Roma, 1 giu – La prima notizia è che il moderatismo tanto inseguito da alcune personalità del centrodestra è in realtà alla canna del gas: gli alfaniani di Area popolare si devono accontentare di un 3,5%, Forza Italia raggiunge con fatica la doppia cifra. Gli “incazzati”, al contrario, volano: la Lega la fa da padrona nel centrodestra, il Movimento 5 Stelle, pur travagliato da crisi interne e dal fiatone del leader carismatico sfrutta sempre il volano della pessima politica degli altri che gli garantisce un risultato insperato. Anche Fratelli d’Italia racimola una percentuale tutt’altro che da buttar via. E, se vogliamo parlare dello stato d’animo degli italiani rispetto alla politica, non possiamo non citare anche il dato sull’affluenza: un eloquente 52,2% dei votanti. Insomma, con le democristianerie di ritorno non si va da nessuna parte, il momento è duro, le parole d’ordine non possono essere molli.
Malgrado il 5-2 in suo favore, anche Renzi non può certo cantare vittoria. La renziana doc 8e pazienza se prima era stata bersaniana doc e poi cuperliana doc) Alessandra Moretti viene semplicemente disintegrata in Veneto. In Liguria, regione rossa tra le regioni rosse, la candidatura della Paita aveva fatto volare gli stracci all’interno del partito e la spaccatura ha finito per influire sulla clamorosa sconfitta. Se sono “di Renzi” le sconfitte in Veneto e Liguria, è “sua” anche la vittoria in Campania. Ma è davvero una vittoria di Pirro, arrivata sulla scia del bollino di “impresentabile” attaccato dalla Bindi sul candidato (e anche qui polemiche a non finire nel partito). In più c’è da sciogliere il nodo della legge Severino che potrebbe impedire all’esponente campano di governare. Un ginepraio in cui Renzi si è andato a cacciare da solo con solitaria ostinazione e da cui ora non potrà certo uscire con un tweet.
Ma a sinistra per ora la battaglia di Renzi è solo contro se stesso: il premier può solo suicidarsi. Più interessante è la dinamica nel centrodestra. Che si presentava in tante configurazioni differenti da regione a regione, passando da un massimo di frammentazione a un massimo di unitarietà. Quello che accomuna tutte le situazioni, almeno nel centronord, è che Salvini tira. Tira da solo, tira in coalizione, tira sempre. È lui l’elemento caratterizzante, la forza espansiva. È lui che porta voti alle coalizioni ed è sempre lui che fa crollare le alleanze a cui non partecipa. È per questo che vanno bene le ammucchiate in Liguria e Umbria (dove la Lega si attesta rispettivamente sul 20,25% e sul 13,99%), ma va bene anche il tandem con fratelli d’Italia nelle Marche, dove il Carroccio conquista il 13,02%. E va bene, dato il contesto certamente difficile, la scelta salvinista al 100% di Borghi in Toscana. Qui la Lega porta a casa un importante 16,15%.
Insomma, comunque vada vince Salvini. E lui lo sa. Ora ogni ambiguità è finita, i rapporti di forza sono chiari. Sta a Salvini muovere.