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“Il Barbarigo non si arrende!”: la strage partigiana di Ozegna

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Roma, 9 lug – Umberto Mario Adriano Bardelli, nato a Livorno l’11 marzo del 1908, pluridecorato ufficiale del Genio Navale su sommergibili e unità di superficie, dopo l’8 settembre 1943 fu uno dei primi ufficiali a darsi volontario nella Xª MAS del Comandante Borghese: uomo di grande carisma e elevate doti organizzative, contribuì alla formazione dei primi Battaglioni Fanteria di Marina della Xª, e in particolare formò e guidò in azione il Battaglione Barbarigo contro gli Alleati a Nettuno nel 1944.

Dopo i durissimi combattimenti nella testa di ponte e in difesa di Roma, i superstiti del Battaglione furono avviati da Bardelli verso nord. Giunto a La Spezia, il Barbarigo si diresse quindi nella zona di Viverone, vicino Ivrea, per ricostituirsi e riorganizzarsi, e Bardelli dovette riprendere il suo impegno nell’organizzazione del Reggimento F.M. San Marco. Tuttavia, lo sforzo di reclutamento fatto da Bardelli nei confronti del suo primo Battaglione, continuò anche dopo il ritorno del Barbarigo dal Fronte di Nettuno; infatti il Tenente Giorgio Farotti ricorda così una visita del Capitano Bardelli alla Scuola Ufficiali di Alessandria: Bardelli era venuto a ricordarci che alla fine del corso avremmo potuto chiedere di essere assegnati a quel Reparto di Fanteria di Marina, erede della Xª Mas delle epiche gesta di Alessandria, Malta, Suda e Gibilterra, e che aveva già dato un’ottima prova combattendo sul fronte di Nettuno contro gli angloamericani, vale a dire il Battaglione Barbarigo, da lui comandato, il primo Reparto organico della R.S.I. ad essere inviato al fronte dopo l’ignobile 8 settembre 1943. Vestiva il Samurai, e non sprecò molte parole. Disse: “Io ho bisogno di dieci Ufficiali per i miei reparti. Vi posso offrire soltanto la possibilità di crepare per l’Italia”, e ci conquistò. (1)

L’otto luglio 1944 Bardelli si recherà a Viverone per visitare i Marò del Barbarigo, i veterani del Battaglione ed i rimpiazzi che non lo conoscevano ancora. Ad essi mostrò il Distintivo del Battaglione Barbarigo, con il cartiglio “Fronte di Nettuno”, destinato ai reduci dei combattimenti sulla testa di ponte, si intrattenne con i Marò e con gli Ufficiali, quindi, assieme ad una scorta, ripartì per Agliè, dove era dislocato il Battaglione Sagittario. Lungo la strada Bardelli ricevette la notizia che un Guardiamarina del Sagittario, tale Gaetano Oneto, assieme da alcuni disertori, era fuggito portandosi dietro la cassa del Battaglione. Bardelli darà ordine ad alcuni Marò del Sagittario di seguirlo, per poter riconoscere Oneto, e si lancerà sulle tracce del fuggitivo, segnalato ad Ozegna. Dopo alcuni chilometri la piccola colonna, composta dalla 1100 scoperta di Bardelli e due automezzi con i Marò del Barbarigo e del Sagittario arrivò alla Stazione di Ozegna; lì stazionava parte di un reparto partigiano capitanato da Piero Urati, nome di battaglia “Piero Piero”, poiché anche egli, avvertito da una staffetta della diserzione di Oneto, si era mosso celermente verso Ozegna, dando ordine alla sua banda di seguirlo e catturando i disertori. Bardelli, fedele al suo pensiero di evitare lo scontro fratricida, e probabilmente confortato dalle precedenti esperienze di dialogo tra Reparti e Comandi della Decima e gruppi di partigiani, sia nel Nord Italia sia a Nettuno e alla Base Sud di Fiumicino, ordinò ai suoi Marò di non intraprendere alcuna azione offensiva. Quindi Bardelli andò a parlamentare con il capo dei partigiani. Senza rendersi conto dell’individuo con cui aveva a che fare, Bardelli disse a “Piero Piero” che il Barbarigo era nella zona soltanto per riorganizzarsi e tornare al fronte, contro gli angloamericani. Che i partigiani stessero tranquilli, e ci lasciassero passare, perché dovevamo andare a prendere un disertore, cioè un individuo che nemmeno a loro poteva piacere; lui, Bardelli, non aveva alcuna intenzione di far fuoco su altri italiani. (2)

