Questo articolo, che affronta la questione della religiositร nellโantica Roma, รจ stato pubblicato sul Primato Nazionale di aprile 2018.
Anno 70 dellโevo volgare. Siamo a metร , circa, del mese di settembre. Dopo un lungo assedio, durato oltre sei mesi, Tito Flavio Cesare Vespasiano conquista la formidabile roccaforte di Gerusalemme. E con essa viene, di fatto, domata la ribellione scoppiata nella provincia della Giudea. Si tratta di una delle imprese militari piรน sbalorditive di tutti i tempi, tale da destare ancor oggi ammirazione e analisi tra gli studiosi. Del resto, Gerusalemme, allโepoca, era giudicata inespugnabile per la presenza di imponenti torri e massicce opere difensive, come la famosa fortezza Antonia. Avuta ragione della resistenza nemica, lo storico Flavio Giuseppe metterร in bocca a Tito queste parole: ยซCon lโaiuto del Dio [Giove Ottimo Massimo] abbiamo dichiarato guerra. E la divinitร รจ stata la sola a buttare giรน i Giudei dalle loro fortificazioni, giacchรฉ che cosa avrebbero potuto fare le mani degli uomini e le macchine per lโassedio contro queste torri?ยป (Bell. Jud. VI 411).
Siamo, รจ vero, in unโepoca di relativa prosperitร per le sorti romane e continuitร ideale con il passato. Ma lโidea che le fortune militari della res publica imperiale derivassero da un corretto esercizio del rapporto con le forze divine era ancora diffusa due secoli piรน tardi, quando giร la crisi spirituale e le invasioni barbariche avevano iniziato a erodere le fondamenta della civiltร latina. Cosรฌ, lโimperatore Aureliano, di fronte al minaccioso apparire della tribรน dei Marcomanni sul limes, incerto sul da farsi, non esitรฒ a ordinare la consultazione dei Libri Sybillini, spiegando che ยซnon cโรจ da vergognarsi a vincere con lโaiuto degli dรจi, poichรฉ in questo modo molte guerre furono iniziate e terminate presso gli antichiยป (SHA, Aurel. 20,7).
I patrii auspici
Un ultimo esempio illustra lโimportanza di una siffatta concezione. Secondo una notizia consegnataci da Giulio Paride, tardo epitomatore dei Factorum et dictorum memorabilium di Valerio Massimo e riferita allโanno 241 a.e.v., ยซa Lutazio Cercone, che pose fine alla Prima guerra punica, fu vietato dal Senato di consultare le sortes della Fortuna di Praeneste: consideravano, infatti, che la cosa pubblica dovesse essere amministrata secondo gli auspici patri e non quelli stranieriยป(Ep. 1,2,3). Il contorno storico รจ chiaro: ci troviamo al termine della crisi bellica con Cartagine, che di lร a poco vedrร le armi romane prevalere sulle brame di conquista puniche, chiudendo la prima guerra contro lโodiato nemico nei termini di una pace vittoriosa. Il Senato, perรฒ, impedisce al console Q. Lutazio di consultare le sortes prenestine (minute tavolette di quercia, estratte a caso da unโurna lignea dโulivo per mano di un bimbo), opponendo a esse gli auspicia di Roma, ossia lโosservazione dei segni forniti dal comportamento degli uccelli o dai fenomeni metereologici.
