Tokyo, 11 lug – L’Unesco ha inserito un nuovo paradiso naturale tra i patrimoni dell’umanità. Si tratta dell’isola di Okinoshima, un’isola sacra del Giappone situata al largo della città di Munakata, nell’estremità sudoccidentale dell’arcipelago giapponese, tra Hiroshima e Nagasaki.
L’intera isola è considerata un kami ed è consacrata alla dea marina Tagorihime, una delle tre figlie nate dalla dea Amaterasu, divinità solare madre della casa imperiale nipponica, e il dio delle tempeste Susanoo. Ma a fare notizia non è tanto la mitologia associata all’isola né la sua bellezza né le opere artistiche osservabili al suo interno. È il fatto che l’isola sia vietata alle donne e questo ovviamente indigna i fanatici boldriniani della parità di genere, tanto che l’inserimento dell’isola nell’elenco Unesco è diventato addirittura una “questione etica” (sic).
In realtà l’isola non è solo vietata alle donne, ma essendo considerata interamente territorio sacro alla stregua di un tempio shintoista conserva delle regole strettissime per chiunque voglia accedervi: una sola visita all’anno, il 27 maggio, un numero massimo di visitatori (200, preventivamente selezionati) che prima di mettere piede sulla terra devono denudarsi e compiere delle specifiche e rituali abluzioni con l’acqua di mare. Inoltre vi è il divieto assoluto di portare via oggetti dall’isola e anche di raccontare quello che hanno visto durante la loro visita sacra. Il tutto per rispetto tanto alla divinità dell’isola quanto ai soldati morti durante una delle battaglie della guerra russo-giapponese del 1905 combattuta nei pressi di Okinoshima e che si ritiene riposino proprio nel luogo sacro.
Ma tutto questo evidentemente non interessa ai paladini del gender che vorrebbero applicare anche i culti e i riti alla propria ideologia. In realtà ci sono molti luoghi di culto tutt’ora inaccessibili alle donne, il più famoso forse è il monte Athos, di fatto un territorio autonomo gestito dai monaci ortodossi che vi abitano, così come molti riti e atti cultuali sono appannaggio di soli uomini. Nel Giappone dello shinto, per cui ogni atto in realtà è un atto rituale e ogni azione è rivolta al sacro questo si estende anche a cose che gli occidentali reputano “profane”: ad esempio preparare il sushi è considerato un rito che possono fare solo uomini, così come il sumo, in cui il “ring” è vero e proprio terreno sacro in cui possono entrare solo uomini, così come esistono altri tipi di ritualità che possono compiere solo donne. Ma tutto questo è evidentemente secondario di fronte alla falce del politicamente corretto. Non importa neanche il fatto che probabilmente senza la mentalità rituale e sacra dei giapponesi Okinoshima non si sarebbe neanche conservata nei secoli come il paradiso terrestre che è ancora oggi. Pertanto sono già arrivate richieste di “adattarsi” alle richieste occidentali, per non ledere il diritto fondamentale e irrinunciabile delle donne di poter visitare un luogo inserito nella lista Unesco. Ma al momento non sembra che i Giapponesi vogliano cambiare nulla, anzi non ritengono nemmeno di dover “aprire” l’isola ai turisti, siano essi uomini o donne, e continuano a lasciare intatta la dura selezione e la stretta ritualità di chi viene scelto per entrare nell’isola. In questo suonano definitive le parole di Takayuki Ashizu, alto prelato al Makunata Taisha: “Non apriremo Okinoshima al pubblico, perché le persone non devono visitarla solo per curiosità”.
Carlomanno Adinolfi