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Da Draghi a Franceschini fino a Di Maio: è partito il toto-premier (se salta Conte)

by Valerio Benedetti
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Roma, 26 gen – La crisi di governo, che sembrava una crisi pilotata, si è presto trasformata in un salto nel buio. E questo, Giuseppe Conte, lo aveva capito. Non per caso ha aspettato fino all’ultimo per salire al Colle e presentare le dimissioni. In attesa delle consultazioni del Quirinale e della partita a scacchi che si giocherà nei prossimi giorni, l’ipotesi più probabile resta il reincarico dello stesso Conte. Ma se la testa dell’ex «avvocato del popolo» dovesse cadere? Escluso il voto anticipato (che orrore!), è ormai partito il toto-premier. E la rosa dei nomi è già molto ampia.

Il braccio di ferro giallofucsia

Con Conte fuori gioco, i 5 Stelle faranno di tutto per piazzare un loro uomo. Ai tempi del governo gialloverde, l’avvocato pugliese fu scelto proprio dai grillini (i veri trionfatori delle elezioni) come figura-fantoccio per mascherare la diarchia Salvini-Di Maio. Stesso discorso quando si è trattato di fare l’inciucio con il Partito democratico. Ma ora che è in gioco il bersaglio grosso, ecco che i pentastellati potrebbero rialzare la voce. Ed è proprio Luigi Di Maio il nome più papabile, con il presidente della Camera Roberto Fico che rimane sullo sfondo. L’ipotesi di un premier grillino, però, rimane improbabile. La crisi è stata scatenata proprio per ridimensionare il M5S, che ormai ha una maggioranza puramente virtuale. Questo lo sanno pure Di Maio e sodali. Ecco perché hanno detto «o Conte o si va a votare». Ma non ci crede nessuno.

Il toto-premier visto dal Pd

Dalle parti del Nazareno tutti spergiurano che, «se cade Conte, l’unica alternativa sono le elezioni anticipate». È ovviamente un bluff, ma serve alla bisogna. Un premier del Partito democratico, del resto, sarebbe ben gradito a Renzi, che anzi proprio in questo sperava. Il nome maggiormente accreditato nel toto-premier è quello di Dario Franceschini, l’eminenza grigia dei dem. Le sue chance, tuttavia, dipendono soprattutto dall’amore per la poltrona che anima i grillini. Per loro, infatti, accettare un presidente del Consiglio piddino significherebbe calarsi le braghe e condannarsi a definitiva morte. Ma ormai lo abbiamo capito: pur di finire questa legislatura, i pentastellati venderebbero anche la madre e la sorella.

Tra i due litiganti, il tecnico gode

Se M5S e Pd non riuscissero a trovare la quadra, ecco che torna in auge l’ipotesi governo tecnico, che i nostri politici hanno subito ribattezzato «governo di salvezza nazionale». Una formula che stona decisamente con i nomi dei papabili. Il più accreditato nel toto-premier è, ovviamente, Mario Draghi, l’uomo del Britannia e del golpe bianco del 2011. «Marione» sarebbe una vera iattura per l’Italia, ma ha il pregio di piacere anche a Salvini e, soprattutto, a Berlusconi. Con Draghi a Palazzo Chigi, Silvio non ci penserebbe due volte a giubilare gli alleati di centrodestra e a fare la grande ammucchiata con Pd, Renzi e compagnia cantante. Un Patto del Nazareno 2.0, insomma. Ma non c’è solo Draghi: anche Carlo Cottarelli, l’«uomo del Quirinale», non vedrebbe l’ora di assurgere al trono. Mattarella lo usò nel 2018 per soffocare sul nascere la maggioranza gialloverde, che aveva avuto l’ardire di proporre un euroscettico (Paolo Savona) al ministero dell’Economia. Ma fu un disastro: alle Camere Cottarelli avrebbe preso la bellezza di zero voti, e così il Colle lasciò perdere. Ma non è detto che non ci riprovi a tre anni di distanza.

Valerio Benedetti

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