Washington, 15 ott – La Presidenza Trump è caratterizzata fin dagli inizi, tra le altre cose, da un rapporto molto teso con la stampa mainstream: CNN, Washington Post e New York Times non perdono occasione per esprimere commenti negativi sul tycoon, spesso eccedendo la normale critica del giornalismo Usa al potere e esponendosi ad accuse di semplice partigianeria politica.
Recentemente un video finito su youtube mostrava Nicholas Dudich, il responsabile della strategia multimedia del New York Times, affermare con tranquillità “se fossi onesto non sarei qui dove sono” e precisando di muoversi col fine di danneggiare il Presidente. Come? “Occorre colpire i suoi affari, il suo fottuto figlio, spingere la gente a boicottare i suoi marchi: se danneggiamo i suoi affari darà le dimissioni o risponderà in modo illegale”. Il video prosegue con interessanti affermazioni del genere e mostrando strani legami tra l’informazione e l’Fbi.
Il polverone che si sta alzando in merito a queste affermazioni rischiano di danneggiare irrimediabilmente la reputazione del giornale e la risposta è stata immediata, ma astuta: è stato diffuso un “codice di condotta sui social” che ogni giornalista della testata dovrà seguire col fine di ripristinare l’immagine di neutralità di quello che una volta era il giornale del ceto bianco e benestante americano e che invece rischia di rimanere intrappolato nel microscopico mondo dei liberal di New York se non si libera dalle accuse di parzialità quanto prima.
Il codice è molto ben fatto e preciso: chiarisce che l’uso del profilo privato da parte di un giornalista va considerato comunque un atto pubblico e che il giornalista deve ritenersi responsabile per eventuali danni all’immagine che può causare al New York Times. Alcune indicazioni sono addirittura di una banalità disarmante ed il fatto stesso che vengano messe per iscritto dà la sensazione che nel più blasonato quotidiano del mondo qualcuno possa non avere confidenza con le più elementari norme deontologiche del giornalismo: la raccomandazione di non utilizzare fonti troppo “schierate” per non dare l’idea che il giornalista stesso stia prendendo una posizione è qualcosa che ci si aspetta venga data ad un aspirante giornalista, non ad una redazione in cui lavorano premi Pulitzer.
Si sono già udite le prime rimostranze di chi parla di una violazione del Primo emendamento nei confronti dei giornalisti, ma il New York Times ha fama di saper controllare i propri giornalisti. Vedremo quindi come evolverà e se lo farà il modo in cui la testata tratterà Trump, soprattutto alla luce del fatto che si tratta del primo giornale che ha mostrato di comprendere che il centro della strategia comunicativa della Presidenza sono i social e che paradossalmente, per batterlo, occorre utilizzare questo campo e che per farlo occorre essere percepiti dal lettore come “mezzi di informazione” e non “mezzi di manipolazione”.
Guido Taietti