Bruxelles, 19 nov – Permanent Structured Cooperation, “PeSCo”: è con questo nome che prende il via la nuova cooperazione che rappresenta, di fatto, il punto di partenza per la creazione di un sistema integrato di difesa europea.
L’accordo è stato siglato lunedì 13 novembre, a Bruxelles, con la firma di Italia, Francia, Germania, Austria, Belgio, Bulgaria, Repubblica Ceca, Croazia, Cipro, Estonia, Finlandia, Grecia, Ungheria, Lettonia, Lituania, Lussemburgo, Olanda, Polonia, Romania, Slovacchia, Slovenia, Spagna e Svezia. Fuori Gran Bretagna, Malta, e Danimarca mentre Irlanda e Portogallo sono ancora intenti a completare l’iter di approvazione nazionale.
Questo è il “core”, altre nazioni potranno aggregarsi per il sostegno di progetti specifici senza però avere alcun potere politico. Dal punto di vista organizzativo, la Pesco sarà strutturata su due livelli: il “Council Level”, in qualità di organi di controllo politico-economico, ed il “Projects Level” composto dai progetti di cooperazione gestiti dagli Stati membri. Due sono anche i principali strumenti di governo, il Coordinated Annual Review on Defence (CARD) e L’Europa Defence Fund (EDF).
L’approvazione vera e propria arriverà però l’11 dicembre, con l’intento di avviare i primi progetti entro la fine dell’anno. Nel momento in cui la Pesco verrà approvata, ogni Paese membro dovrà presentare il proprio National Implementation Plan, in cui dovranno essere illustrate le modalità in cui intende rispettare gli obblighi previsti nella notifica.
L’alto rappresentante per la politica estera Ue, Federica Mogherini, ed il ministro italiano della Difesa, Roberta Pinotti, hanno definito il giorno della firma come “una giornata storica” per l’Europa. “Dopo 60 anni di attesa, in pochi mesi abbiamo fatto più lavoro e fatto più strada di quella compiuta in tutti i decenni precedenti. Abbiamo raggiunto un traguardo importante”, ha affermato la Pinotti, che aggiunge: “Sono molto contenta perché il percorso iniziato con una lettera a quattro ha avuto una adesione altissima, la stragrande maggioranza delle nazioni della UE ha firmato l’adesione alla Pesco”. Dello stesso tenore il tweet del portavoce ed il capo di gabinetto di Jean Claude Juncker: “La Bella Addormentata (del Trattato di Lisbona, ndr) si è svegliata”.
Si sono dovuti infatti aspettare 60 anni ed un insieme di eventi contingenti non comuni per raggiungere questo risultato. La Brexit, le ristrettezze finanziarie provocate dalla crisi economica e debitoria, L’instabilità nel mediterraneo ed un nuovo isolazionismo americano dell’era Trump sono tutti fattori che hanno indotto i Ventitre a rilanciare la cooperazione militare. Un evento prima d’ora inimmaginabile, soprattutto dovuta alla fortissima opposizione britannica.
Ma, come era prevedibile, non sono tutte rose e fiori. L’evento è stato commentato con forte entusiasmo dalle istituzioni ma è anche stato accompagnato da dubbi e polemiche. Cerchiamo di analizzare la questione seguendo due filoni principali: quello politico e quello industriale.
Le reazioni della politica
Tre sono i temi caldi della politica che infiammano gli animi, soprattutto quelli delle forze più sovraniste: la possibilità di un esercito di difesa europeo, i rapporti con la Nato ed i rapporti con la Russia.
Alcune fonti hanno azzardato che l’esercito unico europeo potesse andare a sostituire gli eserciti nazionali nel tempo, ma per fortuna l’ipotesi è al momento scartata. L’Ue non parla ufficialmente di un’unione di difesa, ma di una componente militare il cui scopo è “sviluppare congiuntamente capacità di difesa e renderle disponibili per operazioni militari dell’Ue”. I principali movimenti euroscettici si sono focalizzati su questo punto trascurando gli altri due aspetti molto più importanti ed in definitiva realistici.
La Pesco infatti non è un primo passo verso la costruzione di un alternativa alla Nato, che molti suoi sostenitori definiscono “l’alleanza militare più importante dell’Occidente”, ma al massimo un organismo complementare. Se ne trova riscontro anche in alcune dichiarazioni rilasciate da Marco Zanni, europarlamentare del gruppo Europa delle Nazioni e della Libertà (ENF).
