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La partecipazione all’utile delle imprese è legge (fascista!)

by Tony Fabrizio
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Roma, 15 mag – 85 sì, 21 no e 28 astenuti: la partecipazione agli utili d’impresa da parte dei lavoratori è legge! Il provvedimento, presentato in Parlamento il 26 febbraio ultimo scorso, è ora definitivo. Una vittoria lunga ottant’anni.

Approvata la proposta di legge sulla partecipazione agli utili d’impresa da parte dei lavoratori

A 24 ore dall’approvazione della proposta della Cisl divenuta legge dello Stato, nessun matto lanciatore di pietre ha ancora lanciato l’allarme secondo cui un’aula sorda e grigia è stata trasformata in un bivacco di manipoli. Nessuna gattara dai capelli viola ha visto la secessione dell’Aventino, eppure sentire parlare più che concretamente nella capitale, Roma, non Verona, di socializzazione delle imprese fa un certo effetto. Sì, siamo nel 2025 e questo tema, seppur concezione di quasi un secolo fa, è più attuale che mai. Anche, se già nel 1946 ci avevano già provato.

Siamo precisamente a maggio del 2025, a una manciata di giorni dal referendum di cui ben 4 quesiti su 5 riguardano il lavoro, proposti da un altro sindacato – quello più fantasioso e che vede lo spettro del Fascismo là dove non c’è – eppure non si registrano ancora prese di posizione nemmeno a opera di fanatici democratici che mangiano pane e Costituzione e che cianciano di antifascismo del e nel trattato: i Padri Costituenti, infatti, scevri da sciovinismo ideologico, avevano introdotto in Costituzione le novità che il Fascismo, quello sansepolcrista rivoluzionario prima, quindi, quello che animò la Repubblica Sociale, come si può leggere nel Manifesto di Verona poi, proponeva di introdurre a tutela del mondo del lavoro a ogni livello. L’art. 46 del dettato costituzionale (non del Carnaro anche se…), infatti, recita “Ai fini della elevazione economica e sociale del lavoro e in armonia con le esigenze della produzione, la Repubblica riconosce il diritto dei lavoratori a collaborare, nei modi e nei limiti stabiliti dalle leggi, alla gestione delle aziende.”, ma mai è stato attuato proprio grazie al certosino lavoro dei sindacati che “difendono i lavoratori”. Per questo il centrodestra di governo parla di “svolta storica” e il ministro del Lavoro Marina Calderone si dice soddisfatta: “Voglio ringraziare i parlamentari che hanno approvato in via definitiva la legge sulla partecipazione dei lavoratori agli utili delle imprese. Un impegno importante che abbiamo preso con le migliaia di firmatari e il mondo del lavoro, perché oggi abbiamo finalmente applicato l’art. 46 della nostra Carta fondamentale”, per poi concludere “Oggi è stata scritta una pagina storica. Siamo felici di aver accompagnato il processo di approvazione della norma”.

Dal corporativismo alla partecipazione

Che il governo si intesti un successo non completamente suo, conta poco o nulla proprio se si fa un ragionamento non di partitismo, ma di corporativismo. Anzi, forse ne guadagnerebbero in coesione in primis le forze di governo e, in secundis, anche le associazioni. E se è vero che l’unione fa la forza… Ben 15 gli articoli suddivisi in 8 capi per attuare l’articolo 46 della Costituzione: innanzitutto, si delineano quali siano queste forme di partecipazione – ben quattro regolate nell’articolato: gestionale, economica-finanziaria, organizzativa e consultiva – per poi passare ai modi di partecipazione, con specifico riferimento ai contratti nazionali di categoria. L’articolo 5 regola, invece, la materia della distribuzione degli utili aziendali ai dipendenti, prevedendo un’imposta sostitutiva su questi redditi del 10% entro il limite di 5mila euro annui lordi. Insomma, i lavoratori non saranno più salariati inconsapevoli, ma potranno, se vorranno, condividere il destino dell’azienda per la quale lavorano e migliorare la propria condizione seguendo la crescita dell’impresa presso la quale prestano servizio. Un congedo da quella parte divisiva del ‘900 vissuta con le occupazioni delle fabbriche, dei picchetti, della violenza ovviamente colorata, della retorica del binomio del lavoratore-sfruttatore e del potere proletario, meglio operaio, fino al terrorismo omicida che annovera tra le proprie battaglie vinte l’uccisione di imprenditori, giuslavoristi, accademici e sindacalisti.

Insomma, una “sconfitta di campo” per gli odiatori seriali e un trionfo, una conferma che quella Idea è ancora attuale, è ancora valida e necessaria perché rivoluzionaria. Cent’anni dopo. Alla fine, che cosa si voleva? “Italia. Repubblica. Socializzazione”. Con buona pace della Costituzione antifascista e dei finti democratici e falsi colti che non l’hanno mai letta.

Tony Fabrizio

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