Urati prestò orecchio alle parole di Bardelli, ma solo per permettere ad altri suoi uomini di circondare il reparto di Marò: quando ritenne arrivato il momento più opportuno “Piero Piero” si allontanò da Bardelli, e puntatagli un’arma addosso, gli intimò di arrendersi. Bardelli, sorpreso, si riprese immediatamente, e, gridando ai suoi Marò “Barbarigo non si arrende! Fuoco!”, raccolse la sua Walther P 38, sparando verso Urati che si era posto al riparo, mentre i partigiani aprivano il fuoco da più direzioni, ferendo e poi uccidendo Bardelli e colpendo molti dei Marò, colti allo scoperto.Secondo Urati invece egli stesso fu costretto a strappare l’arma dalle mani di Bardelli e a colpirlo, dando inizio allo scontro, dopo che i Marò si erano resi conto di essere stati circondati. (3) Solo pochi di essi, riusciti a ripararsi, colpirono mortalmente tre uomini della banda di “Piero Piero” con il loro fuoco di reazione, ma, esaurite in breve tempo le poche munizioni che avevano con loro, non ebbero altra scelta che arrendersi. Dopo alcuni giorni di prigionia nei rifugi della banda di Urati, saranno liberati grazie ad uno scambio di prigionieri tra i partigiani e la Decima. Oltre a Bardelli, saranno uccisi ad Ozegna il T.V. Piccolo, il S.T.V. Beccocci, il Capo di 3a Credentino, il Sergente Grosso, e i Marò Biaghetti, De Bernardinis, Fiaschi, Gianolli, Masi e Rapetti. Dopo che i partigiani si furono allontanati con i loro prigionieri, i corpi di Bardelli e del Sergente Grosso furono trasportati da alcune Suore in un Istituto Religioso. Alcuni abitanti di Ozegna e dei partigiani probabilmente non appartenenti alla banda di Urati depredarono i caduti (4), che furono trovati il giorno successivo da un Reparto di Marò comandato dal Comandante Borghese ed il Sottotenente di Vascello Bertozzi; alla vista dei cadaveri,ritrovati spogliati degli indumenti e dei valori personali, strappati gli anelli dalle dita e i denti d’oro dalle bocche piene di terra e di erba in segno di sfregio, (5) Bertozzi minacciò di compiere una rappresaglia contro la popolazione di Ozegna, ma Borghese, sia per il suo intimo sentire, sia perché senza dubbio conscio dell’idealismo di Bardelli, che mai avrebbe voluto un tale crudele atto, seppur tanto comune nella controguerriglia, riuscì a calmare Bertozzi. Inoltre un tale atto poteva esporre i Marò fatti prigionieri da Urati ad una controrappresaglia da parte dei partigiani.

Buona parte della popolazione di Ozegna si rese conto della gravità dell’azione di “Piero Piero”, e ancora oggi considera con gratitudine il non essere stata coinvolta in una rappresaglia che avrebbe portato molti lutti tra quelle genti incolpevoli. D’altra parte, l’uccisione di Bardelli significava che ormai le possibilità della Decima di parlamentare con i partigiani si riducevano molto, anche se non si esaurirono mai del tutto. Il responsabile indiretto della strage di Ozegna, Gaetano Oneto, consegnato alla Decima dai partigiani della banda “De Franchi”, sarà fucilato il 4 settembre 1944 da un plotone d’esecuzione “misto” di Marò e partigiani. Le salme di Bardelli e dei suoi uomini saranno portate a Ivrea, dove il 10 luglio 1944 furono celebrate le loro esequie. Parteciparono alla cerimonia la Vedova Luigia Bardelli, il Comandante Borghese, il Tenente Colonnello Carallo, Comandante della Divisione Decima, i Marò della Decima e moltissimi civili. Il funerale di Bardelli, e i forti sentimenti che legavano i Marò al loro Comandante, ucciso a tradimento, sono ben esposti in questa dura lettera di un Marò del Barbarigo al proprio padre: “Il Comandante del glorioso Barbarigo, due Ufficiali e otto Marinai sono caduti in una vile imboscata mentre compivano una umana missione. Oggi ci sono stati i funerali. Credi caro papà che sono ancora commosso mentre ti scrivo; reparti armati numerosi scortavano le gloriose bare, la fanfara accompagnava con l’Inno di Mameli e con marce funebri il mesto corteo. Giunti al Cimitero il Principe Borghese, l’Asso degli Assaltatori, con la sua voce maschia ha fatto l’appello ai Caduti. Questo momento é stato per me e per tutti i miei camerati un momento solenne, con i pugnali sguainati mentre il rullo dei tamburi si faceva sentire tutti hanno risposto ad una sola voce: “Presente”! Ho visto molti Ufficiali e ragazzi con le lacrime agli occhi. Credi papà che un fremito di vendetta ha percorso tutti i nostri animi. I Leoni del Barbarigo e quelli della Decima vendicheranno i gloriosi Caduti e la rappresaglia sarà presto iniziata contro questi porci e bastardi di rinnegati. Questo è il peggio della linea e noi siamo considerati combattenti e faremo il nostro dovere. Sono sempre all’erta e non aver paura che me la cavo sempre. Come vedi la lotta comincia a essere dura, ma la nostra azione e il nostro desiderio è di raggiungere la meta a qualunque costo. Comandante Bardelli! “Presente!” Sarai vendicato! W l’Italia!” (6)

