
Tra i fattori che hanno dato impulso al segno positivo va senza dubbio al tasso di cambio dell’euro, che dai massimi del 2014 ha perso quasi il 20% del valore, calo accentuato anche dal Quantitative Easing messo in atto dalla Bce. Ma non solo. La strategia di puntare alla domanda estera è una costruzione prettamente tedesca, che su di essa – e di converso sulla moneta unica, modellata a immagine e somiglianza del fu marco – ha costruito la forza della propria economia. A che prezzo? Senza l’arma dell’aggiustamento valutario (leggasi svalutazione “esterna”) sovrano, competere sui mercati internazionali diventa difficile, se non a costo di porre in essere la cosiddetta svalutazione interna: sempre di svalutazione si tratta, ma a costo di austerità, riduzione dei salari, taglio delle tutele del lavoro. Proprio quello che è successo all’Italia dai decreti del governo Monti al Jobs Act firmato Renzi. Con il risultato sì di riuscire a spingere sui mercati internazionali grazie alla riduzione nei costi di produzione, ma allo stesso tempo deprimendo ai minimi storici la domanda interna. E non vale accusare le nostre imprese di provincialismo, perché la concorrenza internazionale è spietata e, spesso, anche irregolare e sleale. Dall’altra parte, invece, il mercato interno è pur sempre un mercato dove l’economia gira (o meglio: potrebbe girare) al pari che fuori dai confini nazionali. Invece, negli anni della crisi e delle imposizioni comunitarie amplificate dall’europeismo di lotta e di governo, per guadagnare qualcosa sull’export abbiamo perso quasi un terzo della produzione industriale. Siamo sicuri che ne valga proprio la pena?
Filippo Burla
1 commento
Sarà anche la vendita del nuovo Parmigiano con l approvazione….
http://www.julienews.it/notizia/cultura-e-tempo-libero/il-parmigiano-reggiano-si-inginocchia-ad-israele-da-oggi–kosher/357143_cultura-e-tempo-libero_8.html