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Dopo i cinesi, le banche. Le reti energetiche nazionali (non) sono in buone mani

by Filippo Burla
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gasdottoRoma, 14 nov – Arriva a conclusione il processo di parziale dismissione delle partecipazione pubbliche. Protagonisti, a questo giro, sono le fondazioni bancarie, affiancate dalla cassa di previdenza forense. Dalla parte del venditore, invece, troviamo Cassa Depositi e Prestiti. Oggetto della cessione Cdp Reti, il veicolo attraverso cui il braccio operativo del ministero dell’Economia controlla Terna e Snam.

La decisione non giunge inattesa ma era già stata assunta nel consiglio di amministrazione che, a luglio, aveva dato il via libera all’ingresso in Cdp Reti di State Grid corporation, società cinese direttamente controllata dall’esecutivo di Pechino. Se i cinesi si erano presi il 35%, le trentatré fondazioni bancarie (insieme, come detto, all’istituto di previdenza degli avvocati) hanno invece investito circa 313.5 milioni per circa il 6% del capitale. Quota che va comunque considerata al rialzo, dato che le fondazioni sono già azioniste di minoranza della stessa Cdp.

La Spa di via Goito rimane così in possesso di circa 59% del capitale della società che custodisce, a sua volta, il 30% sia di Snam che di Terna. La percentuale detenuta indirettamente dallo Stato è tuttavia destinata a scendere, visto che l’obiettivo è quello di collocare almeno un ulteriore 8%. Acquirenti potranno essere ancora le fondazioni o anche fondi pensione ed altri investitori istituzionali. La catena di controllo si farà così -ed in parte lo è già, visto che Pechino ha chiesto ed ottenuto la nomina in Cdp Reti di due amministratori su cinque- estremamente articolata. Vero che la maggioranza assoluta resterà comunque in mano pubblica ma, nel gioco di partecipazioni incrociate, le armi in mano al governo in un settore di tale rilevanza strategica si fanno sempre più spuntate.

Filippo Burla

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