Roma, 19 apr – Una delle principali problematiche che si riscontrano nell’alveo della destra, termine che qui usiamo in senso molto largo, com’è noto, è quello dell’egemonia culturale. Tale concetto andrebbe correttamente inteso non come mera occupazione degli ambienti del sapere, ma come dinamico, costruttivo e positivo (positivo nel senso etimologico della parola) processo di dominio dei miti e delle narrazioni che incidano sulla morale e sull’inconscio dei cittadini dall’infanzia fino all’età adulta.
Premessa sull’egemonia culturale
Risulta fondamentale rimarcare come l’occupazione marxista delle scuole e delle università nel dopoguerra abbia rappresentato un’operazione lucida e spregiudicata, volta a destrutturare la mentalità del popolo italiano e a recidere quel poco di spirituale sopravvissuto alla disfatta del ’45. In nome di un servilismo verso le potenze di Jalta, si è attuato il programma dell’antifascismo internazionale, mero strumento con cui il fronte capitalista e comunista ha sottomesso gli europei, instillando viltà e rassegnazione, impedendo loro di comprendere la reale natura della presunta “liberazione”. Tuttavia, questa constatazione non deve generare sconforto, bensì infiammare l’animo per un combattimento spirituale di lunga lena, la cui vittoria, iscritta nel divenire storico, sarà sigillata dalle generazioni future, depositarie del nostro spirito. L’orgoglio delle nostre radici risiede nella forza dei nostri antenati, capaci di superare ogni avversità, e la nostra fierezza odierna si concretizza nella possibilità di trasmettere ai posteri una parte di noi, in un’epoca dominata da figure effimere. Per riconquistare l’egemonia culturale, premessa per la rinascita europea, è imprescindibile una nuova gioventù, coesa e disciplinata sotto una guida autorevole, capace di recuperare gli archetipi originari e di ispirarsi ai grandi intellettuali del passato, traendo da essi la forza per proseguire il cammino. La narrazione che dobbiamo edificare è quella dell’eccellenza nella vittoria contro i nemici dell’Europa e della sua Tradizione, con una visione che trascende la caducità della vita individuale, misurando il nostro valore con i parametri dell’immortalità attraverso la conquista del divenire storico.
Carlo Costamagna: giurista e intellettuale del fascismo
Tra i più importanti giuristi e intellettuali che il fascismo abbia potuto vantare vi è senza ombra di dubbio Carlo Costamagna. Ed è di lui che qui ci proponiamo, in sintesi, di trattare, in quanto si tratta di una figura spesso dimenticata o poco conosciuta da un certo mondo di destra. Eppure, nelle sue opere, troviamo una serie di importanti riflessioni che, se pur risalenti allo scorso secolo, comunicano un senso dell’attuale straordinario, che ricorda a chiunque viva per costruire un processo culturale e politico nazional-rivoluzionario i principi da cui partire, gli assi portanti di un’autentica Weltanschauung tradizionale e innovativa allo stesso tempo. In una delle sue opere più importanti, La dottrina del Fascismo, si ha modo di studiarli approfonditamente. Questi sono: la natura della rivoluzione fascista, l’idea di civiltà europea e la dottrina dello Stato. Sarebbe ovviamente opera decisamente ardua commentare tutti i contenuti dell’opera di cui qui si disquisisce, per la sua vastità e complessità, quindi i macrotemi qui individuati saranno affrontati negli aspetti più generali, che possano invogliare chi ne sia interessato a recuperare il testo di Costamagna nella sua integralità. Certamente, e ciò non è assolutamente scontato per le più alte figure intellettuali, la difficoltà concettuale dell’opera è unita a una notevole chiarezza espositiva.
La rivoluzione fascista come rivoluzione dello spirito
Ad introduzione del volume, Costamagna pone all’attenzione del lettore le premesse del fascismo, guardando alla prospettiva della crisi della civiltà europea e al fascismo che si pone come agente nel divenire della rivoluzione spirituale. Ma di che termini consta tale rivoluzione spirituale e in che senso si può definirla tale? Per arrivare a spiegarlo, si parte dalla causa scatenante del tutto, ovvero il soggiacere dei popoli europei a un’interpretazione “occidentale” della loro civiltà, affermatasi nel secolo XIX, dopo essersi già avviata a partire dal 1600, facente capo a due correnti: l’utilitarismo britannico da un lato e il razionalismo francese dall’altro. Questi due indirizzi della conoscenza avevano avuto il merito di far progredire le scoperte in ambito tecnico, ma avevano, a torto, pensato che tale metodo potesse valere anche per quanto concerne le scienze morali e la sfera spirituale e politica dell’uomo. Eppure, come è evidente, di un uomo non si può indagare l’esigenza di ricercare il bello nell’arte e di vivere per qualcosa che vada al di là del suo io, in ossequio alla verticalità della vita, con concetti che mirino alla meccanicità e riducano l’uomo a individuo che possa costituire di per sé un centro sufficiente.
