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Cento anni fa la vittoria della Bainsizza: la più grande battaglia (dimenticata) della storia italiana

by La Redazione
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Roma, 4 set – Oggi la battaglia della Bainsizza, combattuta tra l’agosto ed il settembre 1917 è totalmente dimenticata. Eppure si tratta del più grande sforzo militare che abbia mai viste coinvolte truppe italiane in tremila anni di storia: oltre un milione di soldati italiani. Il Comando Supremo italiano con la battaglia della Bainsizza (o XI battaglia dell’Isonzo) riuscì ad ottenere i maggiori guadagni territoriali raggiunti da un esercito alleato sul fronte occidentale sin dal 1914. Come scrive la relazione ufficiale italiana uscita nel 1967, fu: “Una delle più grandiose operazioni di tutta la guerra, una delle più brillanti offensive svolte sull’intero scacchiere europeo, una delle maggiori vittorie- militarmente, forse, la maggiore- del nostro Esercito[1]”. 

E’ stato il più grande sforzo militare della storia italiana dall’antichità ad oggi. Un milione di soldati italiani su seicento battaglioni, preceduti dal fuoco di cinquemiladuecento pezzi di artiglieria, attaccano le posizioni imperiali per l’ennesima spallata. Fin troppo spesso si dimentica come alla lunga le sempre vituperate spallate si dimostrarono vincenti, tanto da portare l’Austria- Ungheria sull’orlo della disfatta: nel corso dell’Undicesima battaglia dell’Isonzo negli alti Comandi austriaci comincia a diffondersi la preoccupante certezza che il ripetersi delle offensive di Cadorna possa portare entro pochissimo tempo al cedimento del fronte ed allo sfondamento italiano verso Lubiana. La battaglia dura dal 19 agosto al 12 settembre.

L’offensiva italiana si articola dapprima con il gittamento di ponti sull’Isonzo per attraversare il fiume e quindi tentare di raggiungere l’orlo dell’altipiano della Bainsizza. Mentre il fronte sinistro dell’offensiva, costituito dal grosso della 2a Armata del generale Luigi Capello viene fermato dalla 5a Armata austro-ungarica, il centro dello schieramento, costituito dal XXIV Corpo d’Armata, sempre delle truppe di Capello, comandato dal generale Enrico Caviglia – futuro Maresciallo d’Italia – riesce invece ad avanzare sulla Bainsizza. Anche l’offensiva sulla destra ha un esito positivo, tanto che il II Corpo d’Armata si impadronisce del Monte Santo. La 3a Armata del Duca d’Aosta, a sua volta, opera sul Carso, tra Gorizia ed il Mare Adriatico, e consegue solo vantaggi parziali sull’Altopiano di Comeno (Castagnevizza) e alle falde dell’Ermada, dove viene però fermata da un’ulteriore linea difensiva imperiale[2]. La 3a Armata, a sua volta, riunitasi, occupò quasi tutto l’altopiano della Bainsizza, e avanzò verso il vallone di Chiapovano, dove venne però fermata da un’ulteriore linea difensiva imperiale. La punta più avanzata dell’offensiva italiana fu costituita dalla Brigata Granatieri di Sardegna che il 22 agosto 1917 raggiunse le pendici dello Stari Lovka, nel vallone di Chiapovano, il punto più orientale raggiunto dall’Italia nella Grande Guerra sul fronte carsico- isontino.

Un giudizio che è opportuno conoscere è quello del dittatore virtuale della Germania. Il General der Infanterie Erich Ludendorff, che sulla battaglia della Bainsizza, solitamente descritta da pseudo – storici et similia come inutile, stupida e priva di risultati scrisse: “Alla fine di agosto era cominciata sulla fronte dell’Isonzo l’11a battaglia dell’Isonzo, su un’ampiezza di settanta chilometri, e aveva portato successo agli Italiani. Al principio di settembre si continuò accanitamente la lotta. Fu un nuovo successo per gli Italiani. Le armate austro-ungariche avevano resistito, ma le loro perdite erano state tanto gravi e il loro morale così scosso che nei competenti circoli militari e politici dell’Austria- Ungheria entrò la convinzione che le armate austro- ungariche non sosterrebbero una continuazione della battaglia e un dodicesimo attacco sull’Isonzo. (…) Si dovette decidere l’azione contro l’Italia per impedire la rovina dell’Austria Ungheria”.

