Roma, 23 sett – “Un’ondata di violenza senza precedenti, indegna dei Paesi Bassi”: con queste parole Jan van Zanen, sindaco dell’Aia, ha commentato i fatti di sabato 20 settembre. Nella capitale politica olandese circa 1.500 persone si sono radunate al Malieveld per una manifestazione contro l’attuale politica d’asilo, convocata da una giovane influencer di destra, la 26enne Els Noort, nota sui social come “Els Rechts”. Quella che doveva essere una protesta pacifica si è trasformata in guerriglia urbana, a poco più di un mese dalle elezioni anticipate del 29 ottobre.
In Olanda la piazza dell’Aia esplode
Secondo i dati ufficiali, la protesta ha visto la partecipazione di circa 1.200 militanti secondo la polizia, 1.500 secondo altre fonti. Fin dall’inizio il clima è apparso teso: molti indossavano abiti neri, sventolavano bandiere nazionali e vessilli associati a gruppi della destra radicale. La situazione è degenerata rapidamente: bottiglie, pietre e fuochi d’artificio contro gli agenti, che hanno risposto con lacrimogeni e cannoni ad acqua. Una volante della polizia è stata data alle fiamme, mentre alcuni gruppi hanno bloccato l’autostrada A12 e altri hanno marciato verso il centro città. Gli scontri hanno provocato almeno undici feriti, tra cui quattro poliziotti e sette giornalisti. Oltre trenta persone sono state arrestate. La stessa Unione di polizia ACP ha denunciato che gli agenti erano arrivati “a un millimetro” dall’essere costretti a estrarre le armi da fuoco, sentendosi seriamente minacciati. Il portavoce Patrick Fluyt ha invocato l’adozione di munizioni “marcanti”, proiettili colorati che restano una via di mezzo fra i manganelli e i colpi letali.
Attacchi politici e simbolici
Particolarmente grave è stato l’attacco alla sede del partito progressista D66, considerato da molti manifestanti come emblema delle élite filo-immigrazione. Le finestre degli uffici sono state infrante e, secondo il leader Rob Jetten, i danni interni risultano “estesi”. “Se pensate di intimidirci, vi sbagliate di grosso. Non permetteremo mai che estremisti ci portino via il nostro Paese”, ha dichiarato Jetten. Le condanne sono arrivate da tutto l’arco politico: il premier ad interim Dick Schoof ha definito le immagini “scioccanti e bizzarre”, parlando di violenze “totalmente inaccettabili”. Anche Geert Wilders, capo del Partito per la Libertà (PVV) e favorito per le elezioni, ha preso le distanze, definendo “idioti” i responsabili degli scontri e ribadendo che la battaglia per un’“Olanda libera dall’immigrazione di massa” deve rimanere politica e non degenerare in violenza. Al centro dell’attenzione mediatica c’è Els Noort, ormai conosciuta da tutti con nome e cognome dopo essersi a lungo nascosta dietro lo pseudonimo di “Els Rechts”. Ventisei anni, dichiarata sostenitrice di Wilders e spesso fotografata al suo fianco, ha affermato di “ringraziare Dio di essere di destra” e di voler difendere “i valori, la sicurezza e le tradizioni olandesi”. Dopo gli scontri, ha provato a prendere le distanze: “Se avessi saputo che sarebbe finita così, non avrei mai organizzato la manifestazione”.
Un Paese in bilico
La crisi politica olandese fa da sfondo a quanto accaduto. Lo scorso giugno il governo, durato appena undici mesi, è crollato proprio sulla questione migratoria. Wilders, entrato per la prima volta nella maggioranza con il suo PVV, ha ritirato i suoi ministri dopo il fallimento sul pacchetto di dieci misure radicali: congelamento delle richieste d’asilo, stop alla costruzione di centri di accoglienza, restrizioni ai ricongiungimenti familiari ed espulsioni accelerate, in particolare dei siriani. Il premier Schoof ha così indetto elezioni anticipate per il 29 ottobre. Tutti i sondaggi vedono Wilders nettamente in testa, ma resta incerto se sarà in grado di formare un governo stabile. Intanto la protesta di piazza segnala che il tema dell’immigrazione non è più materia di discussione parlamentare: è diventato il detonatore di una tensione sociale che esplode nelle strade. L’Aia non è un episodio isolato. Dalla Francia al Belgio, dalla Germania all’Italia, il malcontento verso le politiche migratorie si traduce sempre più spesso in manifestazioni radicali, in crescita di movimenti giovanili, in un distacco netto fra governi e cittadini. Che si parli di “idioti”, di “feccia” o di “estremisti”, resta il fatto che un pezzo d’Europa non accetta più la trasformazione dei propri Paesi in dormitori globali.
Oltre l’Olanda, un segnale europeo
Il paradosso è che le élite continuano a predicare “mai violenza, sempre manifestazioni pacifiche”, ma allo stesso tempo ignorano il problema che incendia le piazze. Si nascondono dietro formule istituzionali, invocano la sacralità delle regole e l’intangibilità del diritto di asilo, ma nel frattempo lasciano che le città si trasformino in polveriere. In Olanda, come altrove, il messaggio che proviene dalla strada è limpido: l’immigrazione non è un capitolo di bilancio da discutere in Parlamento, né un paragrafo da emendare nei trattati europei. È un terremoto sociale che rimette in discussione identità, sicurezza e coesione nazionale. Non è l’economia a mobilitare le folle, non sono le riforme fiscali a portare migliaia di giovani nelle strade: è la percezione di una Nazione che non appartiene più a chi lo abita, di una patria sacrificata sull’altare dell’accoglienza senza limiti. Così l’immigrazione diventa una frattura esistenziale, non più rinviabile né negoziabile. È la linea rossa che divide governi e popoli, élite e comunità, Europa ufficiale ed Europa reale. Una frattura che prefigura scenari da guerra civile strisciante, in cui l’ordine imposto dalle istituzioni si scontra con l’energia ribollente di piazze che non vogliono più farsi anestetizzare. L’Aia è stata soltanto un avvertimento: il cuore d’Europa pulsa già al ritmo di un conflitto che le classi dirigenti non vogliono vedere, ma che cresce ogni giorno sotto i loro occhi.
Sergio Filacchioni