Roma, 23 ott – Nel cimitero di guerra di El-Alamein, oggi piccola cittadina del litorale mediterraneo egiziano a poco più di 100 km da Alessandria d’Egitto, sorge un cippo ivi posto dai Bersaglieri del 7° reggimento recante la famosa frase “Mancò la fortuna, non il valore”.
Le poche parole di questa epigrafe sono entrate nel mito e nella storiografia d’Italia e ben rappresentano, con la loro sintesi priva di retorica, quanto avvenne tra le sabbie del deserto a cominciare dal 23 ottobre del 1942.
Alle 20:40 di quella sera cominciò l’operazione “Lightfoot”: più di mille cannoni inglesi aprirono il fuoco contro il fronte occupato dagli italo-tedeschi che si dispiegava dalla depressione di al-Qattara sino al mar Mediterraneo; un quarto d’ora di fuoco d’inferno sulle trincee scavate là dove si era fermata l’irresistibile avanzata dell’Asse rintuzzata in qualche maniera dagli inglesi comandati dal generale Auchinleck, a cui era succeduto, l’8 agosto dello stesso anno, il generale Montgomery.
Occorre qui spezzare una piccola lancia in favore di Auchinleck, dipinto dalla stessa storiografia inglese come un comandate di scarsa qualità con l’intento di rendere ancora più gloriosa la vittoria di Montgomery: la sua strategia di ripiegare e asserragliarsi ad El-Alamein è stata fondamentale per la successiva vittoria inglese.
La geografia del luogo infatti, un vero e proprio collo di bottiglia tra il mare e la depressione non percorribile di al-Qattara, consentì agli inglesi di ottenere un importante vantaggio militare impedendo quella che era stata la tattica di Rommel sino ad allora: aggirare i punti di resistenza inglesi con ampi movimenti a tenaglia nel deserto sfruttando la velocità dei reggimenti corazzati e delle fanterie meccanizzate.
Tutto questo si infranse nell’estate del 1942 davanti alle trincee inglesi di El-Alamein; così mentre gli italo-tedeschi cercarono di sfondare le linee, gli inglesi ebbero tempo di ammassare ingenti rifornimenti in Egitto sfruttando soprattutto la via del Mar Rosso, essendo caduta nel frattempo l’A.O.I. (Africa Orientale Italiana), che non solo rappresentava una spina nel fianco dei convogli diretti in Egitto provenienti dall’India o dagli Stati Uniti, questi ultimi dopo aver fatto il periplo dell’Africa dato che la via diretta attraverso il Mediterraneo era sbarrata dalla Regia Marina e dall’aeronautica dell’Asse, ma che permise di liberare migliaia di truppe e tonnellate di materiale bellico che furono destinate al fronte egiziano. Fattori che, insieme alla vicinanza dei campi di aviazione inglesi al fronte e all’accorciamento delle linee di rifornimento, permisero agli Alleati di ottenere una importante, ma faticosa, vittoria.
“Lightfoot” prevedeva una manovra a tenaglia condotta da fanteria e forze corazzate lanciando due attacchi frontali a nord e a sud della linea del fronte: 5 divisioni di fanteria protette dal fuoco di artiglieria dovevano spezzare le linee a nord tenute dalla Trento e dalla 164° div. di fanteria tedesca per permettere l’inserimento tra le linee dell’Asse della 10° divisione corazzata inglese, a sud la 44° divisione di fanteria inglese doveva impegnare le truppe della Folgore aprendo lo spazio al passaggio della 7° divisione corazzata. Questo avrebbe permesso di aprire la linea del fronte e attestarsi in attesa del contrattacco italo-tedesco che sarebbe stato respinto con l’ausilio delle riserve di carri Sherman e Grant nuovi fiammanti.
Secondo Montgomery la battaglia di El-Alamein sarebbe stata decisa in pochi giorni
Invece durò più del previsto e non colse il successo sperato dato che non si trasformò in una rotta, soprattutto grazie alla strenua resistenza delle truppe italiane del settore sud, dove le divisioni Folgore, Ariete e Pavia si distinsero, e si distingueranno sino al termine della lunga battaglia, per coraggio e abnegazione.
