Roma, 1 giu – Quello di WhatsApp è un dietrofront che pone ulteriori domande sulla legittimità del monitoraggio degli utenti da parte di social e piattaforme di messaggistica istantanea controllati da multinazionali. Ricorderete l’avviso che compariva su WhatsApp: accettare le nuove regole della società entro il 15 maggio, altrimenti non avrete più la possibilità di utilizzare determinate funzioni dell’applicazione, tra cui chiamate e messaggi. Un avviso “inquietante”, perché in pratica molti utenti dedussero ovviamente che senza il via libera alle nuove regole non avrebbero più potuto utilizzare WhatsApp.
Il dietrofront di WhatsApp
Da un paio di settimane almeno, quell’avviso è scomparso. Non lo visualizza più neppure chi si è rifiutato di approvare quanto richiesto dalla società, o chi semplicemente si è scordato di dare il proprio assenso. Che è successo? L’applicazione, che ricordiamo fa parte del gruppo Facebook di Mark Zuckerberg, ha improvvisamente optato per un cambio di approccio. “Date le recenti discussioni con varie autorità ed esperti di privacy, vogliamo chiarire che attualmente non abbiamo in programma di limitare la funzionalità per coloro che non hanno ancora accettato l’aggiornamento. Continueremo invece a ricordare agli utenti di volta in volta le novità dell’aggiornamento”, hanno spiegato ieri rappresentanti di WhatsApp al sito TheNextWeb.
La stessa app adesso fa presente che non prevede di trasformare il promemoria sull’aggiornamento delle regole privacy in persistente, come affermato inizialmente. Al di là delle motivazioni ufficiali, molti sospettano che il dietrofront sia dovuto al forte malcontento degli utenti che aveva generato un improvviso abbandono dell’applicazione di messaggistica a vantaggio di concorrenti come Telegram e Signal. Cosa peraltro già accaduta lo scorso gennaio.
Ma resta un dubbio
Non trascurabile neppure la presa di posizione della Germania, che a inizio maggio ha bloccato la raccolta dati di WhatsApp. “Dobbiamo prevenire i danni e gli svantaggi legati a una tale procedura condotta a scatola chiusa”, spiegò il Garante della Privacy di Amburgo. Sulla questione era intervenuta la scorsa settimana pure l’India, chiedendo a WhatsApp di ritirare l’avviso e affermando che le nuove regole violavano le leggi vigenti nel Paese asiatico. Tutto è bene quello che finisce bene dunque? Non proprio, perché resta un dubbio: chi ha accettato i termini di servizio richiesti inizialmente dall’applicazione? Può a questo punto rivalersi nei confronti della società? Mistero.
Alessandro Della Guglia