Roma, 1 giu – Alla fine del 1944, la potenza del III Reich era ormai definitivamente al tramonto: fallito l’ultimo colpo di coda della Wehrmacht e delle Waffen-SS nelle Ardenne, con l’Armata Rossa sui confini orientali della Germania, e con le unità militari regolari ormai dissanguate, i vertici politici e militari tedeschi non poterono far altro per continuare la lotta che ricorrere a soluzioni non convenzionali: dalla militarizzazione delle classi sotto l’età di leva (Hitlerjugend) e anziane (Volkssturm) all’attivazione di cellule per la guerra clandestina nella Germania invasa da Alleati e sovietici: il Werwolf – “Lupo mannaro”, riferimento al noto romanzo del 1910 di Hermann Lons (1866-1914) ambientato durante la guerra dei trent’anni, narrante la spietata vendetta di una milizia di contadini contro una soldataglia che li aveva crudelmente oppressi.
La figura centrale nella creazione di tali reparti, la cui funzione chiave sarebbe stata politico-militare, e della loro rete sotterranea fu l’SS-Standartenführer Otto Skorzeny (1908-1975), il responsabile delle forze speciali delle SS (Jagdkommando e Jagdverbände), incaricate di missioni speciali dietro le linee nemiche, della lotta antipartigiana specificatamente tramite missioni di controguerriglia – ossia utilizzando le stesse tattiche “mordi e fuggi” dei partigiani – e spionaggio.
Abile pianificatore e uomo dal coraggio e dal fisico eccezionali, dal volto solcato dalle profonde cicatrici dei duelli studenteschi (Mensur), Skorzeny era la persona adatta allo scopo: anche se taluni suoi successi furono abilmente magnificati dal personaggio, attento alla sua immagine “mediatica”; per esempio, è ancora perdurante – e anche tra gli addetti ai lavori – il mito che fosse suo il merito della liberazione di Mussolini dal Gran Sasso il 12 settembre 1943, operazione pianificata invece da due ufficiali dei paracadutisti della Luftwaffe, il generale Student e il maggiore Mors, e portata a termine dai loro “Diavoli verdi”. Skorzeny, che era stato incaricato del lavoro di intelligence precedente al raid, partecipò solo nel ruolo di osservatore, e, anzi, rischiò quasi di far fallire tragicamente la missione volendo salire a tutti i costi sulla leggera “cicogna” Fieseler Storch, e facendone quasi andare a finire male lo spericolato decollo “corto” dal Gran Sasso a causa del suo non lieve peso imprevisto!
Inizialmente, le unità speciali SS di Skorzeny avrebbero dovuto operare al di fuori della Germania, mentre la responsabilità delle operazioni sul territorio del Reich avrebbero dovuto essere assunte dal Werwolf ma nonostante queste intenzioni, gli uomini di Skorzeny si trovarono da subito coinvolti nel programma Werwolf come istruttori e quadri dopo che le Jagdverband delle forze speciali SS, seguendo le armate tedesche in ritirata, si trovarono ricacciate nei confini del Reich nel 1944/1945. Le differenze tra questi reparti e il Werwolf tesero ad attenuarsi, e il nome “Werwolf” prese a identificare tutte le unità di guerriglia nazionalsocialiste.
Il Werwolf era nato su iniziativa dell’SS-Oberstgruppenführer Hans-Adolf Prützmann già nella primavera del 1944: essa consisteva nell’idea di formare una rete clandestina di guerriglieri tedeschi, alle dipendenze dirette di Heinrich Himmler e del servizio di sicurezza (SD), operante sia a ovest che a est, divisa in piccoli gruppi dotati di una radio e sessanta giorni di razioni, e con ogni volontario dotato di 10 chili di esplosivo, due armi da fuoco, e l’accesso a altri bunker contenenti armi, esplosivi e altri materiali.
I gruppi sarebbero stati formati nelle province di frontiera, e avrebbero operato non solo atti di sabotaggio contro il nemico, ma anche distrutto risorse economiche e logistiche per prevenirne l’impiego da parte del nemico, e giustiziato “traditori e collaboratori” onde evitare “un altro novembre 1918” – cioè le rivolte comuniste a guerra ancora in corso che concorsero al crollo della Germania imperiale, già in crisi strategica sul fronte occidentale.
Prützmann e il capo della Hitlerjugend, Axmann, anche lui coinvolto, cercarono l’appoggio di Skorzeny e delle sue Jagdverbände, sia per l’addestramento, sia per l’equipaggiamento: esplosivi e detonatori, mitra tedeschi e Alleati, armi anticarro, pistole silenziate… tra alti e bassi dovuti alla scarsità di risorse e alle rivalità tra le autorità militari politiche competenti, l’organizzazione delle unità Werwolf prese il via, con circa 400 operatori formati nel campo d’addestramento principale a Neustrelitz e altri 300 a Killeschowitz nel gennaio 1945. Circa il 30% di essi erano donne, e il 10% ragazzi della Hitlerjugend.
Nei mesi successivi i vari gruppi Werwolf, conformemente agli ordini ricevuti, si lasciarono superare dalle forze Alleate a ovest e sovietiche a est, per poi entrare in azione, da soli o appoggiati dai veterani degli Jagdkommando di Skorzeny.