Interrogato sulla possibilità di una maggiore dipendenza dagli Stati Uniti l’eurodeputato è stato molto chiaro: “Credo che gli Stati Uniti continueranno a controllare la politica estera e militare dell’Europa occidentale anche attraverso la Nato, ma con un impegno finanziario inferiore rispetto a quello attuale. Non vedo l’opportunità di un disingaggio da parte degli Stati Uniti per dare più autonomia all’Europa. Credo che gli americani continueranno ad avere una grossa influenza nell’area. Anche se fosse realmente così, ragionando da italiano, il rischio che vedo è di finire sotto il controllo militare dei francesi a quel punto“.
Questo è il punto che dovrebbe preoccupare più di tutti le forze sovraniste. L’impronta atlantista è anche confermata dalla richiesta di creazione di una task force sotto la guida di Federica Mogherini volta a combattere la propaganda russa che, secondo il ministro, si basa sulla disinformazione. Molto risoluta la posizione di Zanni su questo: “Ho già depositato un’interrogazione parlamentare alla Commissione in merito a questo progetto, che considero molto pericoloso. Si tratta – chiosa l’eurodeputato- di una sorta di istituzione di un ‘Ministero della Verità’ dove dei tecnocrati in maniera unilaterale e assolutamente parziale decideranno per i cittadini quello che è vero e quello che è falso”.
Non è ancora chiaro il perimetro in cui dovrà operare tale task force, ma l’immaginario del lettore non può non andare verso la famosa Psicopolizia di Orwell. Chi deciderà se un’informazione è vera o sbagliata? In base a quali parametri? Per Zanni questa è “una grossa limitazione della libertà di espressione e di informazione, un tentativo politico da parte delle istituzioni europee di controllare flussi informativi che girano in Europa.” Il pericolo è evidente. L’eurodeputato ha infatti denunciato come “la battaglia sulle fake news possa diventare un’arma di controllo di massa e di censura”.
Con questo scenario, i sogni di chi brama un’Europa forte ed indipendente composta da nazioni sovrane si infrange su di un surrogato in pieno stile Unione Europea. Un’Europa divisa anche in questo caso da interessi e priorità strategiche divergenti se non concorrenziali tra i partner: basti pensare alla competitività tra Italia, Francia e Gran Bretagna in Libia.
I ritorni industriali
Le opportunità più interessanti si trovano invece sul fronte industriale dove la Pesco ha ottime possibilità di favorire un’integrazione che rafforzi le cooperazioni già consolidate, come dimostrano i consorzi tra aziende. Si pensi per esempio ad Eurofighter o MBDA.
In questo caso però l’Italia corre il rischio di finire prigioniera in una struttura ad egemonia franco-tedesca. Come sottolineato in un articolo di Analisi Difesa a firma di Gianandrea Gaiani, “diventa ora imperativo assumere un peso rilevante in ambito Pesco”.
Appurata la non alternatività della Pesco alla Nato e, di conseguenza, agli Stati Uniti, non solo permane la minaccia di essere sottomessi ai Diktat di Washington, ma si corre il rischio di rimanere imprigionati in una istituzione che predilige le aziende dei Paesi più forti (Francia e Germania per l’appunto). Tradotto: Berlino e Parigi controlleranno tutte le attività a maggior valore aggiunto, a Roma gli scarti.
Non è certo un segreto infatti che, mentre Berlino punti ad un controllo politico dell’Ue, Parigi si muove sul campo militare e non si farà certo scappare un’occasione come questa per espandere il suo dominio nel mercato. Dal canto suo Washington non ha certo piacere a dover affrontare un’Europa forte ed è disposta a tutto pur di rafforzare la figura della Nato, anche a costo di rispolverare slogan da Guerra Fredda.
Cosa fare quindi? Innanzi tutto occorre sfruttare le opportunità offerte dalla Pesco per costruire un mercato europeo che ponga le proprie industrie al primo posto. Parallelamente però l’Italia dovrà supportare il proprio comparto industriale con forti investimenti.
L’Italia offre oggi, in termini di percentuale sul Pil, la metà delle spese militari di Francia e Germania. È dunque evidente che le nostre aziende hanno difficoltà a competere con quelle tedesche e francesi. Occorre un immediato cambio di rotta per rafforzare il sistema industriale nazionale e, con Leonardo in testa per giocare da protagonisti in questa nuova importantissima sfida.
Aldo Campiglio