Roma, 7 mag – Chissà quali saranno stati i pensieri di Aldo Moro, e non durante i drammatici giorni della reclusione nella “prigione del popolo” di via Montalcini 8 a Roma, ma semmai in un’altra occasione, quasi vent’anni prima, certo a seguito di un fatto per lui meno tragico rispetto ai quei giorni del maggio 1978, seppure di indubbia importanza simbolica e da non trascurare per capirne biografia e contributo politico. Chissà allora che cosa avrà pensato Aldo Moro quel giorno del 9 gennaio 1959, allorquando, da ministro della Pubblica Istruzione in carica ormai da quasi due anni, presenziò ai funerali di Giuseppe Bottai, combattente ardito della prima guerra mondiale, fascista intelligente, critico ed intransigente, corporativista ispiratore della Carta del Lavoro, ministro dell’Educazione Nazionale, primo protettore dei beni culturali dell’Italia, animatore della rivista Il Primato, oppositore dichiarato di Mussolini il 25 luglio del 1943, volontario nella Legione Straniera francese gli ultimi tempi della guerra mondiale. La stampa nazionale annotò frettolosamente quella presenza e si disse che Aldo Moro avesse omaggiato, con la sua presenza, la cerimonia funebre di Bottai, solo perché suo padre aveva conosciuto il defunto e ne era stato collaboratore ministeriale.
Invero la questione convince fino ad un certo punto. Certo Aldo Moro aveva uno spiccato senso della fede e della partecipazione alle liturgie cattoliche (andava tutti i giorni a messa). Certo è che il padre di Moro e Bottai si fossero conosciuti, poiché il padre del politico pugliese era stato un ispettore scolastico ed aveva collaborato con il ministro fascista ai tempi in cui quest’ultimo aveva retto il dicastero dell’istruzione. Vi è però un qualcosa di più che potrebbe spiegare la presenza di Aldo Moro ai funerali di Bottai: e non solo il fatto che il defunto aveva recitato un ruolo di primaria importanza nel mondo dell’Educazione Nazionale, essendo stato ministro in tale ambito dal 1936 al 1943, ovvero proprio gli anni in cui il giovane Aldo Moro si affermava come astro nascente del diritto nell’Università di Bari, e ciò grazie alle sue indubbie capacità di studio e teoriche, grazie altresì ad un buon rapporto con il rettore dell’Università di Bari (Biagio Petrocelli, fascista moderato in seguito giudice della Corte Costituzionale dal 1956 al 1968) e infine, ma non ultimo, grazie alla partecipazione a manifestazioni di cultura fascista quali furono i Littoriali.
Oltre a ciò, vi è anche un altro fatto da osservare e di cui tenere conto: prima di morire Giuseppe Bottai, giudicato nel mondo missino e neofascista come traditore, esistenzialmente “avvilito” e per nulla speranzoso riguardo al ritorno politico del fascismo (fatto che avrebbe sempre categoricamente escluso come storicamente impossibile), opera durante gli anni Cinquanta come giornalista ed intellettuale a supporto del “centrismo” democristiano ed arriva ad esporre, dalle colonne del giornale da lui diretto ABC (rivista di critica politica), che l’unica cosa ereditabile dal Fascismo poteva essere quell’idea corporativa che pure non gli avevano lasciato realizzare venti anni prima e che, qui un po’ il nocciolo della questione, in quegli anni… solo un connubio politico fra Dc e Pci avrebbe potuto forse nuovamente realizzare, ossia che tale connubio avrebbe rappresentato l’unica possibilità politica per riaprire in qualche modo la strada per un programma economico e sociale di stampo corporativistico. A questo punto, con un pizzico di sana immaginazione, ben può delinearsi lo scenario che condurrà una dozzina di anni dopo a quell’idea e a quel progetto politico del “compromesso storico”, di cui proprio Aldo Moro fu principale propugnatore ed artefice, e per il quale lo stesso politico democristiano vi avrebbe lasciato tragicamente la vita, stretto fra l’offensiva del partito comunista armato, che non si rassegnava all’idea della messa in soffitta dei propositi rivoluzionari, e dall’anticomunismo di facciata del “partito della fermezza”, che preferì la strada della “solidarietà nazionale”, vale a dire l’incasso sottobanco dei voti del Pci, non con un progetto politico, ma in qualche passaggio parlamentare secondo la teoria del cosiddetto “arco costituzionale”.