Le fondamenta politiche
dellโattuale area europea
vanno ricercate
nellโespressione universale
della civiltร italico-romana
Del resto lโUrbe era vicina a prevalere dopo un lungo periodo che ne aveva messo alla prova tempra e forze, alternando grandi vittorie a terribili rovesci militari. In questo feroce bellum con Cartagine, i Romani avevano potuto contare, come in passato, su loro stessi e sulla loro straordinaria capacitร militare, adattandosi felicemente a un campo pressochรฉ sconosciuto, come quello della strategia e tattica navale. Avevano, soprattutto, badato allโausilio delle forze divine. Proprio il sistema degli auspici si era trovato al centro del dibattito e dellโattenzione. Ed era stato messo alla prova duramente: solo otto anni erano passati dalla devastante sconfitta sul mare di Trapani, a causa dellโincuria mostrata dal console P. Claudio Pulcro che aveva gettato in acqua, con inaudito disprezzo, i polli augurali โ i quali si erano mostrati disappetenti verso il cibo loro offerto, consigliando cosรฌ di rinviare la battaglia in un altro giorno piรน favorevole โ esclamando che se non volevano mangiare, almeno bevessero. Quello stesso anno, poco dopo, si era verificato un altro caso nefasto: quello del console collega di Claudio Pulcro, vale a dire L. Giunio Pullo, il quale per aver negletto ancora una volta i contrari auspici, aveva causato la perdita di unโintera flotta, oltre 100 navi, spazzata via da una tempesta presso Camarina. Per entrambi, come ammonirร molti anni dopo Cicerone, sarebbe stato ยซdoveroso obbedire alle prescrizioni religiose e non si doveva contravvenire alle usanze patrie in modo cosรฌ arroganteยป (De div. II 33,71). Il loro destino, terribile: ambedue finiranno suicidi, in solitaria disgrazia.
Da poco tempo โ correva lโanno 245 โ invece, gli dรจi romani avevano mostrato un esempio della loro potenza, distruggendo, a loro volta, unโintera squadra navale cartaginese, giร sbaragliata e messa in fuga in battaglia. Il lieto evento fu accompagnato da ottimi auspici ex avibus:un fausto volo di poiane era stato scorto sopra le navi latine, di talchรฉ il console al comando divenne noto come Marco Fabio Buteone (dal lat. buteo, ยซpoianaยป). Quel giorno, la gens Fabia riscattava sรฉ stessa e lโintera comunitร dal terribile eccidio del Cremera, avvenuto oltre un secolo prima e a cui era scampato un unico soggetto appartenente a quellโantico lignaggio. In questo clima, dunque, non stupisce che il Senato abbia opposto un fermo rifiuto alla consultazione di un oracolo considerato straniero, per molti aspetti oscuro e misterioso, sebbene reputato per fama di gran valore e assai diffuso tra la popolazione, di cui dunque cโera poco da fidarsi, anche per mancanza di precedenti diretti che ne potessero confermare lโaffidabilitร : ยซIl mondo romano รจ quello che rifiuta lโazzardo, la casualitร (e non importa se si tratti di un rito religioso o del gioco dei dadi), in favore della ragione e della riflessione, ossia della responsabilitร personale, quella di cui debbono dar prova gli uomini pubblici e la gente dโun certo livello socialeยป, ha acutamente sottolineato Dario Sabbatucci.
Salute e abbondanza
LโUrbe aveva testato ancora una volta, positivamente, la forza del suo numen garante durante quegli anni travagliati. A che procambiare? Le particolari fortune di un piccolo centro proto-urbano di pastori e contadini, circondato da numerose e ben piรน potenti popolazioni o nazioni, che Roma, aggredita da piรน parti, aveva saputo piegare una a una, dimostravano che il mantenimento del legame con gli dรจi garantiva il successo della res publica, del bene comune. Certo, ai Romani non mancava il realismo. Come ha osservato lo storico Nathan Rosenstein, ยซin termini pratici gli uomini sul campo vincevano o perdevano le loro battaglieยป; ma se ยซlโaiuto degli dรจi da solo non era mai sufficiente per raggiungere la vittoria, non di meno esso era essenzialeยป e, qualora fosse mancato, ยซil fallimento era inevitabileยป.
Esercitare il potere umano
significa governare insieme
con gli dรจi, decidere con essi
che cosa sia lecito e giusto fare
Ma la communitas populi romani non costituiva solo una ยซcaserma a cielo apertoยป. Benessere significava anche ricchezza delle messi, abilitร nel commercio, lontananza delle pestilenze. La stessa divinitร protettrice di Roma, Iuppiter Optimus Maximus, derivava lโepiteto optimus da ops, ossia ยซabbondanzaยป, ยซfertilitร ยป. Giove รจ dunque anche il garante della fortuna politico-sociale della civitas. Un dono che la civiltร romana seppe aumentare e far crescere in ogni campo, dalla letteratura allโarchitettura, dal diritto alla costruzione di forme politico-costituzionali, sino a divenire un modello per lโintera Europa occidentale. Iberia, Britannia, Gallia e parte della Germania devono la loro nascita, come future nazioni, e il loro sviluppo allโinfluenza del mondo latino: sicchรฉ si puรฒ ben dire che le attuali fondamenta dellโodierna area europea, per quanto assai decadenti e lontane idealmente da ciรฒ che fu lโinsegnamento ed esempio dei nostri avi, vanno ricercate non nelle fragili e ambigue basi della dottrina cristiana o del pensiero liberale, come ci viene spesso detto, ma nellโespressione universale della civitas italico-romana e in quella che fu definita, giustamente, la ยซcittร degli dรจiยป.
