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“Chiedi al torrente”, le stragi partigiane a Genova: intervista all’autore Gabriele Parodi

by Ilaria Paoletti
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Genova, 25 apr – Oggi è il giorno in cui si celebra la cosiddetta “Liberazione” dell’Italia da Fascismo: liberazione “imputata” ai partigiani da una certa storiografia faziosa che per lungo tempo ha esercitato un diritto di egemonia anche sul sangue dei “vinti” e sulla giustizia che questi hanno chiesto invano per troppo tempo. In tale ottica è un piacere e  anche una sorta di dovere “morale” leggere e diffondere un’opera come Chiedi al torrente di Gabriele Parodi e Paola Coraini.
Proprio in occasione del 25 aprile cerchiamo, con un’intervista  Gabriele Parodi, di tornare sull’argomento, ponendo particolare accento sull’obiettività che ha caratterizzato la stesura di questo libro, un prezioso documento da lasciare ai posteri.

1) Da cosa è nata la volontà di scrivere questo libro?

Alcuni fattori concomitanti sono all’origine del libro. L’idea nacque molti anni fa, spinto dalla curiosità dopo un racconto di mia nonna a proposito di una strage ad opera dei partigiani avvenuta a fondo valle del paese dove sono nato, in quel Torrente “Geminiano” che da il titolo al libro. In secondo luogo è stato il desiderio di far conoscere al maggior numero di persone possibili questa storia, occultata e sepolta da decenni di retorica resistenziale, basti pensare che solo due anni fa, era stato diffuso un fumetto alle scuole elementari sulla Brigata Balilla, dove ovviamente veniva raccontata una storia a senso unico. Tuttavia quello che ha fatto scattare la molla per trasformare il desiderio in azione, è stato l’incontro casuale con la mia coautrice Paola Coraini, volontaria in biblioteca a Bolzaneto, a cui , quasi per caso, avevo parlato di queste stragi, che avvennero proprio a due passi dalla sua abitazione: non ne aveva mai sentito parlare, e cosi è nata la decisione di scrivere questo libro, la cui pubblicazione è merito all’amico ed editore Andrea Lombardi, che ci ha incoraggiati e supportati dall’inizio.

2) Come avete raccolto le fonti?

La raccolta delle fonti è stata basata per nostra volontà su un preciso criterio: ridurre il più possibile le fonti di storici e ricercatori vicini al mondo della destra o comunque ritenuti “revisionisti” e concentrarci sui testi, documenti e fonti vicini al mondo resistenziale, in modo da rendere il Libro inattaccabile e incontestabile. Abbiamo letto e consultato oltre 80 libri di cui oltre 50 di autori marxisti o comunque vicini alla Resistenza, centinaia di documenti dell’Istituto Storico della Resistenza e anche di sedi locali dell’Anpi, senza ovviamente trascurare la copiosa documentazione offerta dall’Archivio di Stato di Genova.

3) E’ stato difficile effettuare questo tipo di ricerche a Genova, città che si autoproclama “antifascista?”

E’ stato meno difficile del previsto: la mia coautrice Paola Coraini, grazie al suo lavoro in biblioteca e vista la sua estraneità al mondo della politica, ha avuto libero accesso presso gli Archivi di numerosi enti, associazioni, biblioteche, ed ha potuto raccogliere tutto il materiale necessario. E’ stato davvero un bel gioco di squadra: io facevo la “lista della spesa” e lei cercava… e quasi sempre trovava.

4) Avete conosciuto discendenti di vittime della Brigata Balilla e di altri criminali partigiani

Abbiamo conosciuto alcuni discendenti, tra cui il figlio di una delle vittime che assistette da bambino all’arresto di suo padre, una brava persona, un commerciante con la sola colpa di essere simpatizzante del Fascismo (come la maggioranza del resto) e di essere considerato un “borghese”, da chi oltre per l’odio per il Fascismo, era mosso da un odio di classe.
I pochi discendenti tuttora viventi ci hanno rivelato all’unisono che per anni hanno dovuto tenere questo dolore dentro di sé, spesso per paura, talvolta per pudore, alcuni per desiderio di rimuovere questo peso atroce. Una delle cose più dolorose per loro era incontrare per strada, magari sullo stesso marciapiede, i responsabili di questi eccidi, personaggi che per anni sono stati celebrati come eroi.

5) Come è stato accolto il libro sin’ora? Avete ricevuto contestazioni in occasione delle presentazioni?

Siamo stati molto sorpresi dall’entusiasmo che si è creato attorno a noi e al libro. In Valpolcevera, alla prima presentazione (in forma privata e per inviti) avevamo una sala gremita con circa 100 persone, un record per la “rossa” Valpolcevera. Le vendite stanno andando a gonfie vele, tanto che abbiamo già dovuto ordinare una prima ristampa. Il libro piace anche a chi non è genovese, forse attirato dal fatto che è una storia poco nota, e che l’utilizzo delle fonti è piuttosto inusuale rispetto alla tradizione.
Contestazioni ufficiali non ne abbiamo avute, se non sotto forma di negarci uno spazio pubblico per la presentazione del libro. In ogni caso, ho invitato i nostri “detrattori” a leggerlo, e forse resteranno sorpresi nel trovare che la maggior parte delle prove, sono negli archivi della Resistenza, addirittura nelle dichiarazioni e nei memoriali dei partigiani stessi. Troveranno anche il racconto di vent’anni di Fascismo in Valpolcevera, con le sue violenze e le sue sopraffazioni: non ci sono sconti per nessuno, volevamo solo raccontare la verità.

6) Quale è il vostro pensiero sulla ricorrenza del 25 aprile?

Circa 30 anni fa, l’allora responsabile dell’Msi di zona Benito Mignani, mi disse: “Mi piacerebbe che il 25 aprile stringessi la mano ad un tuo coetaneo comunista, e rendeste omaggio reciproco ai caduti: io non lo posso fare per il mio passato e le mie tragedie familiari, ma voi potete”. Egli contava 8 famigliari uccisi dai partigiani, di cui due fratelli in tenera età.
Penso alla grandezza di quest’uomo, che non poteva perdonare ma che voleva che noi giovani guardassimo avanti. Purtroppo il ragazzo di allora a cui avrei dovuto stringere la mano, ancora ieri su Facebook scriveva: “Dovevamo finire il lavoro e ammazzarli tutti“.
Questa celebrazione resta e forse resterà per sempre divisiva, proprio perchè a monopolizzarla sono gli eredi di quel pensiero ideologicamente malato.
Domani avrò un preghiera per tutti i morti di cui parlo nel mio libro e a cui è dedicato, ma anche un pensiero a Aldo Gastaldi “Bisagno”, comandante partigiano apartitico e cattolico, che con tutte le forze  (come è testimoniato sul libro) cercò, invano, di impedire le stragi del dopoguerra.

Ilaria Paoletti

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