Ma torniamo ad Aldo Moro, alla sua biografia giovanile quindi. Perché molto, anzi troppo, si è scritto, si è narrato, si è detto in questi mesi, a quarant’anni da “via Fani” e dalla sua uccisione, tanto da spingere la discussione nella nebbiosa palude della dietrologia e nel complottismo, naturalmente tutti ex post, con i soliti quesiti: chi c’era davvero dietro le Brigate Rosse? Chi era e per chi agiva Mario Moretti? Perché lasciarono morire Aldo Moro? Ed ancora la seduta spiritica che evocò il nome di “Gradoli”, presenti Romano Prodi (e Mario Baldassarri) e la storia del lago della Duchessa, ed il covo mai trovato ecc. Ci piace invece qui ricordare, proprio partendo da quella partecipazione al funerale di Bottai, un passato, quello giovanile, di Aldo Moro e cogliere se Bottai, o meglio il fascismo, abbiano lasciato una qualche impronta nella formazione culturale del politico pugliese, il quale, si badi, fu il principale protagonista della politica italiana negli anni che vanno dal 1955 al 1978. Pochi o nessuno hanno fatto cenno a quel passato giovanile e, a scanso di equivoci, commetteremmo un errore ad evidenziare quel passato secondo il modello ed i fini con cui il passato “fascista” di tantissimi antifascisti ed italiani veniva periodicamente rispolverato fino agli inizi degli anni Settanta. Vi fu, ai tempi dei primi tentativi morotei di creare il “centrosinistra” un’accesa campagna condotta dall’allora Msi, campagna diretta a qualificare Moro come ex fascista, al quale la Dc rispose con una falsa negazione dei rapporti fra il politico e il fascismo o con la solita giustificazione della “paura” o della coazione. Ma qui non si tratta di imputare polemicamente e sarcasticamente un passato fascista ad Aldo Moro, denunciandolo come “volltagabbana”. Qui il discorso va diversamente orientato: occorre far capire se quel passato fascista ha formato Aldo Moro, ne ha rappresentato comunque un dato insopprimibile e determinante della sua originaria matrice politica e di pensiero.
Aldo Moro, classe 1916, viene inserito nella storia della politica nazionale, ovviamente, con la sua partecipazione all’Assemblea Costituente del 1946. Prima, è considerato solo al più un rifondatore, tra il tardo 1943 ed il 1945, di un partito cattolico che si sarebbe poi chiamato Democrazia Cristiana. Ai tempi del fascismo era giovane, si sa. Non giovanissimo, tuttavia, non certo adolescente, come tale era ed è tuttora un uomo ben sopra i vent’anni. Certamente Aldo Moro fu sempre cattolico fervente fin dalla sua gioventù al liceo classico “Archita” di Taranto. Ma è altrettanto certo che egli ebbe a che fare, e non poco, non alla leggera, con l’Università fascista, dove studiò con brillantissimi risultati e dove poté affermarsi sia come leader degli universitari cattolici italiani, sia come assistente e giovane professore di filosofia del diritto, di diritto e procedura penale, di storia delle dottrine politiche e di politica coloniale. Tutti corsi per i quali l’insegnamento accademico, in particolare in un regime descritto in seguito come illiberale, autoritario quando non totalitario, non poteva certo non essere pervaso da influenze del potere pubblico e politico, cioè del fascismo stesso. Aldo Moro entra all’Università di Bari come studente nel 1934, e nello stesso anno entra nella Federazione Universitaria dei Cattolici Italiani (Fuci) di cui diventa referente barese nel 1937 e presidente nazionale nel 1939 (gli sarebbe succeduto nel 1941 Giulio Andreotti). Bari è una città molto importante per la politica fascista, che la individua come fulcro economico e culturale per la geopolitica adriatica, balcanica o volta verso il Mediterraneo orientale. Araldo di Crollalanza, che ne è stato podestà, diventa ministro dei Lavori pubblici dal 1930 al 1935 (sua sorella è esponente di spicco dell’Azione Cattolica, referente vescovile delle donne cattoliche), ridisegna l’impianto urbanistico della città, risanandola e modernizzandola. Nel 1925 era stata inaugurata l’Università dell’Adriatico, di seguito intitolata a Mussolini, il quale nel 1930 avrebbe istituito la “Fiera del Levante” (in occasione dell’inaugurazione del 1934 il Duce avrebbe pronunciato un discorso fortemente antihitleriano e contrario alla politica della razza).