Nella foresta nera, i giovanissimi Werwolf di quest’area, rinforzati da tre Jagdkommandos dello Jagdeinsatz Süd e da giovani cadetti della scuola Ufficiali SS di Bad Tolz compirono decine di imboscate e attentati contro colonne americane nell’area di Heilbronn, Neckarsulm e Oberroth, distruggendo Jeep e camion. Questi Kommando rimasero attivi sino al maggio 1945 inoltrato, con
l’intelligence Alleata che li quantificava ancora tra i 60 e i 190 uomini, ben armati con mitra Sten e Thompson, bombe a mano e armi controcarro, e cibo per 60 giorni.
Nell’Assia, nel sud della Renania e in Franconia, le squadre dello Jagdeinsatz Nord e i Werwolf locali condussero una breve ma spietata guerriglia contro le forze Alleate avanzanti, minando vie di comunicazione e distruggendo automezzi nemici.
Dalle foreste del Westerwald operò lo Jagdkommando Stein, che comprendeva 65 uomini tra i quali 16 paracadutisti francesi, compiendo imboscate contro colonne di mezzi americane.
Parimenti attivi furono gruppi Werwolf nel sudest Europa e nelle province orientali invase dall’Armata Rossa, con operazioni di ricognizione e interdizione.
Le attività Werwolf in alcune zone rappresentarono per gli Alleati un problema tale da arrivare a minacciare dure rappresaglie contro la popolazione civile tedesca, e in diversi casi interi villaggi furono distrutti per punizione dagli occupanti.
Oltre gli atti di sabotaggio, imboscate e guerriglia, il Werwolf si occupò, come accennato precedentemente, di reprimere i tedeschi antinazisti che si fossero messi spontaneamente al servizio degli occupanti Alleati e sovietici, “fossero anche i loro genitori”. Queste azioni potevano riguardare singoli traditori in territorio già occupato dal nemico – e in questi casi erano inviati dei selezionati distaccamenti di Werwolf – oppure l’esecuzione di traditori in seno alla nazione.
Un esempio del primo caso fu l’eliminazione del sindaco di Aquisgrana Franz Oppenhof, designato dagli americani, ucciso il 25 marzo 1945 da una squadra di Werwolf paracadutata dietro le linee nemiche.
Alla fine dello stesso mese, durante le prime ore dell’occupazione Alleata di Giessen, una squadra di due uomini Werwolf guidata da un ufficiale SS belga freddò un medico tedesco che stava collaborando con le autorità americane, lasciando una carta con scritto “traditore” sul corpo.
Similmente, un infiltrato Werwolf, Heinrich von Beddington, uccise pochi giorni prima della fine della guerra in Europa, l’8 maggio 1945, il sindaco della piccola città di Mehlbeck, tracciando poi sulla sua porta di casa il simbolo del Lupo mannaro.
Anche gli uomini di chiesa non furono risparmiati, come nel caso di alcuni preti cattolici antinazisti, come l’abate Strohmeyer, giustiziato da Heinrich Perner, un ex legionario della Legione Straniera e membro di un Jagdkommando, e il prelato Grimm, ucciso con un colpo alla nuca da una SS tedesca e una fiamminga. Peraltro, i rapporti tra le gerarchie cattoliche e il Nazismo non furono esenti da frizioni e gravi crisi anche in precedenza, visto che per molti militanti nazisti la fede cattolica era incompatibile con il III Reich e le sue “due religioni”, laica (quella dello Stato) e pagana.
Queste azioni trovavano la loro origine nella Guerra totale nella quale era impegnata la Germania, implicante anche la Responsabilità totale, dove nessuno, a prescindere dalla sua alta o bassa importanza sociale, doveva essere immune dalla massima punizione, se colpevole di crimini contro la patria.
L’ultima creazione di Skorzeny, e l’ultima unità Werwolf che presenteremo in questo breve articolo, fu lo Schutzkorps Alpenland (SKA): ossia il concentramento di unità Werwolf e Jagdkommando nelle alpi austriache. Il piano fu attuato solo in parte, e alla fine Skorzeny, poco dopo la sua cattura il 16 maggio 1945, diede ordine di sciogliere i distaccamenti dello Schutzkorps, ma gruppi di guerriglieri dello SKA rimasero in armi sino al giugno 1945 e oltre, vivendo nelle caverne tra i ghiacciai come “uomini del neolitico, cuocendo cibo su falò improvvisati, scaldandosi stando stretti l’un con l’altro”, e struggendosi nella malinconia per la “loro” Germania scomparsa ascoltando “i versi di Hölderlin e Weinheber letti dalle ragazze del BdM che li avevano seguiti” (Perry Biddiscombe, The SS Hunter Battalions, 2006).
L’ordine di scioglimento fu dato da Skorzeny molto probabilmente per preservare i suoi “soldati politici”, che avrebbero potuto avere un ruolo importante nella Germania e nell’Europa nel dopoguerra.
Andrea Lombardi
1 commento
Conclusione dell’articolo: l’ordine di scioglimento fu dato da Skorzeny… un attimo prima di mettersi a lavorare con gli americani e gli israeliani…