Roma, 7 dic ā Quando si pensa alla politica scolastica del fascismo, subito (e giustamente) la mente corre alla Riforma Gentile, la grandiosa opera di trasformazione del sistema educativo concepita dal filosofo di Castelvetrano, il cui impianto, nonostante le picconate inferte dai governi di ogni estrazione politica negli ultimi 70 anni, ancora resiste. Sebbene essa fosse stata definita da Mussolini Ā«la più fascista delle riformeĀ», e recepisse molte istanze care al fascismo, promuovendo lo spirito comunitario, infondendo alti valori etici e morali con lo scopo di formare spiritualmente lāindividuo, si muoveva tuttavia nel solco della tradizione idealistica italiana, tanto da meritare lāapprovazione di Benedetto Croce, il quale aveva ricoperto lāincarico di ministro dellāIstruzione durante lāultimo governo Giolitti (1920-21).
Poco si parla invece del progetto di riforma promosso da Giuseppe Bottai, ministro dellāEducazione Nazionale dal 1936 al 1943, forse in ragione del giudizio negativo che anche fra gli eredi del fascismo, in ragione della condotta tenuta durante e dopo il 25 luglio, investe il personaggio, o forse perchĆ© lāambizioso programma non fu attuato che in minima parte, anche se lasciò tracce significative destinate a sopravvivere al fascismo, come lāistituzione del calendario scolastico e lāordinamento della scuola media, rimasto in vigore fino allāĀ«unificazioneĀ» del 1962.
Quella pensata da Bottai era una scuola fascista nel senso più profondo della parola, mirava cioĆØ a formare lāĀ«uomo nuovoĀ», il cittadino, il soldato, il lavoratore, organicamente inserito nella nazione. Per questo nella prima dichiarazione della Ā«Carta della ScuolaĀ», documento in 29 punti che, richiamandosi alla forma della Ā«Carta del LavoroĀ» del 1927, intendeva delineare i caratteri, la struttura e le finalitĆ della scuola italiana, si legge che questa costituisce il Ā«fondamento primo di solidarietĆ di tutte le forze sociali, dalla famiglia alla Corporazione, al PartitoĀ».
Uno degli elementi centrali della Riforma bottaiana era il lavoro: il ministro, fra i più entusiasti sostenitori del corporativismo, intendeva fare del lavoro ā come lo stesso ebbe a dire nella relazione introduttiva alla Carta tenuta al Gran Consiglio del Fascismo ā Ā«il comune denominatore della scuola italianaĀ». La Riforma istituiva ordini di studio volti a preparare le figure professionali necessarie a un Paese moderno e che stava conoscendo un processo di esponenziale industrializzazione come lāItalia, quali la Ā«Scuola ArtigianaĀ», ordine post-elementare di durata triennale in cui si apprendevano i lavori manuali, e la Ā«Scuola professionaleĀ», alternativa alla scuola media Ā«unicaĀ» (poichĆ© unificava i corsi inferiori del Liceo classico, dellāIstituto tecnico e dellāistituto magistrale), volta alla formazione delle figure professionali richieste nel campo dei servizi e della grande industria, e che dava la possibilitĆ di frequentare un ulteriore biennio di Ā«Scuola TecnicaĀ».
Tuttavia lāinserimento del lavoro nei programmi didattici non aveva scopi utilitaristici, non era finalizzato alla trasmissione di competenze specifiche e rigide, utili a Ā«preparare al mondo del lavoroĀ» il discente, come spesso si sente ripetere oggi. Quella immaginata da Bottai non era la Ā«scuola delle tre āiā (inglese, impresa, informatica)Ā» tanto cara a Berlusconi (e non solo a lui), non aveva nulla a che vedere con lāĀ«alternanza scuola-lavoroĀ» dei nostri tempi, che obbliga gli studenti a svolgere mansioni presso privati che nulla hanno di formativo. Nellāottica della Ā«CiviltĆ del LavoroĀ» che il fascismo aveva fondato, dove il lavoro viene considerato come Ā«soggetto dellāintera societĆ nazionaleĀ», questo non poteva rimanere estraneo al processo educativo.
Come si legge nella V dichiarazione il lavoro Ā«si associa allo studio e lāaddestramento sportivo nella formazione del carattere e dellāintelligenza. Dalla Scuola elementare alle altre di ogni ordine e grado, il lavoro ha la sua parte nei programmiĀ». Il lavoro faceva il suo ingresso giĆ nellāultimo biennio della Scuola elementare, denominata Ā«Scuola del lavoroĀ», dove i discenti prendevano confidenza con gli utensili e le pratiche manuali, per poi cimentarsi nella pratica del lavoro agricolo. Per Bottai Ā«il lavoro agricolo sarĆ il tipico lavoro di tutta la scuolaĀ». Fra le prove di esame allora previste per accedere alla Scuola media e a quella professionale, nonchĆ© agli Istituti superiori, veniva prevista una Ā«prova di lavoroĀ» con cui il candidato doveva dare prova delle abilitĆ acquisite. Sempre nella V dichiarazione si legge: Ā«Dalla Scuola elementare alle altre di ogni ordine e grado, il lavoro ha la sua parte nei programmi. Speciali turni di lavoro, regolati e diretti dalle autoritĆ scolastiche, nelle botteghe, nelle officine, nei campi, sul mare, educano la coscienza sociale e produttiva propria dellāordine corporativoĀ». Pertanto anche gli studenti di Licei ed UniversitĆ erano chiamati a svolgere attivitĆ lavorative, come attesta il seguente filmato tratto da un cinegiornale Luce.
Secondo il ministro Ā«coloro che formeranno la classe dirigente debbono conoscere non intellettualisticamente, ma con i propri muscoli le difficoltĆ , le gioie, le fatiche dei lavoratoriĀ». Ciò si proponeva anche lo scopo di favorire la rivalutazione sociale e culturale del lavoro manuale, svilito dalla mentalitĆ borghese ma che trovava piena dignitĆ nello Stato fascista, che con la Ā«Carta del LavoroĀ» tutelava lāattivitĆ lavorativa in tutte le sue forme (Ā«esecutive, intellettuali, tecniche, manualiĀ»), e proclamava ed attuava la paritĆ sociale e giuridica fra datori di lavoro e lavoratori. Una scuola quindi che rifiutava il nozionismo pedantesco e ozioso, ma respingeva altresƬ lāidea di una formazione strumentale ed economicistica, il cui unico scopo sia sviluppare capacitĆ spendibili nel mondo del lavoro. La scuola pensata da Bottai e dal fascismo era una scuola che nei suoi programmi e nei suoi metodi abbracciava sapere umanistico e scientifico, attivitĆ sportiva, educazione politica e militare, conoscenza e pratica del lavoro. Non la scuola-azienda che intende formare lāĀ«uomo economicoĀ», ma un modello di formazione olistico, che vuole educare un uomo che ĆØ corpo e spirito, pensiero e azione, un uomo integrale, Ā«che ĆØ politico, che ĆØ economico, che ĆØ religioso, che ĆØ santo, che ĆØ guerrieroĀ», per usare le parole di Mussolini.
Filiberto Maffei
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