Home » Fondazioni bancarie: la crisi compromette il salvadanaio del Pd

Fondazioni bancarie: la crisi compromette il salvadanaio del Pd

by La Redazione
2 comments

fondazioni mpsRoma 9 lug – Che la situazione legata a Banca Mps sia grave, e di converso gravissima quella del sistema bancario nazionale, lo dimostra un fatto eclatante: Renzi sta iniziando ad alzare la voce in Europa richiedendo “flessibilità” per poter effettuare i necessari salvataggi. È arrivato addirittura a bloccare le vendite allo scoperto delle azioni Mps tramite la Consob, il che dimostra quanto è profondamente disperato. Certamente, la mossa è stata ben ponderata, ma è un’illusione sperare che questo possa essere risolutivo. Abbiamo spiegato più volte come il problema delle banche non dipenda dalla finanza in senso lato e nemmeno dalla mala gestione (che comunque non ha certo aiutato), ma dall’economia reale devastata da anni di austerità e di conseguenza impossibilitata a rifondare i debiti contratti.

Per questo Renzi e la sua cricca di faccendieri toscani sono nel panico, perché non ci vuole un genio per capire che le alternative sono due e due soltanto in una situazione del genere: ricapitalizzare le grandi banche italiane in Lire, e quindi di fatto nazionalizzarle, oppure lasciarle fallire in Euro. In altre parole, l’unico modo per uscire da questa situazione disperata è la riconquista della sovranità monetaria e, tramite uno scoperto di Bankitalia, acquistare le azioni emesse dalle banche in difficoltà nella misura opportuna fino a far tornare i livelli di capitalizzazione entro limiti decenti. Oppure, il che è nei fatti quasi la stessa cosa, imporre a Bankitalia di “mangiare” i crediti deteriorati delle banche. Il problema non è se “stampare” denaro o meno, perché questo viene già fatto da quando è scoppiata la crisi finanziaria globale del 2008 in Giappone, Stati Uniti, Gran Bretagna, Svizzera, Svezia, Eurozona, Cina (con modalità diverse) per circa 11 mila miliardi complessivi. Questo è tutto denaro dal niente, senza chiedere soldi ai contribuenti e senza indebitarsi, ma usato solo per comprare debito sui mercati. In Cina, per esempio, le banche pubbliche prestano senza limiti ai governi locali e a imprese legate a loro e lo Stato assorbe le loro perdite tramite la Banca Centrale.

Abbandoniamo per un attimo la prospettiva dei comuni cittadini, per cui ovviamente il collasso del sistema bancario costituirebbe una tragedia di portata cosmica, e concentriamoci sul pallonaro dell’Arno: cosa lo preoccupa in realtà? Queste persone dimostrano di essere del tutto svincolati dai comuni problemi delle persone quando ad esempio si occupano di matrimoni fra omosessuali e diritti degli immigrati, possibile che in questo caso abbiano le nostre stesse preoccupazioni? No, non è possibile. Facciamo un passo indietro. Un tempo le banche italiane erano saldamente in mano pubblica, e tutte (comprese le banche private) erano regolate dalla legge bancaria del ’36 che ne limitava fortemente l’autonomia decisionale. Con la legge Amato-Carli del 1990 si è viceversa posto la base per la liberalizzazione del settore finanziario nazionale, introducendovi il principio di concorrenza fino a quel momento rigorosamente escluso e gettando le basi per la privatizzazione dello stesso. Ovviamente, si pensò subito ad un bel trucco cosmetico per distrarre le masse, e furono create le Fondazioni Bancarie, ex casse di risparmio e banche del monte, che detengono importanti partecipazioni praticamente in tutte le banche italiane. Nel 1998 alle Fondazioni venne imposto di rinunciare al controllo delle banche vendendo così sul mercato la maggior parte delle azioni in loro possesso. Oggi le fondazioni di origine bancaria non hanno più compiti rilevanti di governo nelle banche di cui sono azioniste, e teoricamente gli utili che ricavano sono devoluti in opere di beneficienza e filantropia, anche se ovviamente possono esercitare pressioni e influenze sulle banche di cui sono azioniste. Dove sta il trucco? Ebbene, per legge la quasi totalità delle risorse investite in queste attività dalle fondazioni deve avere carattere locale, ovvero i soldi devono essere spesi all’interno della propria Regione di riferimento. E qui iniziamo a capire esattamente quale è il punto della questione: le Fondazioni sono sovente il bancomat degli enti locali e delle camarille regionali. Solitamente i membri del consiglio (organo direttivo delle Fondazioni, che nomina il presidente) vengono eletti dai Comuni, dalle Regioni, dalle Camere di Commercio, da rappresentanti del mondo accademico e del volontariato e da altre forze territorialmente “interessate” ed “influenti”.

