Roma, 21 ott – Nonostante la grancassa celebrativa dei media mainstream, ormai tutti (tranne pochissime lodevoli eccezioni) ridotti ad un servilismo fantozziano, è evidente come il G20 straordinario organizzato da Mario Draghi si sia rivelato un flop. Nessun risultato concreto, solo tanta vuota retorica da parte di tutti i convenuti. L’unico punto sul quale è stato raggiunto un accordo di massima è l’impegno dell’Onu per evitare una catastrofe umanitaria con conseguenti massicci flussi di immigrazione incontrollata verso l’Europa.
D’altronde non poteva che finire in un nulla di fatto, visto che all’incontro sul futuro dell’Afghanistan non prendevano parte né chi attualmente ha il controllo del Paese, ovvero i talebani, né i presidenti di Cina e Russia, le due superpotenze egemoni in Asia Centrale.
Russia e Cina dialogano con i talebani
Di ben altro spessore diplomatico e geopolitico invece il summit che si è svolto ieri a Mosca e che ha visto la partecipazione dei rappresentanti di Russia e Cina ma anche delle principali potenze regionali quali Iran, India e Pakistan e di alcuni vicini paesi ex-sovietici (Kazakistan, Kirgikistan, Turkmenistan e Uzbekistan) oltre ad una rappresentanza di alto livello del governo talebano, guidata dal vice primo ministro Mullah Abdul Salam Hanafi e dal Ministro degli Esteri Ahmadullah Muttaqi.
L’attuale situazione afghana preoccupa in particolar modo la Russia, che teme un possibile espandersi del terrorismo islamista nelle repubbliche ex-sovietiche, e la Cina, vista l’importanza strategica di Kabul nel quadro della Belt and Road Initiative (Nuova via della Seta).
Tenere conto della nuova realtà
Nella dichiarazione congiunta di tutti i partecipanti al termine del summit si afferma la necessità di “tenere conto della nuova realtà, ovvero l’arrivo al potere dei talebani nel paese, indipendentemente dal riconoscimento ufficiale del nuovo governo afghano da parte della comunità internazionale”. Viene chiesto al governo afghano di “adottare politiche amichevoli nei confronti dei paesi vicini e rispettare i diritti di donne e minoranze religiose”. Si afferma inoltre che l’onere maggiore degli aiuti per la ricostruzione del paese “deve essere sostenuta dai Paesi i cui contingenti militari sono stati presenti in questo Paese oltre 20 anni”, un chiaro riferimento a Stati Uniti e alleati.
Il monito: l’Afghanistan non diventi base per gruppi terroristici
Il Ministro degli Esteri russo Sergey Lavrov ha dichiarato di riconosce “gli sforzi della nuova amministrazione afghana per stabilizzare la situazione dal punto di vista militare e politico” ma al tempo stesso mette in guardia i talebani sul non far diventare il paese una “base d’appoggio per gruppi terroristici quali Isis e Al-Qaeda”, ricevendo rassicurazioni a riguardo dal suo omologo afghano. Secondo l’inviato presidenziale russo per l’Afghanistan Zamir Kabulov è ancora presto per parlare di un riconoscimento ufficiale dei talebani (attualmente considerati come organizzazione terroristica in Russia), ciò potrà avvenire solamente quando “cominceranno ad essere all’altezza della maggior parte delle aspettative della comunità internazionale”.
L’unica certezza al momento sembra essere quella di un mondo sempre più multipolare, dove gli Stati Uniti sono destinati a perdere influenza a discapito dell’asse Cina-Russia e delle potenze regionali. L’Europa purtroppo ad oggi risulta non pervenuta.
Lorenzo Berti