Washington, 4 feb – La politica monetaria ultra-espansiva che la Federal Reserve ha attuato negli anni passati, definita in termini economici con il nome di quantitative easing, e che ha permesso agli Stati Uniti di tirarsi fuori dal pantano della crisi innescata dai mutui sub-prime, sta producendo i suoi negativi effetti in altre zone del pianeta.
La banca centrale americana nel maggio del 2013 aveva annunciato un taglio agli stimoli monetari in virtù degli indici economici tornati tutti in positivo. Il Pil nel terzo trimestre dell’anno appena concluso si è impennato del 4,1%, a livelli di economia emergente, la produzione industriale viaggia sopra l’1% di crescita e anche i disoccupati calano in un trend di crescita economica assai confortante. Per non incorrere in un eccesso di inflazione e per non creare ulteriori bolle speculative nei mercati, la Fed ha così deciso di mettere in campo, nelle ultime settimane, il tapering, vale a dire una progressiva riduzione degli stimoli monetari.
I capitali fluiti in abbondanza dal 2008 verso le economie emergenti (tra cui, Cina, India, Brasile, Turchia, Indonesia, Sudafrica, etc.) hanno iniziato a prendere la via del ritorno negli Usa, sull’attesa di un rialzo dei tassi americani. Ecco spiegata la ragione delle difficoltà economiche/monetarie che suddetti paesi stanno in questi giorni attraversando. Il deflusso di miliardi di dollari dalle economie emergenti sta trascinando all’inferno le loro valute, facendo venire al pettine nodi finora ignorati, come il passivo commerciale spesso consistente di alcuni di questi mercati. E la Fed è stata in buona parte la concausa di tutti questi mali.
Ora, che la fuga dei capitali si sta incrementando i governi dei paesi emergenti stanno cercando di rimediare con un’impennata dei tassi e rispolverando qualche riforma. Ma tutto appare fuori tempo massimo: la Turchia sta facendo di tutto per difendere la sua moneta salita sull’ottovolante, ma anche il rublo russo non se la sta passando bene, tanto che qualche economista comincia a preconizzare l’ennesima crisi globale. Il peso dei Paesi emergenti rischia comunque di causare un effetto contagio: la fine dell’era della liquidità facile che ha sostenuto queste economie rischia di sgretolare le certezze di crescita economica.
Il governatore della Reserve Bank of India, Raghuram Rajan, ha chiesto che la Fed coordini le sue mosse con le altre banche centrali minori e possa frenare il ritmo dei tagli agli stimoli, in considerazione di quanto sta avvenendo tra le emergenti.
Ma la prosecuzione del tapering ad opera della Fed non sta coincidendo con un rialzo dei rendimenti sul mercato americano, e questo è un dato che sicuramente nessuno negli States aveva previsto. Se la banca centrale statunitense dovesse recedere dalle sue intenzioni solo per via di tensioni sulle valute emergenti (visto che il mercato del lavoro Usa nonché la crescita economica sembrano essere sulla strada giusta) perderebbe credibilità, aggravando le tensioni sui mercati e sulle economie forse anche più che procedendo sulla propria strada. Insomma, sembra che ci si sia cacciati nell’ennesimo cul-de-sac.
Giuseppe Maneggio