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Figli di una Patria più grande: europei nello spazio e nel tempo

by La Redazione
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Patria

Roma, 13 ott – Adriano Romualdi scrisse più di sessant’anni fa che i nazionalismi di tipo ottocentesco andavano superati perché si giungesse alla consapevolezza che italiani, francesi, tedeschi, polacchi, ungheresi e tutti i popoli d’Europa si percepissero come figli di una Patria più grande, quella europea, che, ben lungi dall’essere un semplice insieme di nazioni, è bensì essa stessa il principio unitario che si è declinato nelle varie differenze nazionali.

Alla ricerca di una Patria

Quanto da lui scritto allora era di assoluta avanguardia, ma lo è ancor di più oggi. All’epoca perché il nazionalismo di tipo ottocentesco era una delle tendenze più diffuse; oggi perché il fascino per il sovranismo un po’ “borghesotto”, se pur in declino, continua a riscuotere un certo consenso. Ciò che a molti non è chiaro è che certe ideologie tutto sono fuorché l’antitesi del mondo moderno, anzi ne rappresentano la quintessenza. Il nazionalismo nasce con l’illuminismo e la rivoluzione francese. Che poi esso sia stato anche il motore per un tipo di uomo nuovo, romantico ed eroico, sulle cui basi nascerà tutta l’epopea risorgimentale e l’idea Fascista è vero, come però è vero, non casualmente, che questa stessa Idea sarà declinata in una visione imperiale euro-mediterranea. Una visione che animò le classi dirigenti e i combattenti della guerra, ben consapevoli che ad essere in gioco era il futuro stesso dell’Europa di fronte all’ascesa dei grandi “blocchi economici”, non quello delle singole nazioni in sé. Eppure, proprio dopo la seconda guerra mondiale, un po’ per una realtà vissuta con rassegnazione, un po’ per volontà di distaccarsi dalla Germania o dall’esperienza Fascista in generale, un intero mondo “esule” in Patria ha trovato in quel tipo di nazionalismo, quello “pre-Fascista”, quello non smussato e corretto dal lavoro militante ed intellettuale di Giovanni Gentile, Berto Ricci o Niccolò Giani, quello “non-europeo” quindi senza il contributo dei De Rivera, Drieu La Rochelle o Mosley, la sua ragion d’essere nel nuovo assetto orchestrato a Yalta.

Le false flag del sovranismo

Ciononostante, grazie all’opera di Adriano Romualdi, nel mondo giovanile della destra il mito dell’Europa continuò ad essere presente e fu il principio ispiratore di un nuovo filone culturale, ben legato al passato, ma senza nostalgie, e ben proiettato nel futuro. Ciononostante, in anni piuttosto recenti, proprio le idee che già sapevano di vecchio cinquant’anni fa, sono state recuperate e addirittura peggiorate. In quanti, ad esempio, richiamandosi al sovranismo fanno leva sulla costituzione, sugli anni ’80 dell’”Italia quarta potenza”, sul benessere economico come parametro di valutazione di tutto? Ciascuna di queste cose rappresenta quanto di più antifascista possa esistere, ma soprattutto un orizzonte valoriale ristretto. Ma, ancor più grave di ciò, è il fascino che i promotori di tali istanze hanno per la destra americana e per tutte le altre grandi potenze non europee o addirittura antieuropee, e il contestuale odio per altre nazioni europee, quali la Francia e la Germania. Soprattutto sull’odio riversato nei riguardi del “tedesco” e del mondo “nordico” in generale come prototipi della burocratizzazione, e percepiti come “nemici” del mondo mediterraneo dei bon viveur. Una “false flag” su cui bisogna soffermarsi un attimo, essendo qualcosa tutt’altro che recente ma altrettanto dura a morire.

