorso sono i capi di governo. Per ciò che riguarda l’Italia ed i suoi poliedrici conflitti di interessi, quindi, poteri in parte composti dalle medesime persone. E’ alquanto significativo però che gli stessi fanatici della indipendenza delle banche centrali da ogni controllo e indirizzo pubblico, a loro volta non provino alcuna riserva nel pretendere di dettare proprio ai vari esecutivi l’ortodossia della resurrezione. Vediamo in che modo.

Togliere potere agli Stati

Il rapporto lamenta in primo luogo l’eccessivo esercizio del potere in campo economico da parte degli Stati nazionali. E di converso uno scarso ricorso all’utilizzo delle competenze del settore finanziario privato. In tal senso caldeggiano con sottile propensione eversiva l’individuazione di nuovi contesti decisionali – evidentemente diversi dalle sedi istituzionali a ciò preposte dalla Costituzione – verosimilmente sottratti ai fastidiosi vincoli della rappresentatività.

Stante la scarsità di risorse disponibili, il rapporto del G30 invita i governi a non sostenere le aziende e i settori “già condannati al fallimento” ( forse proprio a causa degli sciagurati provvedimenti restrittivi degli ultimi 12 mesi?), anche per evitare ripercussioni sul comparto bancario privato. Di conseguenza viene suggerito di minimizzare il ricorso al sistema creditizio e agli aiuti in generale. Calibrando selettivamente gli interventi pubblici in favore delle sole realtà che saranno in grado di sopravvivere nella radiosa economia post-Covid. Ovviamente digitale, sostenibile, resiliente, flessibile ed eco-compatibile.

Con una freddezza che fa rimpiangere le lacrimucce della Fornero, gli estensori del Rapporto contemplano quindi la prospettiva di dover ricorrere a un certo grado di “distruzione creatrice” nel settore delle imprese. Non specificando tuttavia se tra le implicazioni collaterali del nobile piano sia stata presa in considerazione anche la rovina delle famiglie degli occupati. Nonché la perdita di competenze, tradizioni e probabilmente di vite umane.

Così il Gruppo dei Trenta spinge sul darwinismo sociale

D’altra parte il Gruppo dei 30 ha stabilito che i comparti attualmente in difficoltà siano affollati da milioni di imprese immeritevoli di aiuti. Parliamo delle cosiddette “aziende-zombie”. Un geniale espediente linguistico utile a ribaltare la percezione dei piccoli e medi imprenditori da vittime di questa crisi pilotata a sanguisughe. Allontanando così l’attenzione dai veri responsabili della catastrofe sociale ed economica in atto in tutto il mondo occidentale.

E come distinguere gli zombie dai buoni imprenditori? Ancora una volta la soluzione è nel rapporto: i governi, presuntivamente inadeguati alla gestione delle risorse emergenziali, dovranno ricorrere alla esperienza e lungimiranza di banche e società di consulenza con il relativo forziere di compensi.

Le uniche aperture verso obiettivi di tipo sociale sono subordinate al più rigoroso rispetto degli immancabili dogmi contemporanei. Quindi eco-compatibilità (gretinismo), digitalizzazione (controllo sociale), resilienza (obbediente rassegnazione) e flessibilità del mercato del lavoro (mercificazione dell’essere umano). Ai lavoratori delle aziende incriminate non resterà dunque che la speranza di essere accompagnati nel percorso di riqualificazione previsto per loro, verso i ruoli attualmente in voga. Immaginiamo si possa trattare del settore delle consegne di cibo e di acquisti on-line. Oppure in qualità di mansueti percettori di un reddito universale di mera sussistenza.

Giovanni Moscato

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2 comments

Sergio Pacillo 13 Marzo 2021 - 8:31

Una domanda fuori posto;
A che serve il coprifuoco contro il virus ?

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Sestolese 14 Marzo 2021 - 10:21

A un organo genitale maschile

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