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Cambiano l’inno e tirano uova alla bandiera: fermiamoli

by Adriano Scianca
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altare-della-patria1Roma, 3 mag – Ci sono a volte piccoli segnali che rivelano grandi tendenze. Nella cronaca dei giorni scorsi, questi segnali si sono come addensati in un grumo di notiziole che sta lì a metterci di fronte al fatto compiuto: il fronte dell’anti-nazione è più forte che mai. Sono eloquenti, in tal senso, tre fatti simbolici avvenuti cavallo dello scorso primo maggio.

Prima notizia: alla vigilia dell’apertura dell’Expo, i centri sociali offrono ai milanesi l’antipasto della giornata di fuoco che hanno in serbo per loro. Vedendo queste scene un notaio, ex alpino, decide di esporre dal balcone un tricolore italiano. La bandiera scatena un riflesso pavloviano nella folla sottostante, che comincia a insultare l’uomo, a tirare uova contro di lui e soprattutto contro il tricolore.

Seconda notizia: è il primo maggio, questo benedetto Expo finalmente apre i battenti. Nella cerimonia d’apertura, il coro dei “Piccoli cantori di Milano” si prende la libertà di cambiare addirittura le parole dell’inno di Mameli, che anziché recitare “siam pronti alla morte” ora riporta un più buonista “siam pronti alla vita”. Il premier Renzi è entusiasta dell’idea, tanto da citare la nuova strofa nell’incipit del suo discorso. Tanto valeva aprire uno striscione sul palco con la scritta “Mameli sei un coglione”, dato che l’autore dell’inno dimostrò proprio di essere pronto alla morte, a 22 anni, nel corso della difesa di Roma.

Terza notizia: corteo del primo maggio, Trieste. In piazza, accanto alle bandiere dei sindacati, vengono esposti drappi dell’ex triesteJugoslavia, con tanto di stella rossa, e si inneggia all’infoibatore Tito.

Che due di questi fatti riguardino la sinistra radicale e uno quella moderata, liberale e berlusconizzata è significativo: l’odio per la nazione unisce là dove l’ideologia e la tattica politica dividono.

Il tutto mentre i cento anni dell’entrata in guerra dell’Italia nel primo conflitto mondiale vengono celebrati alla chetichella, senza fondi e senza voglia, con l’anniversario di quella che fu vissuta come la “quarta guerra d’indipendenza” sopraffatto dal settantennale della solita “Liberazione”.

Nelle librerie, intanto, pullulano i libri disfattisti sulla Grande guerra, di cui ormai è impossibile parlare, quando lo si fa, se non nei termini della “inutile strage”. Una retorica umanitaria che oltre a essere ignobile eticamente, perché dice a centinaia di migliaia di caduti che la loro morte è stata inutile e dovuta a un capriccio di governi guerrafondai, è anche assurda alla luce della situazione odierna: in un mondo sempre più feroce, radicale, caotico, noi abbiamo perso gli strumenti culturali per capire cos’è una guerra, mettendoci di fatto nelle mani del primo che bussi alla nostra porta armato con qualcosa di più che semplici ideali di pace.

Nel grande golpe globale delle oligarchie che ha sconvolto il mondo e ha infiammato il Mediterraneo, questa disposizione mentale anti-nazionale è semplicemente suicida e deve attivare per reazione gli anticorpi di tutti coloro che abbiano una coscienza nazionale non del tutto estenuata. Perché stavolta nessuno verrà a salvarci. Stavolta è tutto nelle nostre mani.

Adriano Scianca

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1 commento

rob erto pecchioli 3 Maggio 2015 - 4:52

L’odio antinazionale si era un po’ placato dagli anni novanta. Oggi è in ripresa perché la globalizzazione mondialista è INTERNAZIONALISTA più del comunismo : in questo senso, le destre liberali e le sinistre- progressiste , comuniste o francamente nichiliste pari sono. LO schieramento è: un fronte nazionale e popolare contro di loro. Ce la faremo
?

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