La degenerazione del pensiero occidentale e la risposta fascista
L’idea, quindi, di rendere le scienze del diritto, le scienze morali, politiche ed economiche – ovvero tutto ciò che attiene all’uomo integrale – come parti isolate e agenti in virtù di mere leggi meccaniche è, per Costamagna, il processo negativo in assoluto che, iniziato col liberalismo, ha condotto al comunismo, estrema degenerazione di tale percorso. Quest’ultimo, con la sua minaccia di distruggere qualsivoglia fondamento di civiltà, aveva condotto ovunque in Europa – grazie alla via intrapresa dall’Italia – a concepire una nuova dottrina dello Stato, figlia appunto di una certa rivoluzione spirituale, quella fascista, che come compito primario si poneva quello di rivestire l’Europa dell’ideale romano e mediterraneo che un tempo l’aveva caratterizzata, in contrapposizione alla mentalità occidentale di natura anglosassone. Da un punto di vista politico, quindi, il fascismo si pone come una rivoluzione nazionale e popolare, erede sì di una tradizione storica, ma che, di fronte alle nuove sfide, è in grado di porsi con delle forme totalmente nuove, ricevendo dagli antenati l’animo di un fuoco perenne, invece che le ceneri dei monumenti, tanto graditi alla mentalità borghese dell’epoca.
Nazione e popolo
Il senso dello Stato, per Costamagna, si attua proprio perché rende il popolo nella sua unità; di conseguenza, senza lo Stato, non vi è nazione, in quanto questa consiste fondamentalmente nel popolo percepito come unità invece che come somma. Questo aspetto della dottrina fascista la rende antitetica al liberalismo e al marxismo, in quanto, per ambedue questi sistemi, il fondamento sta in un’azione negativa: ovvero, negare il principio di unità e immaginare il popolo come una sterile somma aritmetica di più individui. Per rendere però il popolo nazione, non si deve ricorrere all’idea che si tratti di un dato naturale già costituente di per sé; altrimenti, l’azione umana nella storia non avrebbe senso. Per Costamagna, infatti, la questione del concetto di popolo si esplica su due livelli differenti. Il primo è quello del popolo qualificato come insieme di abitanti aventi la cittadinanza. E questa consiste nel dato oggettivo, immutabile, nella materia prima potenziale, in grado di definire lo Stato esclusivamente da un punto di vista formalistico. Invece, il popolo di uno Stato è formato da una coscienza, da una volontà comune che si esplica nel corso dei secoli e dei millenni, al fine di raggiungere la vita politica. Quindi, il popolo come unità rappresenta la volontà di vivere insieme, e tale desiderio trova forma compiuta nello Stato. Ma il concetto di volontà assume qui una valenza molto diversa da quella assunta dai seguaci della Rivoluzione Francese. Essa non consiste in singoli individui che semplicemente vogliono darsi delle regole per vivere insieme; è bensì il risultato di un’élite di tipo guerriero che, tramite la collaborazione e subordinazione delle masse, dà una forma compiuta a quelle che sono le tendenze, le forze propulsive di tutti i componenti del popolo, conferendo per l’appunto una forma corrispondente a un cosmos che si declina nella compiutezza degli interessi e delle prerogative di tutte le classi sociali. La Tradizione assume quindi un ruolo fondamentale, essendo la maggiore forza propulsiva che conferisce all’uomo il senso di continuità, il sentimento di orgoglio nazionale, di appartenenza e di identità. Da tali asserzioni, Costamagna considera in un senso non pienamente positivo alcune delle idee circolanti nel mondo culturale fascista all’epoca, tra cui quella dei “corporativisti puri”. Legare il fascismo all’idea esclusiva delle corporazioni come fini in sé stesse significa, in effetti, non comprendere che il fine del tutto è nello Stato e nella vita di tipo spirituale e politico primariamente, della quale il lavoro costituisce un mezzo. È lo Stato che ricorre al principio del corporativismo per meglio attuare il principio di vita comunitaria.