Siamo europei da diecimila anni

Nonostante gli studi di Georges Dumézil sugli Indoeuropei e la conseguente consapevolezza razionale che tutte le nazioni e tutti i popoli europei discendessero da antenati comuni, un vero e proprio cavallo di battaglia dell’Inghilterra per mantenere divisa l’Europa fu tra ‘800 e ‘900 (almeno fino alla seconda guerra mondiale) fu proprio la teoria secondo la quale le civiltà teutoniche – non essendosi sottomesse al modello liberale e illuminista – fossero primitive e immature, legate a feticismi quali il sangue e la razza. In quale chiave possono essere lette le due guerre civili europee che si sono svolte in un brevissimo lasso di tempo se non una contrapposizione tra i due poli della civiltà europea, quello Latino e quello Germanico? Evidentemente però proprio quel mondo germanico, con tutti i limiti dettati dalle situazioni contingenti, è stato capace di resistere almeno inizialmente alle forze disgregatrici, mercantili ed economiciste di stampo anglosassone. Non dovrebbe sorprendere dunque l’avversione e la volontà di distruggerlo ed isolarlo delle potenze liberal-democratiche. In Italia, a partire dal 1861 e fino all’avvento del Fascismo, vuoi per le influenze britanniche sul Risorgimento, vuoi per la necessità di riprendere tutte le terre italiane in possesso degli austriaci, vuoi per l’egemonia del liberalismo economico, l’antigermanesimo venne declinato nel senso di contrapposizione tra la barbarie del Nord Europa e il mondo mediterraneo. In ossequio a ciò, ovviamente, si decise di dare anche nuove interpretazioni, assolutamente fuorvianti, alle guerre tra romani e barbari, che come ben sappiamo, nonostante segnarono la fine dell’Impero Romano furono il fulcro della rigenerazione dell’Europa, di quella seconda giovinezza che fu il Medioevo. In spregio a qualsiasi studio indoeuropeistico (o a qualsiasi onestà intellettuale) alcuni storici ebbero addirittura il coraggio di sostenere che i Romani fossero i discendenti degli Etruschi e che sostanzialmente la civiltà romana invece di essere il frutto delle “migrazioni celesti” indoeuropee nella penisola italica, altro non fosse che il prodotto di popolazioni autoctone venute da chissà quale nulla. Da un’attenta analisi della storia, invece, è possibile conoscere la realtà: tutti i principi della società civile, virile ed aristocratica del Mediterraneo sono stati il prodotto della “forma mentis” indoeuropea, ergo di quello stesso elemento solare che in Grecia è rappresentato dal mito degli Iperborei e che in tutti i popoli europei si è declinato nel mitema ricorrente di una “razza divina di conquistatori” che ha soppiantato ed integrato i vecchi Dei: la stirpe degli Aesir della mitologia germanico-scandinava, la schiatta Olimpica del mondo classico, il popolo dei Tùatha Dé Danann della tradizione celtica. Insomma, volendo andare un pelo più a ritroso nel tempo alla ricerca di una Patria possiamo constatare che i grandi ceppi etnici d’Europa condividono una medesima sostanza politica, mitica e spirituale che le informa e da cui traggono senza dubbio origine.

L’imperialità europea

Di conseguenza, pensare ad una “Roma imperiale” senza il suo elemento “nordico” è insensato. Vedere le etnie settentrionali dell’Europa e quelle mediterranee come due elementi separati e inconciliabili significa essere dilettanti in malafede. Ovviamente ciò non dovrebbe condurci verso un’altra celebre false flag: quella di ritenere le stirpi germaniche – o il mondo tedesco in generale – superiori a quelle mediterranee. I fenomeni di degenerazione ai quali stiamo assistendo sono un piano inclinato verso il nulla, ma soprattutto sono medesimi per tutti: europei, africani, asiatici ecc… Come ci ricorda il filosofo romano Julius Evola in una lettura fondamentale come “Cavalcare la tigre”, se l’Occidente ha vissuto per primo la crisi del mondo moderno e la conseguente caduta verso il basso, è allo stesso tempo più avanti nel processo discendente e quindi con ogni probabilità sarà anche il primo ad uscirne. E in quanto Europei – quindi i primi tra gli Occidentali – siamo proprio noi ad essere “più avanti”, quindi siamo noi a dover guidare la risalita senza fatalismi e rassegnazione, senza obbedire alle logiche che fin qui ci hanno diviso per farci scivolare sempre più in basso, prime fra tutte quelle liberali, egualitarie e borghesi. Tanto altro vi sarebbe da aggiungere, ma, certamente, alla luce dei fatti qui esposti possiamo constatare che tutte le nazioni europee, tutti i popoli e le etnie del vecchio continente non possono che trovare il loro senso d’azione – e persino di conservazione – in un’unità organica e dinamica. Un’unità sia pre-politica, figlia di quell’essere europei da diecimila anni a prescindere dai sistemi; sia prettamente politica, quella che propriamente ancora non c’è ed è figlia del tentativo rivoluzionario novecentesco di opporre un’idea-forza alle grandi internazionali del livellamento globale. Un’unità – e basterebbe questo per farcela inseguire con maggiore veemenza – osteggiata ed ostacolata da tutte le ideologie moderne, da tutte le strutture politiche ed economiche costruite per alimentare divisione, parcellizzazione e omologazione, quindi distruzione, dell’Europa nelle sue identità culturali e biologiche fondamentali. Un’unità che per assurdo, superando in avanti le singolarità, sarebbe l’unica vera garanzia della loro conservazione nello spazio e nel tempo. Un’unità che sarebbe però una Patria mai vista, una Patria più grande, una Patria dei figli.

Ferdinando Viola

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