L’ufficiale di collegamento tedesco presso il Gran Quartier Generale austro- ungarico, generale August von Cramon, a sua volta scrisse: “Gli italiani avevano sferrato nuovi attacchi sul fronte dell’Isonzo. Benché questi attacchi non fossero stati coronati da un successo decisivo avevano però indebolito sensibilmente la forza di resistenza dell’Armata austriaca ed avevano fatto perdere alla Monarchia danubiana una distesa di territorio, che non era affatto trascurabile, sull’altipiano della Bainsizza e in direzione di Castagnevizza. Non si era sicuri di poter salvare Trieste se gli Italiani avessero continuato i loro attacchi[3]E, ancora von Cramon: “[Era] stato previsto (…) durante l’estate 1917 che il crollo dell’Armata austro- ungarica era prossimo e certo[4].

L’Italia, da sola, era ad un soffio dal vincere la guerra. Senza aiuti alleati, tranne 95 batterie britanniche. Venne lasciata sola e intervennero i tedeschi: fu Caporetto. Ma questa è un’altra storia. E sulla Bainsizza avvenne il primo vero impiego degli Arditi, la cui scuola alla Sdricca era stata creata solo il mese prima. E fu un battesimo del fuoco dirompente. Sull’Isonzo le fanterie italiane continuarono ad attaccare in colonne compatte sotto il fuoco nemico, e se alla lunga il peso della materialschlacht (guerra di logoramento) si dimostrava decisivo, era ciò non di meno estremamente dispendioso in termini di vite umane rispetto ai vantaggi conseguiti sul campo. Proprio per tale motivo Cadorna, ispirandosi al modello delle truppe d’assalto imperiali, decise la costituzione del Corpo degli Arditi, come abbiamo ricordato nell’articolo dedicato al centenario della creazione delle Fiamme Nere. Anche se occorrerà attendere le esperienze successive a Caporetto per assistere all’espansione ed alla definitiva affermazione dei reparti di Arditi, addestrati ad agire secondo tattiche d’infiltrazione sul modello di quelle già adottate dai reparti d’assalto austro-ungarici[5], che avevano già allora riscosso successi incoraggianti contro gli italiani, in special modo in occasione della riconquista dell’Ortigara il 25 giugno 1917, non si può dimenticare come proprio Cadorna si fosse reso conto della necessità di truppe rapide nell’assalto e capaci di tattiche di infiltrazione.

Tra i luoghi divenuti simbolo della battaglia c’era il monte San Gabriele, potentemente fortificato con opere in caverna, gallerie e casematte, appoggiato dalle posizioni altrettanto forti di Dol e di Santa Caterina, contro il quale dal 29 agosto intere brigate italiane si erano dissanguate senza risultati. Si tentò di costringere gli imperiali alla resa con un bombardamento che costituì un vero e proprio assedio di fuoco, che avrebbe isolato il monte impedendo l’arrivo di rifornimenti e rincalzi. Per tre giorni consecutivi l’artiglieria italiana sparò oltre 15 mila colpi giornalieri, senza risultato: i successivi assalti di fanterie del II e del IV Corpo d’Armata e dei Bersaglieri vennero respinti dai difensori con pesanti perdite. Capello decise di impiegare le truppe d’assalto con compiti di rottura e, alle 5.45 del 4 settembre, tre colonne di fanteria, precedute da tre compagnie di arditi iniziarono un nuovo attacco all’imprendibile monte. Obbiettivi erano il Fortino di Dol, il San Gabriele, il fortino di Santa Caterina.

