Roma, 25 sett – Per trent’anni l’Europa è rimasta ai margini del dossier Taiwan, prigioniera della paura di irritare Pechino e incapace di agire fuori dall’ombra americana. Ma la guerra in Ucraina, l’emergere di nuove faglie geopolitiche e la crescente assertività cinese hanno cambiato la partita. Lo testimonia l’ultima Taipei Aerospace and Defence Technology Exhibition, dove — accanto ai giganti statunitensi — si è vista una presenza europea mai così rilevante dalla fine della Guerra Fredda.
Il ritorno europeo a Taiwan
Alla fiera della difesa di settembre hanno fatto il loro ingresso Repubblica Ceca, Germania e Airbus, con gesti carichi di significato politico. Il senatore ceco Pavel Fischer ha parlato di Taiwan come partner naturale, mentre Berlino ha mandato per la prima volta il suo Trade Office. Airbus ha esposto un drone Flexrotor con la scritta “I ♥ Taiwan”, andando ben oltre il marketing aeronautico: un chiaro segnale che i tabù stanno cadendo. Il peso della storia non è trascurabile: dopo la vendita di sottomarini olandesi e Mirage francesi negli anni ’80-’90, la Cina reagì con tale durezza da bloccare ogni ulteriore transazione europea. Oggi, però, il clima è diverso. La lezione ucraina ha dimostrato che l’aggressione militare non è un ricordo del passato e ha spinto i Paesi dell’Europa centro-orientale a leggere Taiwan come un fronte parallelo della stessa sfida: quella tra Stati nazionali e imperi autoritari.
La strategia di Taipei
Il cambiamento non riguarda solo i partner esterni. Taiwan sta vivendo una trasformazione interna profonda. Il governo del presidente Lai Ching-te ha varato un pacchetto da 550 miliardi di dollari taiwanesi per potenziare la “resilienza nazionale”, investendo in backbone network, centri di comando mobili e sorveglianza costiera. L’obiettivo dichiarato è di portare la spesa militare al 5% del PIL entro il 2030: un salto storico che testimonia la consapevolezza del rischio di conflitto. Il ministro della Difesa Wellington Koo ha chiarito che gli appalti saranno svolti in patria, a sostegno dell’economia nazionale e delle industrie locali, in particolare nei settori unmanned, navale e delle comunicazioni sicure. È la traduzione pratica di un principio chiaro: prepararsi a resistere da soli, contando sugli alleati ma senza dipendere unicamente da loro.
Anche l’Italia si affaccia su Taiwan
In questo quadro, anche l’Italia ha rialzato la testa. La missione parlamentare guidata dal senatore Adriano Paroli (FI) e composta da esponenti di Fratelli d’Italia, Partito Democratico e Forza Italia è stata la più numerosa degli ultimi anni. La vicepresidente Hsiao Bi-khim ha accolto la delegazione come un segnale di sostegno bipartisan, lodando il ruolo italiano per la partecipazione di Taiwan agli organismi internazionali e invitando Roma a valutare anche missioni navali nello Stretto. Il ministro degli Esteri Lin Chia-lung ha citato i rapporti parlamentari sull’Indo-Pacifico e le prese di posizione italiane all’OMS come basi di una cooperazione sempre più stretta. Non a caso, la visita ha coinciso con SEMICON Taiwan 2025, la più grande fiera dei semiconduttori al mondo, settore in cui l’isola è leader globale e in cui l’Italia cerca spazi di collaborazione tecnologica e industriale.
Oltre la neutralità compiacente
Il messaggio che emerge è duplice. Da un lato, Taiwan non è più disposta a subire passivamente la pressione cinese: aumenta la spesa, rafforza l’industria interna, si prepara a scenari di guerra asimmetrica. Dall’altro, l’Europa — Italia compresa — non può più permettersi di restare neutrale. La contrapposizione tra Washington e Pechino passa ormai attraverso ogni capitale europea, costretta a scegliere se restare ancorata agli investimenti cinesi o inserirsi nel nuovo blocco transatlantico di contenimento. Non a caso, il viaggio del ministro Lin a Roma e Vienna è arrivato pochi giorni dopo la visita di Wang Yi, segno che l’Europa è ormai un vero e proprio campo di battaglia diplomatico. Il ritorno europeo a Taipei dopo tre decenni è più che un episodio di mercato: è l’indizio di un ordine mondiale che si sta frammentando. Dalla guerra in Ucraina al fronte asiatico, il messaggio è lo stesso: chi si illude di vivere in una “pace perpetua” è già fuori dalla storia. Taiwan si prepara, l’Europa comincia a muoversi. La domanda è se l’Italia avrà il coraggio di andare oltre le missioni simboliche e giocare un ruolo reale in questa sfida globale.
Sergio Filacchioni