Roma, 14 lug – Nero, tono acromatico dalla nulla luminosità. Assenza di colore che assorbe la luce, ma allo stesso tempo partenza per ogni possibile rinascita. Nera come la penna sul cappello d’alpino, neri come i particolari della bianca e amata maglia spezzina. Alberto Picco aveva poco più di vent’anni quella notte sul Monte Nero. Era il 16 giugno 1915 e la sua alba non sarebbe arrivata.
Il primo capitano dello Spezia
Alberto Picco nasceva nell’estremo levante ligure esattamente centrotrentanni fa. Predisposto alla pratica sportiva fin da giovanissimo praticò canottaggio, nuoto e ginnastica. Fu però il calcio a portarlo alla ribalta cittadina: il 20 novembre 1911 lo troviamo tra i fondatori dello Spezia Football Club. Consigliere e tesoriere, calciatore e capitano, sua è la prima rete nella storia delle aquile bianconere, segnata in un’amichevole giocata contro una squadra livornese. Fisicamente vigoroso, carattere al passo coi tempi. La prima metà del ‘900 d’altronde è periodo di grandi cambiamenti. Stravolgimenti politici, tecnologici e culturali. Diplomato nel frattempo in ragioneria, la carriera agonistica si deve interrompere con la chiamata alle armi.
Viva l’Italia!
Così nel 1914 si forma come alpino, assumendo a novembre il grado di sottotenente. Pochi mesi e anche il nostro paese entra nel primo conflitto mondiale: il battaglione di Alberto Picco è inquadrato sulle Alpi Giulie. Le penne nere dopo aver varcato l’Isonzo risalgono il monte Stol e il 26 maggio 1915 hanno già occupato il Kozljak, picco situato nei pressi di Dresenza. Ovvero il villaggio – poco distante da Caporetto – al cui nome nel 1941 verrà aggiunto il cognome del nostro.
Non è passato neanche un mese di guerra quando l’avanti spezzino è volontario, con un piccolo plotone di esploratori, alla conquista del Monte Nero. L’azione parte nella notte tra il 15 e il 16 giugno. Buio e nebbia non impediscono agli alpini di raggiungere il contrapposto contingente ungherese: l’avanzata – tanto violenta, quanto eroica – costringe il battaglione Exilles al fuoco nemico.
Ferito ad un piede Alberto Picco continua coraggiosamente a combattere. Ma un secondo lo colpisce fatalmente all’addome. Conscio della propria fine, chiede di parlare al capitano Arbarello (futuro “Conquistatore del Monte Nero”): «Viva l’Italia! Muoio contento di avere servito bene il mio Paese».
Lo stadio Alberto Picco
Oltre alla medaglia d’argento al valor militare – conferita motu proprio da Vittorio Emanuele III – nel 1928 il governo fascista costruì sulla cima del Monte Nero il rifugio monumentale “Alberto Picco” (demolito poi dai comunisti slavi). Eroe nazionale e martire d’Italia, nemmeno il calcio poteva dimenticarsi di tanto valore. Lo stadio della Spezia porta infatti il nome del primo marcatore: inaugurato nel 1919, ospita ancora oggi le partite interne della compagine bianconera.
E se l’ingresso del campo ricorda anche i nomi degli altri caduti spezzini – Umberto Toso, Ferruccio Francesconi, Bruno Zambelli, Paride Ferrari, Ciro Orsini – una decina di anni fa proprio all’Alberto Picco è stato inaugurato un cippo commemorativo. Sopra al manufatto una moderna riproduzione della maglia (numero nove) d’inizio novecento: benedetto da un grande tricolore, l’eroe del Monte Nero rimarrà in eterno un esempio con in corpo l’italico fuoco dei vent’anni.
Marco Battistini