Roma, 24 lug – Insomma, dall’Ue sorgono “sospetti” sulla riformina del premierato e su quella – ben più pesante – della Giustizia. Lieve cambiamento culturale la prima, gigantesco macigno la seconda, entrambe perseguite con determinazione dai governo Giorgia Meloni (la riforma della Giustizia nel complesso, se passasse completamente per tutte le disposizioni previste, sarebbe davvero rivoluzionaria). Il che, polemicamente, ci porta a ritenere che la strada sia giusta, ma questa è solo una provocazione. Il premierato perfino così concepito debolmente serve comunque al sistema istituzionale italiano, nonostante sia un cambiamento quasi nullo, per altre ragioni di cui abbiamo già abbondantemente parlato. La Giustizia, lo ribadiamo, è essenziale per favorire la maturazione di una classe dirigente del futuro più forte e più disposta a perseguire gli interessi nazionali.
Commissione Ue, “vigilanza” sul premierato e Giustizia: perché le riforme sono sott’occhio
Il report della Commissione riguarda lo stato di diritto, e già così la questione potrebbe diventare spinosa. Al paragrafo IV del Country Report, si legge – parlando del premierato – che “con questa riforma, non sarebbe più possibile per il Presidente della Repubblica trovare una maggioranza alternativa e/o nominare una persona esterna al Parlamento come Primo Ministro. Alcuni stakeholder hanno espresso preoccupazione per modifiche proposte all’attuale sistema di pesi e contrappesi istituzionali, nonché dubbi sul fatto che ciò possa portare maggiore stabilità”. Sulle questioni riguardanti la Giustizia, stessi toni da maestrina in cui, guarda caso, si invocano in brussellese la democrazia in pericolo e i magistrati di cui difendere un’indipendenza che – nei fatti degli ultimi trent’anni – è sempre stata ingerenza (anche giornalistica, come dimostra lo scandalo di Perugia).
Nel passaggio si legge che “i giornalisti continuano ad affrontare diverse sfide nell’esercizio della loro professione” . Nella fattispecie il governo dovrebbe “proseguire l’iter legislativo sul progetto di riforma sulla diffamazione, la tutela del segreto professionale e delle fonti giornalistiche, evitando ogni rischio di impatti negativi sulla libertà di stampa e garantendo che tenga conto delle norme Ue sulla tutela dei giornalisti”. Si parla anche di “garantirne l’indipendenza” della Rai con “finanziamenti adeguati”, ma la ciccia che è difficile non recepire come una contestazone all’opera di Nordio è la seguente: “In Italia, una nuova legge che abroga il reato di abuso d’ufficio e limita la portata del reato di traffico d’influenza potrebbe avere implicazioni per l’individuazione e l’investigazione di frodi e corruzione”. Inoltre, “le modifiche proposte alla prescrizione potrebbero ridurre il tempo a disposizione per condurre procedimenti giudiziari per reati penali, compresi i casi di corruzione”.
Washington e Bruxelles ci vogliono instabili politicamente
All’Ue l’Italia senza premierato e con questo sistema della Giustizia va benissimo. Con la definizione di “stato di diritto” si inganna chiunque, chiaramente. Basta usarla nel modo “giusto”, magari per difendere chi, ben lungi da essere oppresso, è oppressore da almeno trent’anni. E il riferimento non può non essere alla magistratura (nel complesso e salvo deviazioni che purtroppo non mutano il corso generale del gruppo di potere in questione), ovvero la stessa categoria he ha castrato l’autonomia della politica italiana negli ultimi decenni ogni qualvolta essa deviava dal corso previsto “da altri” per il Paese. Lo abbiamo visto con Silvio Berlusconi, il quale non sarà stato un anti-sistema, certamente, ma evidentemente non aveva permesso che le cose andassero nelle direzioni più consone nel 1994. Lo abbiamo visto recentemente con Matteo Salvini e con il governo gialloverde. Potremmo vederlo ancora in futuro. Dal 1992, la politica è sotto l’occhio vigile di una magistratura che alla giustizia vera non è granché interessata. Molta più attrazione essa nutre per non ricevere turbamenti di alcun genere, su temi di scelte politico-economiche o anti-immigrazioniste anzitutto.
La verità è che chi comanda l’Italia dall’esterno (Washington sul fronte politico-militare, Bruxelles su quello economico) non vuole altre riforme se non quelle di ordine politico, sociale e industriale. Quindi sì alle riforme delle pensioni, sì alle riforme – verso il basso – del welfare – sì al ribaltamento del tessuto sociale nazionale, sì alla svendita di quel poco che resta dell’economia pubblica. Al contrario, osteggia fortemente qualsiasi cambiamento vada nella direzione di un governo più forte, di una politica più forte, di un sistema istituzionale italiano più funzionale. Questo per un semplice motivo: l’instabilità attuale e il caos italiani non sono discriminanti per mancare di eseguire gli ordini impartiti dall’esterno, che vengono applicati a prescindere da quanti governi si formino in una legislatura o di quante elezioni anticipate vengano organizzate nel nostro Paese.
Ma se il premierato desse un minimo di stabilità in più all’esecutivo, o peggio ancora i politici del futuro potessero essere schermati da una magistratura pronta a inquisirli ogni qualvolta venga loro anche solo alla mente di deviare dalle agende internazionali, non sarebbe un problema in più?
Stelio Fergola