Roma, 4 gen – Non si placa la polemica attorno ai vigili urbani di Roma Capitale. Chi chiede la testa del sindaco, chi si schiera dalla parte degli agenti di polizia municipale mentre il governo sceglie la linea dura, con i sindacati cercano di rintuzzare gli attacchi. Un normale copione, come fosse la più classica delle contrattazioni.
Partiamo dai dati. I vigili inizialmente dati per “dispersi” erano 835, su 1100 che avrebbero dovuto essere in servizio. Praticamente l’80%, tanto che dall’ufficio comando sono stati costretti a rivolgersi a praticamente tutti quelli non in servizio per attivare le reperibilità. Facendo una magra figura: secondo quanto rivela il quotidiano Il Tempo, infatti, la lista degli agenti non era aggiornata e l’sms di ordinanza è arrivato anche a vigili già in pensione. Problema di organizzazione del corpo numero uno.
Passano pochi giorni e il comandante della municipale, Raffaele Clemente, comincia rivedere le cifre:finora sono state riscontrate solo 44 anomalie. Secondo quanto rileva la Uil, invece, almeno il 50% delle assenze sarebbero dovute allo smaltimento di ferie obbligatorie e da esaurire inderogabilmente entro l’anno. Problema di organizzazione del corpo numero due.
I controlli sono in corso e, molto probabilmente, quello che ne uscirà al termine sarà un quadro molto ridimensionato rispetto alle versioni apocalittiche circolate fino ad oggi. Questo non impedisce di sollevare la solita querelle politica. Il sindaco Ignazio Marino non esclude la possibilità di licenziare chi ha illecitamente sfruttato la possibilità di assentarsi dal lavoro. Da parte sua l’Inps, per bocca del commissario Treu, si dichiara pronta a fare la sua parte, dicendosi disposta a subentrare alle Asl nell’attività ispettiva sui dipendenti pubblici in malattia. Attività che svolge già nei confronti dei privati e che potrebbe, nel caso, condurre anche per gli statali con la metà dei 70 milioni che vengono spesi attualmente.
Una proposta di efficientamento, ma quanto utile sul piano dell’efficacia? Secondo uno studio della Cgia di Mestre riferito all’anno 2012 (ultimi dati a disposizione), “Nel pubblico ci si ammala più spesso, ma mediamente si perdono meno giorni di lavoro che nel settore privato”. Entrando nel dettaglio, “I giorni di malattia medi registrati tra i lavoratori del pubblico impiego sono stati 16,72, nel settore privato, invece, le assenze per malattia hanno toccato i 18,11 giorni”. Numeri che sembrano raccontare una storia diversa rispetto al senso comune che vorrebbe le pubbliche amministrazioni come “zone franche” in cui il posto garantito offrirebbe spazio ad abusi protratti e continuati nel tempo.
Forse la questione è più profonda. Affrontarla con la retorica dei fannulloni tanto cara al ministro Brunetta, oppure come scusa per affondare la scure di dure riforme anche al pubblico impiego, rischia di essere demagogico e certo non aiuta a risolvere i problemi di funzionamento della macchina amministrativa.
Filippo Burla