Ma Aldo Moro non si limita a studiare ed a organizzare gli studenti cattolici. Egli partecipa volontariamente, essendo fra i migliori studenti dell’Università, alle massime manifestazioni culturali del mondo studentesco di allora, ovvero i famosi “Littoriali dello sport, della cultura, dell’arte e del lavoro”, gestiti perifericamente dalle federazioni provinciali del Partito Nazionale Fascista (Pnf), tramite i nuclei universitari dei Giovani Universitari Fascisti (Guf), al centro dalla segreteria del Pnf di concerto peraltro con la “Scuola di Mistica Fascista”. I Littoriali si sviluppavano sia attraverso convegni, con relazioni e dibattiti tematici su svariati temi, sia in concorsi, mediante competizioni sulla base di studi o relazioni scritte. Avvenivano preselezioni nelle varie università, poi tutto confluiva in una fase finale. Al termine il premio era rappresentato da un’ambita e fulgida “M” rossa, oltre le citazioni e gli onori per il “littore” (studente assurto nominalmente al rango dell’antico ed inflessibile esecutore degli ordini del console nella Roma repubblicana, portando materialmente il fascio con le verghe, armato in circostanze particolari con la scure). Aldo Moro già nel 1935 partecipa ad una preselezione. Ma è nel 1937, ai Littoriali la cui fase finale si tiene a Napoli, in cui l’opera di Moro inizia a farsi segnalare, poiché partecipa, prescelto dall’Università di Bari, al concorso che ha un titolo inequivocabile: Dottrina del Fascismo. Il suo elaborato, oggi scomparso, reca un titolo altrettanto inequivocabile: La possibilità di sviluppo offerta dalla società fascista alla personalità individuale nella organizzazione collettiva. Peraltro tale titolo evidenzia un concetto cardine del pensiero politico di Aldo Moro e che lo avrebbe accompagnato tutta la vita: come integrare la libertà individuale, o meglio la moralità (cristiana) dell’individuo nel necessario momento collettivo imposto dallo Stato, nel suo agire e nelle sue necessità storiche. E il fascismo, a quanto pare, si presenta a Moro come il miglior sistema politico atto a garantire tale integrazione politica, civile e morale, ovvero “cristiana”. Ma un anno dopo il contributo dell’universitario (ormai prossimo alla laurea con tutti 30) Aldo Moro non viene nuovamente a mancare, e ciò in occasione dei Littoriali di Palermo. Questa volta partecipa al convegno su “Principi e valori universali del Fascismo” con una discussione. Di tali partecipazioni resta comunque traccia in alcuni articoli comparsi sul giornale della Fuci, “Azione Fucina”.