Parliamoci chiaro: il sistema delle partecipazioni statali della prima repubblica aveva sicuramente il grave problema del clientelismo, ovvero delle assunzioni di amici di amici per ottenere consenso politico, ma era di gran lunga preferibile alla totale opacità del sistema attuale. Non ci sono limiti sostanziali nell’indirizzo di investimento delle Fondazioni e questo però può creare anche situazioni ambigue come ad esempio: investire i soldi di una Fondazione in un progetto di un’impresa di cui il politico Tizio è proprietario, che a sua volta aveva messo nel consiglio di amministrazione della Fondazione un uomo di fiducia per far votare l’investimento di questi soldi nella sua impresa. Chiunque legga i giornali sa bene come molti partiti, in particolare quelli molto forti a livello territoriale come il Pd, siano intrallazzati a tutti i livelli con questo sistema corrotto e paramafioso.

Per il Pd le Fondazioni rappresentano, insieme alle Cooperative, la garanzia del proprio radicamento territoriale, dei fondi praticamente illimitati che i candidati possono permettersi di spendere in campagna elettorale, dell’enorme consenso sociale che direttamente o indirettamente questi enti esprimono, del coordinamento con altri interessi lobbistici. Se però si continua sulla strada tracciata dall’UE, questo campo dei miracoli è destinato a sparire per sempre. È la paura di rimanere con un pugno di mosche in mano che ha gettato nel panico Renzi. Saprà fare la scelta giusta, ovvero recuperare la sovranità monetaria, nazionalizzare le banche e creare liquidità per finanziare investimenti produttivi ad alta intensità di manodopera?

Matteo Rovatti

You may also like

2 comments

Cesare 10 Luglio 2016 - 12:19

D’ accordissimo con l’autore dell’ articolo; non c’è altra via che rotiornare alla sovranità monetaria, cioè a soldi prodotti a costo zero dallo stato anziche’ da privati, come avviene ora con la BCE che è privata. La BCE, cosi’ come la FED che ha ridotto alla miseria gli americani, è in mano a pochissimi banksters oligarchi favorevoli al cancellare per sempre gli stati nazionali per stabilire un governo mondiale governato da loro pupazzi e con noi tutti schiavizzati.
Rinazionalizziamo banca d’italia(minuscolo perchè per ora è privata) e le banche e aziende pubbliche svendute a due lire dai traditori nostrani

Reply
Paolo 10 Luglio 2016 - 2:22

Sarebbe bello, ma personalmente non credo che avverrà perché secondo me renzi è politicamente troppo debole per riuscire ad imporre convenientemente una misura del genere.
Temo anzi che cercherà fino all’ ultimo una improbabile soluzione di compromesso, nel tentativo di salvare il suo “orticello” ed allo stesso tempo senza scontentare i suoi padroni della UE.

Reply

Commenta

Redazione

Chi Siamo

Il Primato Nazionale plurisettimanale online indipendente;

Newsletter

Iscriviti alla newsletter



© Copyright 2023 Il Primato Nazionale – Tutti i diritti riservati