Questo articolo, che analizza il nuovo ruolo della tecnologia nella società contemporanea, è stato pubblicato sul Primato Nazionale di luglio 2018.
Mi è capitato di trovarmi a discutere con persone che avevano letto il mio libro, Fermate le macchine!, e non condividevano affatto la mia critica alla tecnologia. Le frasi che mi hanno ripetuto erano più o meno sempre le stesse: «Non si può tornare indietro»; «La tecnica ci ha portato tanti benefici»; «Grazie al progresso possiamo curare le malattie e spostarci più velocemente» e altre cose di questo genere. Sono tutte obiezioni sensate, ma non colgono nel segno, e provo a spiegare perché. La rivoluzione digitale ci costringe ad avere a che fare con un tipo di tecnologia completamente diverso da tutto ciò che abbiamo visto finora.
Connessi ma isolati
Provate a pensarci: dovremmo vivere nella società della comunicazione, abitare un mondo «in rete», sempre connesso. Eppure, gli esseri umani non sono mai stati isolati come oggi. Un treno ad alta velocità rappresenta senz’altro uno sviluppo della tecnologia. E permette effettivamente alle persone di entrare in comunicazione: se parto da Milano, in circa tre ore arrivo a Roma e posso incontrare qualche amico o collega sul posto. I supporti digitali agiscono nel modo opposto. Mi permettono, magari, di vedere qualcuno sullo schermo del pc o di parlargli tramite Whatsapp. Ma cancellano quasi completamente la relazione umana. Fanno in modo che io non mi sposti, che rimanga nel mio ufficio o addirittura in casa. Fanno cadere ogni barriera tra pubblico e privato: il lavoro invade la mia sfera personale e diventa indistinguibile da essa.
Controindicazioni della tecnologia
Nelle nuove tecnologie non c’è alcuno slancio, alcuno spirito d’avventura. Semmai, esse tendono a risucchiare, a creare esseri umani inerti, a distruggere il corpo. Certo, una Tac o una Pet permettono di salvare vite. Ma uno smartphone o un tablet? È dimostrato che questi aggeggi creano dipendenza, producono depressione soprattutto nei più giovani. Favoriscono l’aumento dell’obesità – che in Occidente sta diventando un’epidemia – e delle altre cosiddette «malattie del benessere». Dunque non è esattamente vero che la tecnologia «salva la vita». La distrugge, in realtà, ma lo fa con lentezza, masticandoci piano piano.
Dovremmo abitare
un mondo «in rete»
ma gli esseri umani
non sono mai stati
isolati come oggi
La tecnica si potrebbe considerare un superpotere dell’uomo. Ci permette di oltrepassare i nostri limiti, di superare noi stessi. Ma solo finché ci consente di rimanere umani. Ibridarsi con le macchine – come sostengono autorevoli signori del calibro di Ray Kurzweil (uno dei capi ricercatori di Google) – non significa diventare superuomini. Semmai, significa diventare macchine meno efficienti. Alcuni tecnoentusiasti parlano di «operai aumentati», lavoratori che svolgono mansioni nuove utilizzando le tecnologie. Edoardo Segantini descrive questo lavoratore del futuro come «un operaio che sa gestire i dati, compiere più operazioni simultaneamente, connettersi agli altri: mettendo al servizio del lavoro le stesse abilità di “nativo digitale” che utilizza nella vita privata».
Questa figura non ha nulla di eroico, non viene nobilitata dal lavoro, non favorisce alcuna «mobilitazione», non ha nulla a che fare con l’operaio descritto da Ernst Jünger. Semplicemente, abbiamo di fronte un uomo che viene inghiottito dalla macchina e diventa a tutti gli effetti un ingranaggio. No, la rivoluzione digitale non è «un progresso». È una forma di schiavitù volontaria. È una sottomissione nemmeno troppo dolce, a cui ci prestiamo nell’illusione di eliminare la fatica, nella speranza ridicola di sfuggire alla morte con un sotterfugio. Intanto, la vita ci scorre sopra la testa, e noi non la vediamo: siamo troppo presi a compulsare una tastiera.
Francesco Borgonovo
1 commento
Torna pure alla penna d’oca. Tutti abbiamo usato il pennino a innesto e l’inchiostro PELIKAN.
Non usare internet, usa. La posta a cavallo tra una stazione di Posta e la successiva.
Impagabile il livello di comunicazione dei tovarich nei kolkoz e tra la servitù della gleba
Non è obbligatorio comprare il tablet