Roma, 7 ott – «Non accettiamo ingerenze da parte di nessuno», ha dichiarato ieri il vicepremier Angelino Alfano. Parole che tentano di dipingere un Pdl ancora unito e, di conseguenza, lo schieramento governativo del partito un po’ meno voltagabbana di quanto sia apparso. Ma i fatti sono fatti e nel Pdl se ne sono accorti in tanti: «rischia di costruire un centro politicamente e culturalmente subalterno alla sinistra», ha affermato oggi in una intervista il pidiellino, ex ministro ed ex presidente della Puglia, Raffaele Fitto.
Tant’è vero che proprio ieri il premier Enrico Letta, archiviata la questione fiducia, trasformata la sua maggioranza da “numerica” in “politica”, spaccato il Pdl e liquidata persino la berlusconiana di ferro del suo governo – l’ “omofoba” Michaela Biancofiore -, ha osservato: «si è chiusa una stagione politica, mercoledì si sono chiusi vent’anni, in modo politico, con un confronto politico forte. Berlusconi ha chiesto che cadesse il governo e il Parlamento, in sintonia con il Paese, ha voluto che si continuasse».
L’affaire Berlusconi, questa volta, potrebbe essere archiviato seriamente, soprattutto dopo la decadenza da senatore nella relativa indifferenza del partito. Nessuna sparizione definitiva ma una progressiva inconsistenza politica: questa sembra la fine disegnata da alcuni per il Cavaliere.
«Ho preso un rischio, senza mediazioni, e in parlamento ho detto che si votasse. Avevo detto che non volevo governare ad ogni costo e così è successo», ha proseguito Letta, che parla ormai da uomo forte e dà addirittura scadenze precise su riforme di rilievo: «L’autunno finisce il 21 dicembre – ha spiegato – ed entro quella data se il Parlamento non avrà varato l’abolizione del finanziamento pubblico ai partiti il governo varerà un decreto legge».
Berlusconi, invece, viene ormai dipinto come politicamente finito.
«Mi dicono che Villa San Martino e Palazzo Grazioli – scriveva ieri Vittorio Feltri – sembrano succursali del Cimitero Monumentale in cui sfilano numerosi dolenti dalla mattina a notte inoltrata». E proprio l’ex direttore di Libero, che più volte ha duramente sferzato il Cavaliere e le sue scelte politiche, sembra invece esser rimasto uno degli ultimi berlusconiani ed, in riferimento ai cosiddetti traditori, osserva: «alcuni si illudono, come adolescenti, che uccidendo il padre si libereranno da una dipendenza rassicurante e un po’ soffocante. Ma chi non è cresciuto in vent’anni, morirà piccolo».
La fine del leader del centrodestra, d’altronde, è stata evocata tante, troppe volte. Ma soltanto le prossime elezioni ci daranno la risposta: ci diranno se l’ex premier è ancora in campo. Oggi il suo nome vale da solo circa il 16%, dicono i sondaggi, domani chissà. Fatto sta che due anni di governo in queste condizioni non potranno che indebolirlo. Mentre c’è ancora la prova dei servizi sociali da affrontare, che Berlusconi insieme ai suoi legali ha preferito al silenzio ed alla sparizione totale che avrebbero rappresentato i domiciliari.
E, nel frattempo, ci sono le lotte interne al partito, che doveva tornare a chiamarsi Forza Italia per decisione del capo (fino alla settimana scorsa indiscusso), anche se la scelta sembra aver segnato una linea di confine, e di frattura, tra “governativi” e “lealisti”. E pare forse la proposta più saggia proprio quella di Fitto, che ieri ha “ufficializzato” la nascita del nuovo schieramento lealista ma ha anche chiesto «l’azzeramento di tutti gli incarichi di partito, e la convocazione di un congresso straordinario che discuta e decida la linea politica e che faccia esprimere direttamente i nostri elettori per l’elezione del segretario, degli organismi dirigenti, da Roma fino al più piccolo dei nostri paesi». Un congresso per una «legittimazione dal basso» che, molto probabilmente, stabilirebbe chi si “tiene” il Pdl e per farne cosa. E che, in caso di “colpo dei governativi”, manderebbe in soffitta o azzopperebbe in partenza il progetto “revival” di Forza Italia.
Emmanuel Raffaele