A fronte di tutto questo, la situazione del Paese mediterraneo è sempre più disperata, nonostante Olli Rhen, commissario europeo per gli affari economici, dimostri un certo ottimismo, parlando di “ritorno degli investimenti” e “incoraggianti segnali di stabilizzazione”, semplicemente perché la contrazione del Pil ellenico nel 2013 sarà inferiore alle stime iniziali, -4% contro il -4,2% pronosticato. Ma intanto la situazione effettiva della Grecia resta drammatica, con una disoccupazione al 28%, che entro i prossimi tre anni arriverà al 34% secondo le previsioni (per capire l’entità del problema, basta tener presente che la disoccupazione durante il periodo della Repubblica di Weimar in Germania, questa non superò mai il 30%).
In questa situazione, l’Europa ha ulteriormente chiesto alla Grecia di chiudere due importanti aziende di produzione bellica, la Eas e la Elbo, sostenendo che esse costituiscono una voce di bilancio negativa per il Paese. Se è vero, come è anche vero che nel 2012 ben il 3% del PIL greco è stato speso in armamenti (quando la percentuale italiana è l’1%, quella americana il 4%) non sono state certo le imprese locali a beneficiarne in questi anni: sono infatti anni che la Grecia si rifornisce più o meno liberamente, da Germania (carri armati) e Francia (naviglio ed elicotteri), per non parlare delle armi leggere. Il fatto che l’asse franco-tedesco, pardon, l’Europa, chieda alla Grecia di smantellare le sue fabbriche di armamenti e non di ridurre il budget per la spesa militare, desta più di una perplessità sulla buona fede con cui la coppia Merkel-Hollande intende trattare la situazione ellenica, forse più inclini ad approfittare dei “saldi” che di essere d’aiuto.
Valentino Tocci
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