Laureatosi nel novembre del 1938 con una tesi in diritto penale (La capacità giuridica penale), Aldo Moro, come quasi tutta la Fuci, non è contrario alla guerra civile spagnola e soprattutto all’esito di questa: e non è contrario neppure alla guerra che scoppia il 10 giugno 1940, pur assertore nei mesi precedenti della “non belligeranza” con la convinta speranza che l’Italia possa contribuire, come nazione cattolica, alla nuova pace europea e alla ristrutturazione politica del continente unitamente ad altre nazioni cattoliche, quali la Spagna di Franco, il Portogallo di Salazar, la Slovacchia di Tiso. Una ristrutturazione politica che, senza la Germania nazionalsocialista di Adolf Hitler, non era neppure pensabile. E quando scoppia la guerra, non è assolutamente contrario alla stessa, risultando invece propugnatore di un forte lealismo all’impresa bellica che si augura, sinceramente e con fede, vittoriosa: diversamente non si spiegherebbero altri suoi contributi giornalistici e redazionali; diversamente non si spiegherebbero l’uso da parte dell’organo di stampa fucino (egli è divenuto Presidente nazionale della Fuci) di parole, spesso anche in suoi articoli, quali “ora decisiva per l’Italia” (termine analogo a quella usata da Mussolini nel celebre discorso annunciante la guerra a Francia ed Inghilterra); “vittoria fascista” e “fare il proprio dovere” o “il dovere dell’ora”. Nel luglio 1941, divenuto professore di filosofia del diritto, è chiamato alle armi nel 48° reggimento di Fanteria; risulta sergente presso il Tribunale militare di Bari, occupandosi di alcune istruttorie giudiziarie a carico di imputati militari. Diventerà poi, in forza di una legge che conferisce i gradi di ufficiali ai professori universitari arruolati, capitano dell’Aeronautica Militare. Scrive espressamente su Azione Fucina: «Possiamo dire che servire la Patria in armi è un grande momento di vita». Agli inizi del novembre 1942, mentre tuonano i cannoni ad El Alamein, assume l’incarico, sempre sotto le armi, di professore di storia delle dottrine politiche. È lecito presumere che il fascismo non potesse certo tollerare il conferimento di un tale incarico ad un giovane professore suo oppositore, in particolare in un momento in cui tanti coetanei di quel professore stanno morendo in divisa, chi in Russia, chi nei Balcani, chi in Africa Settentrionale, chi nel Mediterraneo o nei campi di prigionia.
Ed è in questa fase che Aldo Moro lascia anche l’eredità culturale del suo pensiero di allora (ma anche di dopo) in un’opera dal titolo emblematico: Lo Stato: corso di lezioni di filosofia del diritto tenute presso l’Università di Bari nell’anno accademico 1942-43. Sono i suoi appunti, ben redatti, per le lezioni che ha tenuto per l’anno 1942-1943 agli studenti di Bari: da questi emerge una concezione dello Stato politica e giuridica, chiaramente etica; si parla di elementi costitutivi dello stesso, nella sua concreta “storicità”, quali la lingua, il popolo, la nazione e, più volte espressamente, la razza. C’è anche qui da chiedersi come durante il fascismo potesse condursi in università un corso sulla concezione dello Stato non in linea con la concezione politica fascista dello stesso, in particolare in periodo di guerra. Tanto che gli appunti, ricompresi in un testo alla fine del corso, saranno pubblicati… in piena Repubblica Sociale Italiana dalla Cedam, a Padova, nel dicembre 1943. Tuttora tale testo è disponibile in alcune biblioteche universitarie italiane, qui e là, a Padova, Ferrara e Bologna; sarebbe stato tuttavia sostituito da un testo “emendato”, ovvero politicamente corretto, e più volte ripubblicato anche in tempi recenti, il quale fa tuttavia riferimento al corso del 1943-1944, tenutosi sempre a Bari a fascismo ormai caduto.
Andrea Benzi
* Mercoledì 9 maggio, in Milano, alle ore 18:30, presso la sede dell’Associazione Nazionale Volontari di Guerra in via Duccio di Boninsegna 21/23 (MM Buonarroti), l’avv. Andrea Benzi, a quarant’anni esatti dalla morte di Aldo Moro, terrà una relazione sul tema: “Aldo Moro, il Fascismo, la Guerra”.
Dai Littoriali alla guerra: quando Aldo Moro era fascista
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6 comments
…Aldo moro..un fulgido esempio di: ”Armiamoci e partite..”
Semper Fidelis ! W I D S !
…fulgido esempio di: ”Armiamoci e partite…”
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