Roma, 5 ago – Violente, violentissime proteste nel Regno Unito ma nessuno (o quasi) in Italia ne parla. Se nelle scorse settimane i titoli dei quotidiani e le aperture dei telegiornali sono stati riempiti da – tutto sommato – trascurabili avvenimenti di cronaca (neanche nazionale ma) locale, in pochi si stanno occupando di quanto sta succedendo in queste ore oltre la Manica. E chi lo fa, ne dà una lettura decisamente fuorviante.
La strage di Southport: tre bambine accoltellate a morte
Partiamo dall’origine delle proteste. O meglio, dalla goccia che ha fatto traboccare il vaso. Esattamente una settimana fa la cittadina di Southport – località balneare sita sul Mare d’Irlanda e poco distante da Liverpool – è stata sconvolta dall’inspiegabile assalto operato da un diciassettenne verso alcune bambine frequentanti un corso di danza e yoga. Tre di esse (tra i sei e i nove anni) sono state colpite letalmente, un’altra mezza dozzina ha riportato ferite ritenute critiche. L’ennesimo attacco all’arma bianca nel Regno Unito lo ha definito il giorno successivo il Fatto Quotidiano. “Scene da film horror”, un “inferno improvviso di violenza insensata”.
La notizia, circolata immediatamente, ha scatenato fin da subito incidenti che hanno visto riversare la furia della popolazione britannica contro moschee e la comunità musulmana. Le prime voci avrebbero infatti descritto l’assassino come un clandestino legato all’Islam. Si saprà solo più tardi che Axel Rudakubana – questo il nome del folle autore della mattanza – è nato nel Merseyside da genitori ruandesi. Cittadino britannico, immigrato di seconda generazione.
Le violente proteste si sono quindi espanse in gran parte del Regno Unito. Liverpool, Manchester, Blackpool, Bolton, Bristol, Hull, Nottingham, Stoke-on-Trent. Fino a Belfast, dove apprendiamo da diverse fonti, hanno sventolato insieme – cosa non di poco conto – il tricolore irlandese e l’Union Jack.
Violente proteste nel Regno Unito: cerchiamo di fare chiarezza
Benché – a parte qualche eccezione – se ne parli poco (e male), la situazione è grave. Alloggi per immigrati irregolari presi d’assalto, incendi, scontri con le forze dell’ordine e gruppi della galassia antifa. Almeno centocinquanta gli arresti finora. Hooligans, estremisti, provocatori, teste rasate, seminatori d’odio sono stati definiti (come da prassi) dalla stampa italiana. La quale, probabilmente rilanciando i media inglesi, ha buttato nel calderone anche movimenti e partiti ormai non più operativi. Ma più che puntare il dito ed etichettare a destra e a manca, bisognerebbe domandarsi il perché.
Arriviamo al nocciolo della questione, l’immigrazione di massa. In un paese dove per decenni si sono nascoste inchieste proprio al fine di evitare eventuali conflitti etnici, a inizio marzo è dovuto intervenire addirittura il premier Sunak (nonni indiani, genitori nati in Africa). Vietando la permanenza nelle terre di Re Carlo a tutti i migranti irregolari: non potranno tornare né chiedere la cittadinanza. Unendo tutti i puntini con ogni probabilità i terribili fatti di Southport sono stati “solamente” l’innesco di una bomba che prima o poi sarebbe comunque esplosa.
Immigrazione di massa: i nodi vengono al pettine
Ora, sia chiaro: il problema non potrà mai essere l’immigrato in quanto tale. Gli spostamenti di persone in paesi diversi da quello d’origine, nascono con la storia dell’uomo. Siamo a ribadire l’ovvio: un francese può tranquillamente vivere in Giappone, così come un senegalese in Italia o un argentino in Australia. E via discorrendo. È il meccanismo ad essere totalmente sballato. Non è questa la sede per snocciolare statistiche, ma l’integrazione – specialmente tra popoli e culture differenti tra loro – può avvenire solamente per rapporti di forza.
Quando questi in un brevissimo lasso di tempo vengono stravolti, arrivano – tra le altre cose – le banlieue, la radicalizzazione, i ghetti e l’alienazione. Con tutto quello che ne consegue. “Qui non sei più straniero ma cittadino dell’impero” sarebbe un altissimo concetto. Purtroppo nell’Europa del 2024 – dimentichi di cosa significhi essere portatori di doveri e (successivamente) diritti, oltre che di ogni visione a lungo termine – non abbiamo più né uno né l’altro.
Cesare Ordelaffi