Costamagna e la dottrina del Fascismo
E, nell’opera di Costamagna, monumentale per qualità e per estensione, non manca una stesura di tutte quelle che sono le fonti della dottrina fascista, anche in senso critico. Note sono le sue riserve sulla filosofia gentiliana, che traeva origine dall’Idealismo, il quale aveva come difetto originario quello di aver cercato una forma dialettica nella storia non in grado di superare l’impostazione deterministica precedente, nonché la prospettiva “individualista”. Non è certo questa la sede per esprimere un’adesione a questa o a quella dottrina, né per analizzare l’intero processo dialettico che caratterizzò quell’epoca, fornendo anche una base per quelli che saranno gli sviluppi culturali e ideologici del dopoguerra all’interno del mondo erede della stessa Weltanschauung. È tuttavia necessario accennare anche ai contrasti di Costamagna rispetto ad altri grandi intellettuali, in ossequio alle premesse fatte all’inizio. Avere un’egemonia culturale significa saper contrastare le narrazioni del nemico, il quale spesso vaneggia di un fascismo privo di riferimenti culturali, di dibattiti o di libertà. Tra i vari sostegni che possano aiutare noi a far comprendere l’assurdità di tali asserzioni, spicca sicuramente l’autore che qui stiamo trattando, proprio in virtù delle critiche che egli rivolgeva ad altri grandi a lui affini, e in virtù della grandezza dottrinaria, nonché dell’analisi del fascismo sotto molteplici punti di vista: da quello storico a quello morale, da quello politico a quello economico.
Costamagna e l’Europa
Quanto fin qui analizzato non sarebbe completo se non si desse il giusto risalto a un altro caposaldo dell’opera di Costamagna: l’idea d’Europa, che – come si ha modo di constatare – è direttamente connessa all’idea di Stato e alla dottrina fascista. D’altra parte, ciò è ravvisabile fin dall’esordio dell’opera che qui si sta commentando, dato che il fascismo come rivoluzione dello spirito viene direttamente collegato a una nuova via che la civiltà europea deve trovare per superare la crisi che la logora. Di fronte al virus antieuropeo che certuni cercano di diffondere, arrivando addirittura a sostenere che l’idea di Europa non fosse propria del fascismo, ma al massimo degli ambienti neofascisti, si risponde rileggendo l’opera di Costamagna, che dimostra che tra gli intendimenti principali del fascismo vi fu proprio la questione europea. Considerando il divenire storico – che l’autore spiega in modo ottimale e dettagliato, rifacendosi tra l’altro alle dichiarazioni e agli scritti di Sua Eccellenza – fu un’ambizione fin dal 1921, e l’idea imperiale cui è connessa prese forma non con i successi ottenuti in Africa, ma con la forte critica mossa dal fascismo alle Società delle Nazioni e con la conseguente volontà di cercare alleanze che costituissero per l’Europa una vera alternativa.
Il significato spirituale dell’Impero
Entrando nello specifico, Costamagna parte sempre dagli insegnamenti della tradizione storica, dando primariamente una definizione di cosa simboleggia l’impero. Esso rappresenta un’Idea più alta del processo spirituale costitutivo dello Stato. Esiste lo Stato cittadino, esiste lo Stato nazionale ed esiste lo Stato imperiale, che rappresenta il culmine della volontà espansiva di uno Stato, che si pone il compito di modellare l’intero cosmo. E, partendo dall’etimologia della parola “impero”, si ravvisa immediatamente in esso il senso della gerarchia, ovvero di una volontà che si impone su un’altra: da quella del pater familias, a quella del console. L’imperium nell’antica Roma simboleggiava l’autorità a partire dal microcosmo della famiglia e della città. E il fatto stesso che imperator, nella concezione romana, fosse colui che per l’appunto simboleggiava la somma magistratura, quella del popolo romano rispetto a tutti gli altri popoli del mondo, è ciò che ci fa comprendere il perché l’idea imperiale nella storia europea non possa non essere connessa alla romanità. La constatazione territoriale per Costamagna è del tutto insufficiente a spiegare il significato dell’impero. Ciò che lo caratterizza primariamente è il senso spirituale, e il fascismo in tal senso si era assunto al cospetto della storia la missione della civiltà europea. E se la storia dimostra che tendenze imperiali hanno caratterizzato tante grandi civiltà, dagli stati sumerici, fino agli antichi egizi, soltanto con l’esempio di Alessandro