Atene, 5 lug – Lo scrutinio ancora non è terminato, ma lo scarto fra gli elettori contrari all’accordo e i favorevoli è tale da non lasciare dubbi: vince il “No”, che nelle prime proiezioni ufficiali supera il 60% dei consensi, mentre secondo i sondaggisti la forchetta dovrebbe attestarsi fra il 49.5 e il 54%. Un margine comunque di tranquillità, sufficiente per far partire i festeggiamenti già in corso in piazza Syntagma.
Passata l’euforia per la sconfitta -almeno d’immagine- di Ue, Bce e Fmi, cosa attende ora la Grecia? Tutto può cambiare, così come tutto può restare come prima.
Anzitutto, i problemi più pressanti riguardano il sistema finanziario. Istituti di credito e la borsa di Atene sono rimasti chiusi per la tutta la settimana, con i prelevamenti agli sportelli bancomat limitati a 60 euro al giorno. Le banche rimangono con non più di un miliardo di liquidità a disposizione. Domani la Bce è chiamata ad esprimersi sull’Ela, il programma di emergenza: non è detto che venga esteso, aprendo così a scenari incogniti come l’imposizione di misure più restrittive sui di capitali o il prelievo forzoso sui conti correnti, ipotizzato secondo alcune indiscrezioni ma nettamente smentito dal ministro Varoufakis.
In secondo luogo, punto cruciale sarà la riapertura delle trattative, mai messa in dubbio anche da parte dell’esecutivo. Tsipras da domani si siederà di nuovo ai tavoli con i creditori internazionali, potendo però a questo giro giocarsi carte più favorevoli. Anche qui sorge però il dubbio: quale accordo? Quello su cui i greci hanno votato era una bozza in cui le posizioni erano vicinissime, mancando giusto una manciata di milioni su tasse, tagli e pensioni per concluderlo con una stretta di mano.
Tanto basta per temere che, anche con un accordo migliorativo, il paradigma dell’austerità non verrà comunque ribaltato. La Grecia d’altronde ha bisogno di non pochi miliardi, e ne ha bisogno nel giro di pochi mesi. E non stiamo parlando dei rimborsi a Bce e Fmi, almeno non solo: in ballo ci sono i pagamenti delle pensioni e degli stipendi pubblici, necessità inderogabili molto più delle scadenze con la ex Troika.
Il referendum non è o meglio non era, almeno per come strutturato, una consultazione sulla permanenza o meno della Grecia nella zona euro o nell’Unione Europea. Il che può anche essere un corollario della decisione presa, ma in ogni caso -come già detto- il leader di Syriza domani sarà impegnato in nuove trattative per scongiurare l’eventualità, come ha sempre sostenuto sin dall’inizio pur utilizzando i toni duri della campagna elettorale. La domanda-chiave rimane comunque una: la Grecia uscirà dall’euro o no? Troppo presto per dirlo, le variabili in gioco sono ancora troppe. E sono gli stessi creditori a non volerlo. Perché qualora il paese ellenico dovesse abbandonare la moneta unica e poi -com’è plausibile una volta abbandonata l’assurdità del cambio fisso e l’ottusità delle regole comunitarie- riprendersi dal punto di vista economico, si scatenerebbe un effetto-domino capace di portare all’implosione l’intera Unione.
Filippo Burla
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1 commento
Dove ci stiamo dirigendo adesso? La Bibbia dice: “[il re del nord = Russia a partire dalla seconda metà del XIX secolo. Daniele 11:27)] ritornerà nel suo paese con grandi ricchezze [1945], e il suo cuore sarà contro il patto santo [l’ostilità nei confronti dei Cristiani], e agirà [attività in ambito internazionale], e tornerà al suo paese [1991-1993. La disintegrazione dell’Unione Sovietica e del Patto di Varsavia. Le truppe russe restituito alla paese]. Al tempo fissato [il re del nord] tornerà [questo significa crisi, che eclisserà la Grande Depressione, la disgregazione non solo dell’area euro, ma anche dell’Unione europea e della NATO. Molti paesi dell’ex blocco orientale tornerà nella sfera d’influenza della Russia].” (Daniele 11:28, 29a)