Dagli osservatori del VI Corpo posti sulla cima del Sabotino assistevano all’attacco Vittorio Emanuele III, Cadorna, Capello, gli addetti militari francesi ed inglesi, i giornalisti Barzini e Piva. Era la prima volta dall’inizio della guerra che assistevano ad un attacco di truppe d’assalto. Mentre ancora durava il bombardamento preparatorio, gli Arditi lanciarono i petardi, che gli austriaci confusero con le granate dell’artiglieria, venendo colti di sorpresa, tanto che un ufficiale austriaco preso prigioniero ebbe a dichiarare: Ci siamo trovati prigionieri prima di esserci accorti che gli italiani avanzavano[6]Venne occupata la prima linea di trincee, subito le Fiamme Nere si portarono sulla seconda, bloccando con i lanciafiamme le gallerie ed i ricoveri fortificati dove gli imperiali attendevano la fine del bombardamento. Il tenente Farina scrisse che “centinaia di altri austriaci, che non vollero arrendersi, rimasero nelle caverne trafitti dai pugnali degli arditi del I Reparto d’Assalto. Molti austriaci, non abbastanza rapidi ad alzare le mani, vennero finiti a colpi di pugnale[7]”.

E’ quasi certo che in un primo momento gli Arditi non fecero prigionieri, finendo sul posto gran parte dei nemici per non avere né intralci né minacce alle spalle durante l’azione. Alle 6.30 il tenente Salvatore Farina issò sulla cima del San Gabriele il tricolore. In mancanza di un’asta, l’Aiutante di battaglia Corsetti diede all’ufficiale un fucile austriaco, sulla cui canna venne legato il drappo della bandiera[8]. Malgrado il mancato rincalzo delle fanterie della Brigata Arno ed un violento bombardamento austriaco – che decimò le colonne di prigionieri – gli Arditi mantennero il possesso del monte. A mezzogiorno il Re ed il Generalissimo lasciarono l’osservatorio, esprimendo la propria soddisfazione al colonnello Bassi, inventore delle Truppe d’Assalto italiane[9]. Il più formidabile caposaldo della difesa avversaria, contro il quale si erano infranti gli assalti delle truppe di otto brigate[10], appartenenti a due Corpi d’Armata, oltre 15 mila uomini, era caduto in tre quarti d’ora nelle mani di tre compagnie formate da 457 uomini. Vennero catturati 3.127 prigionieri, tra cui due colonnelli ed un generale ferito (il generale comandante del presidio del San Gabriele che si era sparato), 55 mitragliatrici e 26 cannoncini da trincea oltre a numerosi lanciabombe.

Gli Arditi ebbero 61 caduti[11]. Lo slancio fu tale che, come ricordò lo stesso Capello, le Fiamme Nere giunsero sino al monte San Daniele, che venne però abbandonato per il mancato sostegno delle fanterie: Né si arrestarono i valorosi: si spinsero innanzi e raggiunsero anche il Monte S. Daniele! Ma purtroppo i reparti di rincalzo, che avrebbero dovuto raggiungere la posizione conquistata e tenerla, non avanzarono in tempo, mancò loro lo slancio, mancò loro la decisione[12]Era cambiato il modo di fare la guerra.

Pierluigi Romeo di Colloredo Mels

 

[1]          Ufficio Storico SME, L’Esercito Italiano nella Grande Guerra, vol. IV°. Le operazioni del 1917, tomo 3 , Gli avvenimenti dall’ottobre al dicembre, Narrazione, Roma 1967, p.10.

[2]    P. Romeo di Colloredo, Cadorna. Una biografia militare , Genova 2011.

[3]          August von Cramon, Unser österreichisch- ungarischer Bundsgenosse im Weltkriege, Berlin 1919 (tr. it. Quattro anni al Gran Quartier Generale Austro-ungarico, Palermo 1924. p.193).

[4]    Ibid. pp. 199- 200.