Il 28 luglio 1944 fu conferito, postumo, al Capitano di Corvetta F.M. Umberto Bardelli il Distintivo del Barbarigo “Fronte di Nettuno”, numerato “3”. Sempre postuma fu conferita al Comandante Bardelli la Medaglia d’Oro al Valor Militare, con la seguente motivazione, che in effetti ricostruisce in sintesi la carriera e la tragica fine del coraggioso Ufficiale:

Ufficiale superiore di belle qualità e di provata esperienza, sorretto da uno slancio e da una fede senza limiti, tre volte decorato al valore; primo comandante del Barbarigo, che per sua travolgente iniziativa per primo si allineò con gli alleati germanici sulla testa di ponte di Nettuno, si recava volontariamente e coscientemente con le esigue forze in una zona notoriamente infestata da bande ribelli. Giunto nella piazzetta del paese di Ozegna cercò di esercitare opera di persuasione sugli sbandati deprecando la lotta fratricida voluta e sovvenzionata dall’oro dei nemici della Patria. Circondato a tradimento insieme ai suoi pochi uomini da forze preponderanti che gli intimavano la resa rispondeva con un netto rifiuto e fatto segno a violentissimo fuoco di armi automatiche postate agli sbocchi delle vie di accesso alla piazza si batteva con leonino furore incitando continuamente i pochi uomini di cui disponeva. Colpito una prima volta al braccio continuava a sparare con una mano sola, colpito una seconda volta ad una gamba continuava a far fuoco sino all’esaurimento delle munizioni. Nuovamente colpito cadeva falciato da una raffica al petto con il nome d’Italia sulle labbra. Fulgido esempio di eroismo, di altissimo senso dell’onore, di attaccamento al dovere e di dedizione completa alla Patria adorata” Ozegna, 8 luglio 1944.

La salma di Bardelli troverà in seguito dimora nella Tomba Duelli al Verano, assieme a molti dei suoi Marò, e sarà quindi traslata il 16 giugno 2005 al Campo della Memoria, divenuto Cimitero Militare a tutti gli effetti, dove riposerà circondata dai Caduti del Barbarigo. Sessanta anni dopo la fine della guerra, il Comandante Bardelli vive ancora, perché, come disse egli stesso: nessuno di voi è morto finché noi non morremo tutti. E fino a quando sarà in piedi uno del Barbarigo lo sarete anche voi (7).

Andrea Lombardi

NOTE

1 Giorgio Farotti, Sotto tre bandiere, Genova, 2005, pag. 31 e Mario Tedeschi, Sì bella e perduta… Storia del Battaglione Barbarigo e dell’amor di Patria, Roma, 1994, pag. 99.

