Roma, 20 apr -Le polemiche che vedono Pd e comunità ebraica schierati contro l’Anpi in occasione delle celebrazioni del 25 aprile sono davvero sintomatiche di quel che rappresenta, per l’Italia del 2017, la parola “antifascismo”. Sostanzialmente si tratta di un feticcio che non rappresenta più nessuno, se non varie consorterie che lo utilizzano l’una contro l’altra per basse ragioni politiche, con argomenti contraddittori e ragionamenti pretestuosi. Lo abbiamo già detto altre volte: l’antifascismo, in Italia, non ha base popolare, non è radicato, non è sentito. Lo è stato negli anni ’70, per esempio, ma è diventato tale a freddo, dopo anni dalla caduta del fascismo, per ragioni legate a calcoli politici cinici e contingenze internazionali. Un’ultima fiammata la si è vista durante i primi 25 aprile dell’era berlusconiana. Poi, il nulla. I figli della scuola antifascista, democratizzata e decostruita proprio in ossequio all’antifascismo, non sanno nulla della Resistenza.
I politici che, nel bene o nel male (quasi sempre nel male), hanno fatto la storia degli ultimi 20 anni, da Berlusconi a Renzi, da Salvini a Grillo, sono fuori da quella retorica. Magari lo sono, beninteso, perché a un’ideologia mendace hanno sostituito la non-ideologia, fatto sta che quel discorso non ha più appeal, non tira, appare vuoto e incomprensibile ai più. Gli unici libri che vendono parlando dei partigiani sono quelli che ne raccontano i crimini. E allora cosa resta? Restano finanziamenti pubblici a pioggia, una serie di strutture assistenziali legate a quella memoria e una lotta per l’egemonia nel micro-mondo dell’estrema sinistra. Nulla di più. Un tesoretto economico e politico per cui si scannano gli eredi, come nelle cattive famiglie quando muore il nonno ricco.
Ma qui non c’è alcuna ricchezza in palio, solo le ultime briciole del bottino, i rimasugli di un colpo gobbo riuscito tanti anni fa. In un sito legato ai centri sociali si legge che, con la presa di distanza dall’Anpi di Pd e comunità ebraica, “finalmente il 25 aprile torna a essere una festa antifascista” (cioè comunista, cosa che per tali ambiti riassume l’essenza dell’antifascismo in quanto tale, a dispetto della verità storica). Capiamo il senso della polemica interna, ma, di fatto, bisogna pur ammettere che, se il 25 aprile ridiventa più radicalmente antifascista, lo fa alienandosi le simpatie dell’unico partito di massa di sinistra italiano. Il quale, certo, appare anche all’estrema sinistra corrotto, moderato, affarista, colluso, democristiano: ma è esattamente questo che è, per l’appunto, l’antifascismo. Ridiventare antifascisti, nell’ottica di tali settori militanti, significa quindi essere minoritari, marginali, rumorosi, magari, ma vecchi, superati, insignificanti. Sempre che gli americani non arrivino anche questa volta a salvargli il culo.
Adriano Scianca