[5][5] A partire dalla primavera del 1917 vennero costituiti reparti di truppe d’assalto i cui sistemi addestrativi servirono da modello agli Arditi italiani: si noti, tali reparti vennero formati prima del contatto degli austro- ungarici con le Stoßtruppen tedesche, avvenuto alla vigilia di Caporetto, ossia nell’Ottobre di quello stesso anno

[6]    Rip. in Comando 2. Armata- Sezione Informazioni, Bollettino 2372. Gli Arditi e la loro tattica nel giudizio e attraverso le impressioni degli ufficiali e della truppa nemici.

[7]    S. Farina, Le truppe d’assalto italiane, Milano 1938 (rist. Milano 2005), p. 248.

[8]    Il tenente Farina, espostosi al fuoco, venne colpito ad una gamba da una pallottola austriaca, subendo poi l’amputazione dell’arto. Ebbe la Medaglia d’Argeno al Valor Militare.

[9]    Ibid., pp. 238 segg.

[10]   Gatti, Caporetto, cit., p. 178 alla data del 7 settembre .

[11]   Farina, Le truppe d’assalto…, cit., p. 248; cfr anche Rochat, Gli Arditi…, cit., p. 48. Lo storico pavese scrive che gli Arditi mantennero la vetta del San Gabriele e il fortino di Dol fino a sera, quando finalmente la fanteria riuscì a raggiungerli” (ibid.).

[12]   L. Capello, rip. in Farina, Le truppe d’assalto, cit., p.249

 

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ANTERO 7 Settembre 2017 - 10:59

Valorosissimi !

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gino 9 Novembre 2017 - 4:44

Buon Giorno
Mi chiamo Gino Prandina
e sono un discendente dei caduti GIOVANNI E GIUSEPPE (nipote del fu PRANDINA VIRGILIO, cav, di Vitt.V., che fu fratello di GIOVANNI E GIUSEPPE)
Cerco informazione sui due giovanissimi fratelli morti in guerra, da
notizie dall’Albo d’oro:
PRANDINA GIOVANNI di BORTOLO
/° regg. fanteria
n. 19 maggio 1986 e morto 12 agosto 1916 sul medio Isonzo.
PRANDINA GIUSEPPE di BORTOLO
6° regg. Alpini
n. 4 gen 1898 e morto 29 ago 1917 sull’altopiano della Bainsizza
durante il combattimento, dopo lunga agonia sul campo.
Medaglia d’argento al v.m.
Ho bisogno di avere altre notizie – in questo periodo Anniversario – e soprattutto dove sono sepolti, per questa immane tragedia occorsa alla nostra famiglia e mai approfondita. Ad entrambi sono dedicate alcune sezioni A.n.A. della zona Marostica, Pianezze, Molvena, Mure (VICENZA) SCRIVETEMI PER FAVORE
A: pievesaneusebio@libero.it

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Stefano 12 Ottobre 2018 - 4:33

Sul medio isonzo venivano sepolti la maggior parte a plave in Slovenia poi trasferiti a oslavia Gorizia nell’ossario negli anni trenta venerano altri cimiteri ma plave era il più grande Potrebbe essere a oslavia hai verificato?

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gino 22 Aprile 2020 - 10:44

grazie. Si. A Oslavia non ci sono. E neppure a Redipuglia…

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celeste 11 Febbraio 2019 - 4:51

Per quel discendente del signor Prandina posso solo dirle che mio zio, Cesare Di Tommaso di Roma fratello di mio padre , morì lo stesso giorno del suo parente il signor Giuseppe , il 29 agosto 1917 sulla Bainsizza lui era nella brigata 237° fanteria Grosseto , morì in combattimento insieme ad una compagnia di alpini in località Vhrovec che non so trovare sulle mappe della Slovenia di oggi.
Il giorno dopo se ne andarono via tutti perchè in quota 800 a Vhrovec era pieno di cannoni arrivati dal fronte orientale.
I miei fratelli sono stati sulla Bainsizza e il ministero ci ha dato una medaglia in ricordo di questo zio che nemmeno mio padre aveva mai conosciuto perchè quando mio zio morì lui aveva 3 anni.

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