2 Mario Tedeschi, Sì bella e perduta… Storia del Battaglione Barbarigo e dell’amor di Patria, Roma, 1994, p. 49.

3 Piero Urati, Piero Piero, Aosta, 2005, p. 50.

4 Le ricostruzioni del combattimento di Ozegna da parte dei reduci della Decima MAS (cfr. bibliografia) sono concordi nell’attribuire a Urati la responsabilità dell’inizio dello scontro, avendo Urati puntato la propria arma su Bardelli (e non disarmando quest’ultimo), e invitatolo alla resa. A quel punto, al rifiuto di Bardelli, Urati spara e con lui aprono il fuoco i partigiani, da posizioni di vantaggio, sui Marò concentrati vicino ai camion nella piazza. La tesi di Urati secondo la quale egli si sentì minacciato e disarmò Bardelli, trovandosi quindi a distanza ravvicinata da quest’ultimo e sparandogli subito dopo con la sua stessa arma, è smentita anche da uno dei suoi partigiani (cfr. testimonianza del partigiano Dezzutti in Agliè nei giorni della Resistenza, Agliè, 1978, pp. 11-12, citato in Guido Bonvicini, Decima Marinai! Decima Comandante!, Milano, 1988, p. 78 ). Secondo questa testimonianza “Ad un tratto Piero Piero […] si apposta dietro un albero dell’allea e intima la resa. Ma Bardelli risponde: “Il Barbarigo non si arrende!”. Ed inizia lui stesso la sparatoria”. La ricostruzione di Urati fu resa nota in una sua conversazione, durante un pranzo di lavoro nel 1984, con l’Ing. Sergio Nesi, e da Nesi fu successivamente ripresa (cfr. Guido Bonvicini, Decima Marinai! Decima Comandante!, Milano, 1988, pp. 76-77). Nella sua recente autobiografia, curata dalla Professoressa Rosanna Tappero, Urati dà una versione simile alla prima, affermando però che Bardelli era armato di “una mitraglietta”, mentre la sua arma era invece una pistola semiautomatica in doppia azione Walther P 38, e rivendicando un ruolo più attivo nella conduzione dell’inizio dello scontro: infatti Urati, visti i suoi partigiani in posizione e approfittando di una distrazione di Bardelli, lo disarma ed inizia lo scontro (cfr. Piero Urati, Piero Piero, Aosta 2005, pp. 50-51). Infine, Nesi scrive nel suo libello Ozegna, 8 luglio 1944 – cronaca di una inutile strage che il rifiuto del Cte Bardelli di arrendersi fu un atto irresponsabile e solo frutto di uno “scatto d’ira”, foriero dell’inutile morte dei suoi Marò. In realtà, la situazione nella piazza di Ozegna non era quella di “amichevoli conversari”, ma nonostante gli sforzi di dialogo tra Bardelli e Urati, molto tesa: il successivo ingresso sulla scena dei partigiani di Urati ben difficilmente avrebbe condotto a un esito differente… e non riusciamo a vedere quanto “irresponsabile” o da “incontrollato raptus di nervi” sia la decisione, fatale ma attinente in pieno all’onore militare, il non arrendersi al nemico senza combattere – e qui purtroppo gioca nell’accanimento di Nesi la sua stessa biografia, essendosi per l’appunto arreso agli Alleati al termine di una inconcludente missione a fine guerra nell’aprile 1945, da lui ricostruita come invece un’epica impresa. Lo scrivente, peraltro, segnala che diversi veterani videro in quella “missione” del Nesi una vera e propria fuga dalla base MAS di Brioni; missione che avrà come conseguenza ad ogni modo la fine del reparto comandato da Nesi, minacciato dall’avanzata del IX Corpus sloveno, lasciato privo di ordini e quindi facile preda dei titini. Non ci sentiamo di avvallare quest’ultima tesi: il dato di fatto è che la missione di Nesi portò alla perdita del suo mezzo e a nessun risultato; anche il riflesso psicologico della stessa “beffa” sugli Alleati e sugli italiani occupati è tutto da verificare, visto che è basato solo sulle affermazioni di Nesi. Il capo partigiano Urati, che uccise Bardelli, in questo dimostrandosi superiore umanamente e militarmente a Nesi, ci disse telefonicamente nel 2006, parlando del suo nemico di allora, che “Bardelli era un coraggioso, e non vorrebbe averlo ucciso”. Ricciotti Lazzero (La Decima MAS, Milano, 1984) fa una ricostruzione attendibile dello scontro, scrivendo però che Bardelli sarebbe stato sfigurato da una raffica di arma automatica, perdendo quindi parte della dentatura. In realtà l’evidenza fotografica mostra il volto di Bardelli integro, ed è purtroppo indubbio che i suoi denti d’oro furono rimossi a scontro finito. Da notare come diverse bande partigiane tentarono di prendersi l’onore del combattimento di Ozegna, suscitando l’irritazione di Piero Piero (cfr. Piero Urati, Piero Piero, Aosta, 2005, nota a p. 51).

5 Mario Bordogna, (a cura di), Junio Valerio Borghese e la X Flottiglia MAS, Milano, 1995, p. 110.

6 Archivio di Stato di Genova.

7 Il testo è tratto da Andrea Lombardi, Il comandante Bardelli, Genova, 2006.

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