Magno e in definitiva con Roma vi sarà l’attuazione dell’Impero e la scoperta da parte degli uomini dell’Impero come concetto di civiltà. Con Roma la tendenza imperialista si elevò da istinto a dignità di Idea. E l’esempio di Roma continuò a vivere nella storia, unificando la civiltà europea, rivivendo nell’università della Chiesa e nel Sacrum Imperium. I più grandi momenti della storia europea si ispirarono a tale esempio, fino al momento in cui quell’ecumene non venne distrutta dall’affermarsi di quella mentalità occidentalista, contrapposta agli elementi romani e mediterranei (di cui in principio abbiamo parlato nell’introduzione), che, in seno alla propria ideologia negativa e atomistica, pensò di rendere i rapporti tra le nazioni, esattamente come quelli tra i singoli uomini delle nazioni stesse, meramente contrattualistici, ignorando che come un uomo non è nulla, se non vive organicamente la dimensione della stirpe, della nazione e dello stato nazionale, nulla è lo stato nazionale se non è inserito nella complessa e completa gerarchia imperiale. Ed è questo messaggio romano che per millenni rese unita la civiltà europea pur nelle svariate difficoltà e nei momenti di crisi e conflitti per chi tale primato dovesse ottenere. Ed essendo il fascismo rivoluzione dello spirito di fronte alla crisi delle ideologie mercantili, individualistiche e razionalistiche,si l’obiettivo di far risorgere la civiltà europea, dando quindi un nuovo assetto all’intero mondo. Ed è proprio ciò che concretizza il carattere religioso della romanità. E per quanto concerne il come attuare questa idea, Costamagna sostiene chiaramente che il nuovo assetto imperiale della civiltà europea deve essere ad egemonia italiana, di tipo federativo, come federativo fu l’impero Romano, riconoscendo l’elemento comune della stirpe europea nel suo complesso, come anche tutte le microstirpi con le loro differenze che ad essa contribuiscono, stabilendo dei rapporti di natura gerarchica per cui ogni stato costituente tale federazione avrebbe dovuto occupare un posto consono alla sua funzione. In nulla può quindi essere un esempio chi crede di realizzare l’Europa con semplici formule di accordi contrattuali, attuando quindi qualcosa di profondamente antieuropeo. Come da lui stesso scritto, l’Europa non è un concetto geografico, ma un’idea di valore morale, altrimenti non è nulla.
Chiarimenti sulla questione europea
A conclusione di questa esposizione, ci sembra opportuno chiarire alcuni spunti. Per quanto le idee di Costamagna sull’Europa siano per molti aspetti assolutamente valide, appare, cosa ovviamente assolutamente normale per i tempi, legato ad un’idea europea che si fondi intorno all’egemonia di uno stato rispetto agli altri. La Romanità è certamente l’elemento in cui si è esplicata l’idea di imperium europea, ma essa è in verità risalente ad un archetipo ancor più antico, quello indoeuropeo, di cui certamente il popolo romano seppe raccogliere al meglio l’eredità. Comprendere ciò significa superare qualsivoglia problematica sulla presunta contrapposizione tra elemento romano ed elemento germanico, che lo stesso Costamagna ascrive ai motivi più profondi della cultura europea. In lui però si ravvisa l’idea che con l’incoronazione di Carlo Magno da parte del papa gli elementi romani conquistarono in toto il mondo germanico e tutte le popolazioni barbariche, mentre, alla luce delle nostre conoscenze dovremmo più correttamente intendere il processo della romanizzazione come la reintegrazione di elementi arii, appartenenti in origine a un’unica stirpe da cui poi sono discese tutte le civiltà europee. In ogni caso, quanto Costamagna asserisce, se unito alle idee di altri grandi intellettuali del fascismo, ci porta comunque alla conclusione dell’Impero come assetto dell’Europa. Impero che alla luce delle sfide di oggi, va ovviamente inteso in senso gerarchico, ma che, più che italiano, tedesco, francese, etc, deve coltivare l’ambizione di fondare un tipo aristocratico trasversale a più nazioni europee e che eserciti il proprio dominio. Se forse vi fu un limite nel Fascismo a livello europeo fu proprio quello di alcuni di non saperne abbracciare una visione paneuopea, pur avendo l’ambizione dell’unità. Ma è proprio in virtù di ciò che noi oggi ci poniamo il compito di completare quel processo, portando un contributo concreto a quell’Idea, proprio come avrebbe voluto chi ci ha preceduto.
Ferdinando Viola