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Le sparate di Trump sulla Siria segnano la riscossa dei neocon?

by Cristiano Coccanari
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TrumpWashington, 6 apr – “Ho cambiato idea su Assad” e “le sue azioni non possono essere tollerate”: queste le parole pronunciate ieri dal presidente americano Trump che si aggiungono a quelle ancora più dure dell’ambasciatore USA alle Nazioni Unite Nikki Haley che ha lasciato presagire la possibilità di un intervento americano in Siria anche in assenza di una deliberazione del Consiglio di Sicurezza, verosimilmente bloccata dal veto russo.

Si tratta di posizioni che sembrano segnare una netta inversione di rotta da parte dell’amministrazione di Trump. Il Primato aveva scritto tempo fa della sostanziale marginalizzazione dei neoconservatori nell’era del miliardario tycoon. E solamente una settimana fa, il segretario di stato Tillerson in visita ad Ankara aveva affermato che “il destino nel lungo termine del presidente Assad verrà deciso dal popolo siriano” e la stessa ambasciatrice Halley in modo ancora più netto aveva sottolineato “la nostra priorità non è più quella di rovesciare il presidente siriano”.

Parole, quelle dei due importanti collaboratori di Trump, che avevano fatto infuriare gli influenti senatori neocon McCain e Graham, da sempre favorevoli, come del resto la maggioranza dei democratici di Obama e Clinton, al regime change in Siria: “questa posizione trascura la tragica realtà che i siriani non possono decidere il futuro della loro nazione o di Assad mentre sono colpiti dalle barrel bomb di quest’ultimo” aveva affermato il primo, mentre il senatore della Carolina del Sud incalzava “se le notizie della stampa sono vere e l’amministrazione Trump non vuole più occuparsi di rimuovere Assad, si tratta del più grande errore da quando Obama non ha inteso porre una linea rossa contro l’uso di armi chimiche da parte di Assad”.

Sempre pochissimi giorni fa i neoconservatori – e con loro verosimilmente ampi settori dell’amministrazione americana e del Pentagono – erano peraltro apparsi oltremodo preoccupati dalla notizia, riportata da un giornale libanese e successivamente smentita dalla protagonista, che durante l’incontro in Siria con Assad di fine gennaio della deputata democratica Tulsi Gabbard, che aveva fatto infuriare il suo partito, questa avrebbe riportato al presidente siriano la volontà di Trump di aprire con lui una linea diretta di comunicazione.

E’ stato dunque allo stesso tempo provvidenziale per i neocon, e di straordinario tempismo, il report dell’Osservatorio siriano (con base in Inghilterra) per i diritti umani sul supposto bombardamento chimico di Assad. Una denuncia peraltro avvenuta, come riportato ieri dal Primato, proprio nel momento in cui i ribelli in passato sostenuti da Obama, si trovavano ad affrontare un momento difficilissimo dal punto di vista militare, probabilmente il peggiore dalla sconfitta ad Aleppo.

L’accettazione acritica da parte di Trump delle notizie riportate dall’Osservatorio da sempre vicino ai ‘ribelli’, ha finito quindi per spingerlo dove i neoconservatori, suoi acerrimi nemici durante la lotta alla presidenza, intendevano portarlo, ovvero in un riallineamento in politica estera all’impegno per un rovesciamento di Assad, possibilmente addirittura con un intervento diretto americano, che persino Obama aveva alla fine deciso di evitare nel 2014. Uno scenario idilliaco per McCain e soci, peraltro arrivato nello stesso giorno della rimozione di Steve Bannon – loro nemico pubblico numero uno – dal consiglio di sicurezza del presidente americano, peraltro cruciale nella discussione non solo di politica interna ma anche dell’impegno sullo scenario internazionale. Un naturale e programmato avvicendamento, quello di Bannon (che, va detto, rimane comunque al momento nel suo ruolo di consigliere di Trump) oppure un sacrificio all’altare di una futura alleanza organica con l’ampia componente neocon del partito repubblicano? Ce lo dirà solo il futuro. Certo è che da ieri il partito della guerra è molto più forte.

Cristiano Coccanari

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