Roma, 3 ott – “Essendo necessaria, per la sicurezza di uno Stato libero, una Milizia ben organizzata, non sarà violato il diritto del popolo di tenere e portare armi”. Eccola, la pietra dello scandalo: il secondo emendamento alla Costituzione degli Stati Uniti d’America, quello che stabilisce il diritto inalienabile del cittadino statunitense a portare armi.
Chris Harper Mercer l’aveva presa in parola: pur essendo solo un ragazzo, per di più disturbato mentalmente, era in possesso di almeno 13 armi, tutte acquistate legalmente: sette sono state recuperate nella sua abitazione, sei le aveva portate al college per attuare il suo piano.
Ma Mercer non è un’eccezione: negli Usa sono in circolazione dai 270 ai 310 milioni di armi, detenute legalmente o illegalmente. Secondo dati del 2014, circa un terzo di tutti gli americani con figli sotto i 18 anni hanno armi in casa. Nel periodo 2004–2013, sono 316.545 le persone morte da arma da fuoco sul suolo americano.
Dietro il commercio delle armi in America c’è ovviamente un business con relativa lobby, ma non è solo questione di gruppi di pressione: il possesso di armi fa intrinsecamente parte della mentalità collettiva statunitense.
Secondo un recente sondaggio, il 38% degli americani ritiene che il quadro normativo in materia sia sufficiente e per il 52% degli intervistati è più importante proteggere il diritto degli americani a possedere armi che cercare di controllarne, per legge, il possesso.
L’immagine stereotipata del vecchietto in veranda con la sua doppietta che accoglie i visitatori dicendo “fuori dalla mia proprietà” è certo una semplificazione hollywoodiana, ma coglie davvero qualcosa della mentalità americana. Un autore controverso ma talora illuminante come John Kleeves sosteneva che l’idealtipo dell’americano fosse il “commerciante armato”.
Sin dagli inizi, gli Usa non pensano a se stessi come a uno Stato fra gli altri, in cui un patto sociale implicito ponga tutti sotto un’unica autorità che detiene, fra le altre cose, il monopolio della forza. Gli Usa nascono come un insieme di colonie commerciali sorte in un vasto territorio percepito per lo più come selvaggio e ostile. Il commercio, all’epoca, doveva necessariamente essere armato, tant’è che gli imprenditori si organizzavano con milizie private armate fino ai denti. È un modello che perdura ancora oggi, dove ogni multinazionale americana ha propri servizi di vigilanza privata i forme fino a poco fa impensabili per un europeo.
L’ostilità al governo centrale e alle sue ingerenze è tuttora un caposaldo dell’ideologia americana. È a questo – e alla proverbiale povertà ideologica della politica americana, incapace di raccogliere istanze di cambiamento reali – che dobbiamo anche la frequenza degli attentati solitari (quindi al di fuori di qualsiasi velleità “rivoluzionaria”) contro i presidenti. Quattro ne sono morti: Abraham Lincoln (1865), James Garfield (1881), William McKinley (1901) e John F. Kennedy (1963), più una serie di loro colleghi salvatisi da tentativi analoghi.
D’altronde se lo dice la Costituzione…
Adriano Scianca
1 commento
John Kleeves (parce sepulto) aveva una statistica degli anni ’90 in cui riportava 23.000 morti per colpi d’arma da fuoco. Qui siamo a 31.500 in media, tutto il mondo va a ramengo. Il dato era confrontato con quello di altri Paesi (fra cui il confinante Canada) in cui i morti per la stessa causa erano nell’ordine delle decine.