Il primo novembre, dopo 8 giorni di combattimenti in cui gli atti di eroismo si sprecarono da entrambe le parti, prese così il via l’operazione “Supercharge” che impiegò, oltre alla solita massiccia cortina di artiglieria, 570 carri della 9° brigata corazzata inglese. Agli italo tedeschi restavano circa 167 carri in efficienza. La mattina del 2 novembre, dopo il sacrificio di un’intera divisione corazzata, la Littorio, che nella notte si era frapposta insieme ai pezzi da 88 tedeschi per cercare di fermare la 9° inglese dipingendo una delle pagine più eroiche della Seconda Guerra Mondiale, le fanterie scozzesi e neozelandesi riuscirono ad incunearsi tra la Trieste ed i resti della Littorio, spezzando così, definitivamente, il fronte italo-tedesco. Rommel gettò a quel punto nella mischia tutto quella che aveva a disposizione: i resti della 15° e 21° Panzer coi carri rimasti alle divisioni italiane, in tutto circa 120, attaccarono il saliente formato dai circa 250 carri inglesi supportati dai pezzi di artiglieria controcarro. Fu un’aspra e furibonda battaglia che durò tutta la giornata, le forze dell’Asse non riuscirono a ricacciare l’avversario ma l’assalto venne temporaneamente bloccato nonostante anche le incursioni dei bombardieri della Desert Air Force.
Dopo la giornata di relativa calma del 3 novembre, che diede tempo agli inglesi di riordinare gli schieramenti, il 4 novembre ripresero l’offensiva sempre in contemporanea a nord e a sud del fronte.
A nord la 9° australiana avanzò verso la costa dove non incontrò resistenza mentre a sud la 1° e la 10° corazzata britannica puntarono verso i resti del Deutsche Afrika Korps riuscendo a sfondare, col pericolo così di accerchiamento del grosso dell’armata italo-tedesca. Restavano a combattere solo l’Ariete, la Folgore insieme ai resti della Littorio che, grazie al loro eroico sacrificio, permisero l’ordinata ritirata dell’esercito dell’Asse.
Le sorti della guerra d’Africa si decisero in un’unica battaglia che durò 12 giorni, molti di più di quanti preventivati dal generale Montgomery, e che dimostrarono al mondo intero, attraverso la strenua resistenza soprattutto delle divisioni Ariete e Folgore, quest’ultima l’unica che può considerarsi invitta, il vero valore del soldato italiano.
Spesso e volentieri la storiografia moderna, e soprattutto il cinema, dipingono l’Esercito Italiano che combatté durante la Seconda Guerra Mondiale come composto da uomini costretti a combattere, che sognano solamente di ritornare a casa per dedicarsi agli ozi casalinghi, ebbene l’esempio fornito dagli uomini della Folgore, dell’Ariete, della Littorio e della Pavia dimostra che non è stato così: quegli uomini, sacrificatisi nel deserto egiziano, dimostrano che lo spirito dei nostri soldati era ben diverso, che esisteva la volontà di donarsi alla patria sino all’estremo, combattendo sino all’ultima cartuccia perché non si difendeva solo un buco nel deserto, si difendeva l’onore e la tradizione dell’Italia. El-Alamein perciò rappresenta, insieme alle trincee del Carso ed al Piave, il più sacro dei simboli della Patria, e tramandarne la memoria è fondamentale per rifondare lo spirito di una Nazione che ha perso ogni valore identitario.
Paolo Mauri
5 comments
Penso che l’ ultimo messaggio del comando Ariete dica tutto. Ariete circondata. Ariete combatte.
Questa Italia non lo capirebbe mai….
Hai perfettamente ragione Massimiliano.
L’Italia di oggi pensa che i partigiani siano gli unici ad aver “combattuto”!
Combattuto, i partigiani? Più che altro rintanati nelle grotte come i vermi a far da spie agli invasori
In quel giorno ” maledetto “, lì in Africa, non ci furono solo i para’ della Folgore ma, anche i Valorosi Bersaglieri dell’Ariete che con i Nostri Uomini anti carro e con le ultime munizioni rimaste, affrontarono il nemico… Con le Baionette fra i denti !!!!. Onore a tutti…..
avete ragione