Roma, 1 lug – Il rapporto tra dionisiaco e apollineo, il loro delicato equilibrio cosmico, riguarda l’arte tanto quanto l’etica. Nietzsche aveva intuito che, nel mondo greco, queste due forze – perennemente in tensione – trovarono, grazie a quello che fu il vero miracolo ellenico, una sintesi perfetta: la tragedia. Solo confrontandosi con il dionisiaco, solo annullando l’individualità nell’ebbrezza profonda della natura, nella sua vastità caotica e contraddittoria, è possibile ergersi come artisti. Solo così si può dare forma e ordine, restituire un senso compiuto alla tragicità del vivere.
Nietzsche contro la hybris razionalistica
Nietzsche colse con altrettanta lucidità la causa della decadenza della tragedia – e della civiltà ellenica: la perdita del dionisiaco. Euripide, introducendo elementi razionalistici sempre più marcati, abbassò gli eroi al rango di uomini comuni, svuotò la tragedia della sua radice estatica. Senza Dioniso, nessuna arte autentica è possibile. Emblematico è il fatto che lo stesso Euripide, con “Le Baccanti”, sembrò intuire la gravità della sua rinuncia. Nella trama della tragedia, Penteo, re di Tebe, si ostina a negare la divinità di Dioniso. Per dimostrare la sua natura, Dioniso instilla nelle donne tebane l’amore per i suoi culti, trasformandole in Baccanti. Penteo, accecato dalla superbia, tenta di incatenare il dio. Ma l’atto ottiene l’effetto opposto: le donne, spinte alla follia, compiono prodigi e atrocità – fanno sgorgare vino dalle rocce, saccheggiano villaggi, rapiscono bambini. Penteo si traveste da donna per spiarle, ma viene riconosciuto e fatto a pezzi. Tra le più feroci c’è sua madre, che non si accorge nemmeno di chi sta uccidendo. Il senso profondo della tragedia è chiaro: reprimere Dioniso – invece che tributargli onore – è un atto di hybris. È la manifestazione di una superbia razionalistica che pretende di negare un principio metafisico assoluto. Ed è proprio questa la malattia dell’era moderna: la negazione del dionisiaco, figlia della mediocrità di uomini che, anche quando non negano la divinità, non ne colgono la realtà. Se la rappresentano come un simulacro a loro immagine e somiglianza.
Il vero senso dell’apollineo secondo Nietzsche
La forza luminosa di Apollo non risiede nel rifiuto del caos, ma nella sua capacità di ordinare la molteplicità del reale. Questo universo di possibilità è rappresentato da Dioniso. Secondo il mito, Dioniso è figlio di Zeus e di una mortale: il suo compito è donare all’uomo la forza sovrumana necessaria per raggiungere la perfezione dell’apollineo. Chi rifiuta Dioniso, dunque, non è apollineo: è un adoratore di immagini riflesso, un esteta delle forme vuote, ben lontano dalla realtà dell’Essere.
Rifiutare il dionisiaco è un atto di viltà. È più facile rifugiarsi in un moralismo astratto, in una perfezione apparente dove tutto è pulito, prevedibile, inoffensivo. Ma questo non è etica: è morale da schiavi. L’eroe apollineo è colui che riesce, con volontà di potenza, a mettere ordine nel tumulto dionisiaco. Solo così l’azione diventa veramente etica. Senza Dioniso non ci sono gioia né canti; manca la forza primordiale che spinge gli uomini grandi a sacrificarsi per la patria, a morire per un fine superiore.
Senza Dioniso, la patria stessa diventa un concetto vuoto. Si perde la conoscenza profonda delle forze naturali, che sono nell’uomo, e con esse si perde il senso delle leggi, dell’ordine, della civiltà.
Chi non comprende l’istinto ne diventa schiavo
Non è l’esaltazione dell’istinto a far soffrire il mondo moderno, ma l’incapacità di comprenderne la portata. Ciò che oggi appare come sovversione o follia non è che l’effetto degenerato di un razionalismo esasperato. La perdita del senso profondo della ragione – che dovrebbe ordinare, non reprimere – ha prodotto un’incapacità logica e morale generalizzata. Le degenerazioni odierne sono figlie dell’ossessione per lo schema. Ma la ragione umana non può contenere l’infinito: chi ci ha provato ha generato solo nuove gabbie, nuove morali borghesi. Si dice spesso che il mondo LGBT neghi la famiglia: è vero, ma non come si crede. Le “famiglie arcobaleno” non sono altro che un tentativo di imitare il modello borghese anni ’50, che nulla ha di tradizionale. La vera negazione della famiglia è già lì, nel modello borghese stesso: esso aveva già smarrito il senso profondo di padre, madre, clan, stirpe. L’ideologia LGBT è solo l’ultima fase di un processo già snaturato, castrato, svuotato. La vera conoscenza dell’uomo e della donna, e delle regole della comunità, appartiene a civiltà che hanno colto il senso pieno della vita, oltre i limiti della sola ragione. Nessuna logica dimostra perché amiamo la nostra terra, perché ci commuove una musica, perché esiste la guerra, o perché alcuni uomini vogliono comandare. Queste forze sono reali, e solo chi ha il coraggio di affrontarle può ordinarle. Il moralismo razionalistico non sa contenere l’istinto: lo ignora o lo reprime, finché esplode. Così nasce la barbarie, o peggio: l’uomo-bestia, schiavo di ciò che non comprende.
La mentalità moralista
Il moralismo moderno si manifesta sempre come repressione. Che si tratti della forza maschile, della violenza virile, del linguaggio, non cambia nulla: ciò che conta è l’archetipo sottostante. Il deviato del pride e la donna islamica con il burqa, per quanto opposti, sono due espressioni dello stesso schema malato. Entrambi non hanno un rapporto equilibrato con l’anima e pretendono di incasellare la vita in strutture rigide. In un caso si reprime l’eros; nell’altro lo si degrada e volgarizza. In entrambi i casi, si reprime la realtà, in nome dell’egualitarismo e della paura delle parole. Una morale da schiavi per gente che non sa affrontare la vita senza un codice che giustifichi ogni scelta. Si cita spesso l’omoerotismo nelle civiltà antiche, ma nessun greco o romano ebbe mai bisogno di “equiparare” quei rapporti a quelli tra uomo e donna. Il romano sapeva: ogni rapporto ha una natura, una funzione, un ordine. Nulla è negato, ma tutto deve essere ordinato. Chi pretende riconoscimento, chi teme la femminilità o la bellezza perché incapace di dominarla, è uno schiavo. E il suo morbo è il moralismo democratico, quintessenza della sifilide dell’anima. Nietzsche lo aveva capito: il vero nemico era il verbo illuministico, cancro della civiltà. Da esso discendono tutte le metastasi che oggi conosciamo. Ma chi si limita a combattere le metastasi, senza colpire il tumore, resta schiavo quanto coloro che vorrebbe sconfiggere. Chi vuole davvero essere uomo differenziato deve abbracciare una sana indifferenza verso la plebe. Deve riconnettersi ai principi eterni. Quel che proviene dalle masse è solo pustola, imitazione, caricatura dell’Essere. Non ha senso negare l’imitazione: va superata. E lo si fa ponendosi oltre il bene e il male, imitando le divinità nella loro perfezione e potenza assoluta.
Ferdinando Viola