La fondazione
Questo straordinario rapporto con il mondo del sovrannaturale ha una precisa data di inizio: il 21 aprile dellโanno 753 a.e.v. In quella giornata, Romolo compie due atti normativo-sacrali di importanza fondamentale. Dopo aver proceduto a tracciare il sulcus primigenius secondo le indicazioni dei libri rituales dellโEtrusca disciplina, fondando cosรฌ lโUrbe e stabilendo il patto con i numina di Roma, delimita poi lo spazio sacrale del pomerium sulla scorta del sapere augurale italico-romano. Quel confine sarร gravido di implicazioni politico-costituzionali, costituendo il fondamento e la separazione, a un tempo, tra spazio del vivere quotidiano, civile e quello in cui si assume il comando militare, si amministrano i rapporti con chi รจ ostile.
Ma non basta. Poco tempo prima di procedere alla fondazione dellโUrbe, secondo il resoconto tradizionale โ di cui, dopo anni di ipercritica, nessuno pare piรน dubitare a seguito delle scoperte condotte da Andrea Carandini โ avviene una contesa sacra che oppone Romolo a Remo per decidere chi dei gemelli avrebbe dovuto provvedere alla fondazione della cittร , a stabilirne il nome, quale luogo prescelto avrebbe ospitato la primigenia comunitร romana e, forse, il giorno della fondazione a sciogliere ogni interrogativo. Significativamente, la versione piรน risalente di Ennio definirร il primo degli uccelli ad apparire nel campo visivo di Romolo con queste parole: ยซE ora la fulgida luce riapparve raggiante, spinta fuori nel cielo; e nello stesso tempo, lontano, dallโalto, proveniente da sinistra volรฒ un uccello bellissimo, di ottimo auspicioยป; poi, poco dopo, ecco mostrarsi, in numero di dodici, gli auspici che sanzionano la vittoria di Romolo: ยซAppena sorge lโaureo sole, scendono dal cielo dodici corpi sacri di uccelli posandosi su luoghi fausti e di splendido augurio. Da ciรฒ Romolo comprese che a lui era stata data la preferenza, che in seguito allโauspicio gli era stato assicurato il seggio regale e il territorioยป (Cic. De Div. I 48,107 = Enn. fr. 90-97 Vahlen).
La pax deorum
Allorquando si ripete un famoso detto popolare, e cioรจ che Roma non รจ stata creata in un sol giorno, si dice in realtร una sciocchezza. Il populus Romanus Quirites era sorto in un determinato luogo, in un preciso momento, grazie al volere di Iuppiter, accertato dagli auspicii-augurii romulei: ยซLโesistenza del popolo romano si fonda sulla volontร divina, manifestatasi storicamente e giuridicamente in un โpunto dello spazio-tempoโยป, ha opportunamente osservato Pierangelo Catalano. Per questo motivo ogni successore di Romolo ne seguirร lโinsegnamento, ri-stabilendo di volta in volta il pactum con gli dรจi: รจ la pax deum. Come ha spiegato Riccardo Orestano, ยซtutta la vita privata e quella pubblica erano dominate dallโassillo ansioso e ininterrotto di operare in accordo con queste โforzeโ o โdeitร โ, di procurarsi il loro ausilio, di propiziarsi il loro assenso, di mettersi al riparo dalle loro influenze ostili, di non fare nulla che potesse suscitare il loro sfavore o una loro reazione. La paura di non soddisfare gli dรจi o, peggio, che qualche atto o comportamento potesse rompere la pax deorum da cui dipendevano il benessere dellโindividuo, della famiglia, della comunitร , rendeva il romano continuamente attento a cercare in qualunque aspetto della natura i segni della volontร divinaยป.
