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Macché contratto, la civiltà si fonda attorno a un fuoco sacro

by Michael Mocci
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fuocosacro9999Roma, 9 nov – L’editore Laterza ha appena dato alle stampe Il fuoco sacro di Roma. Vesta, Romolo, Enea (18 euro), di Andrea Carandini. È questo un testo che si rivolge a un pubblico che sta sparendo sempre di più, quello degli uomini colti che, pur non essendo specialisti della materia, se ne appassionano e leggono avidamente sull’argomento.

Carandini, il massimo archeologo italiano dedica il saggio al sacro fuoco di Roma e al ruolo che questo ebbe nella fondazione della città (“Senza fuoco pubblico non si danno né città greche né latine”) lamentando la pigrizia di certa archeologia e storiografia positiviste e maniacalmente fissate sui testi letterari.

Per trent’anni Carandini ha diretto gli scavi sul Palatino facendo i conti con l’avversione di chi pensava che quella di Romolo fosse una favoletta e che né il Foro, né il tempio di Vesta sarebbero mai stati ritrovati. Era inoltre vulgata che Roma non fosse mai stata “fondata”, ma si fosse semplicemnete “formata” per agglomerato di case e persone. Carandini non solo ha portato alla luce le evidenze materiali della fondazione di Roma, ma ne ha sorprendentemente inchiodato la datazione proprio agli anni in cui i cronisti antichi ci dicono che si fosse svolta la vicenda di Romolo.

Vesta, la divinità del focolare era figlia di CronoAndrea-Carandini-cari-economisti-volete-ridurre-lo-spread-Andate-all-opera_h_partb e Rea, divinità che gli esegeti tardi interpretavano allegoricamente come il Tempo e la Terra. La figlia del Tempo e della Terra era dunque a Roma la divinità più eminentemente politica che simboleggiava la stabilità della città ed era connessa alle insegne della regalità. L’idea di stabilità deriva dallo stato verginale delle Vestali e dalla forma circolare del focolare, che è rotondo anche presso gli Indù.

Ma il focolare non è solo civico, è anche domestico, e così si viene a comprendere una delle caratteristiche centrali della romanità, la corrispondenza tra microcosmo e macrocosmo: come il focolare domestico garantisce la stabilità familiare, quello civico salda quella cittadina e ne simboleggia il Casa_delle_Vestalicentralismo che “contrastava con la forza centrifuga delle casate tra loro in competizione”.

È infatti proprio Vesta a tutelare la captio, il rito di iniziazione civica, in cui il giovane dava la propria vita alla cosa pubblica. L’archeologo riflette poi sulla natura del potere di Roma: “Nelle città antiche religione e politica erano inscindibili, per cui Roma somigliava a un tempo a una cosa pubblica e a una chiesa, cioè a quanto di meno laico per noi si possa immaginare. Senza agire nel sacro […] Roma mai sarebbe stata fondata”.

Carandini è però disilluso e reazionario nel narrare le vicende di Enea: “A chi dicono ancora qualcosa i nomi delle dèe Hestia e Vesta? Invidio gli Indiani induisti che tuttora pregano Agni, il dio che arde. La nostra modernità vieta ogni tradizione e perfino la nostalgia. […] Noi apparteniamo ormai al tempo del fuoco spento, ma nella mente arde ancora come simbolo massimo di continuità, che nessuno potrà mai toglierci”.

Ha ragione, in parte, Carandini: oggi Virgilio, Cesare e Romolo non parlano più a nessuno. Ma, se c’è una cosa che può incastrare la Boldrini e Juncker, quella è la filologia. Le lingue mutano più lentamente dei popoli ed è lì che vedremo che in matrimonio c’è la radice di mater, che in sacrificio c’è quella di sacrum, che in tutti i termini della regalità è presente una radice di significato religioso.

Carandini è formidabile nella preparazione, spocchioso nell’atteggiamento. Così conclude il suo libro: “Il mare di Sicilia pullula di profughi, che scappano da orribile tragedie: le tante Troie oggi distrutte. Di fronte a un profugo bisognerebbe porsi questa domanda: Se fosse un altro Enea?”. Ecco, con questa domanda conclusiva, Carandini dimostra che, forse, anche a lui un servizio della Gabanelli parla più di Virgilio. Ma non ha senso replicare, d’altronde, come il professore sa, Virgilio ubique reges breviter loquentes ostendit.

Michael Mocci

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4 comments

nota1488 10 Novembre 2015 - 2:17

Se questa è la Roma che vogliono (quella dei profughi aspiranti Enea), via da Roma e subito!

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Marco 10 Novembre 2015 - 9:07

Importante ricordare che il parallelo profugo-Enea non regge, perché sull’Eneide si sottolinea quanto quello di Enea fosse un ritorno alla terra dei padri.

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Federico dé Beli 11 Novembre 2015 - 1:55

Molto interessante, il libro ed anche il commento.

Tempo fa ho scritto anch’io un articolo su questo tema:
http://atrium.altervista.org/il-fuoco-dellidentita/

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Domenico 12 Novembre 2015 - 11:17

Buongiorno a tutti,
in poche righe e commenti abbiamo già capito che Carandini lascerà tante vedove nei fautori del ripristino dei valori eroici, gerarchici e razziali della società iperborea. Ce ne faremo una ragione. Saluti

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