Accertare la volontร degli dรจi rispetto a una decisione o azione umanada intraprendere e, meglio ancora, scrutarne lโapprovazione o disapprovazione, il permesso o il dissenso, onde conformarvisi, diviene essenziale per poter agire in modo sacralmente corretto e legittimo sotto un profilo giuridico e umano a un tempo. Ogni importante atto pubblico, quale che fosse, risultava divinamente orientato dallโalto, sia sul piano condizionale sia su quello spaziale e temporale: a Roma esercitare il potere umano significa governare insieme con gli dรจi, decidere con essi che cosa sia lecito e giusto fare.
Un patto rinnovabile
Si tratta di semplice archeologia? Di splendido esercizio storico-filologico fine a sรฉ stesso? O, peggio, di mito incapacitante? No, non solo. La vicenda della fondazione dellโUrbe puรฒ ancora fornire utili indicazioni sul nostro futuro. Il vincolo contrattuale stabilito con il mondo celeste non รจ solo da intendere come ยซsituazione per cui gli dรจi sono in amicitia con gli uomini, ai quali concedono i benefici che essi si aspettano da loroยป, esprimente perciรฒ una vicinanza particolare, una protezione accordata dai numina al popolo romano, ma ancor piรน da concepire come il patto normativo-sacrale che legava la civitas, sin dalla fondazione, ai suoi dรจi e che gli abitanti dellโUrbe hanno posto alla base e come spiegazione delle loro stesse fortune.
Una nuova fondazione
della civiltร italica
รจ precisamente ciรฒ
che ci occorre oggi
Questo sistema od ordinamento giuridico-religioso, che definiamo pax deum, non รจ neppure un semplice do ut des, come sovente vien detto in modo un poโ riduttivo, ossia un vero e proprio negozio bilaterale, concluso tra il popolo Romano per mezzo dei suoi organi o rappresentanti pubblici e le forze divine chiamate a intervenire di volta in volta, sottoposto a obbligazioni determinate, in cui a una precisa azione rituale, a un savoir faire liturgico, doveva necessariamente seguire lโeffetto indicato. Lโidea dellโalleanza degli uomini con lโuniverso celeste รจ tale per cui lo stato dei rapporti tra i due mondi, di norma, viene costituendosi sotto un vincolo in apparenza contrattualistico, ma essi sono poi regolati nella sostanza dalla fides, secondo la concezione di essa sviluppata in ambito sacerdotale: la quale non costituisce affatto un abbandono mistico, secondo la nozione cristiana, ma รจ un legame posto sotto il vincolo del rispetto del rapporto sorto, del mantenimento degli impegni assunti.
Ecco, questo rimane il senso piรน profondo e proprio della fondazione romulea. Trarre linfa da quellโepisodio, restando fedeli ai costumi e insegnamenti dei nostri avi, al loro spirito e modo di agire in ogni campo, senza nulla cedere, ma anzi restando vigili sul limes e pronti allโazione contro coloro che vorrebbe annientare la terra Italia e la sua tradizione, resta lโobiettivo principale, al di lร delle odierne contingenze. Del resto, ancora dal nostro passato possiamo trarre spunto. Il topos della speciale forza dellโauspicio fornito dai sacri segni inviati da Iuppiter si presenterร , pressochรฉ immutato, il 19 agosto del 43 a.e.v., a Gaio Cesare Ottaviano nel giorno successivo allโelezione al suo primo consolato, allโatto di cogliere i propri auspici di investitura, sicchรฉ ยซgli si mostrarono, come giร a Romolo, dodici avvoltoiยป (Svet. Aug. 95). Con il che lโAugusto procederร a ri-fondare Roma per la seconda volta, avviandola a unโaurea aetas dopo anni di guerre civili e scontri tra fazioni politiche. Una nuova fondazione della civiltร italica รจ precisamente ciรฒ che occorre oggidรฌ. E quanto ne ha bisogno questa terra martoriata.
Stefano Bianchi