Roma, 17 set – L’appiattimento di un mondo che in un arco di tempo relativamente breve è andato a definirsi come “anti-sistema” e/o “populista” è ormai evidente a chiunque. Seppur inizialmente fertile d’idee e spiragli nuovi, il coagulo di pensiero generato anche da queste nostre colonne è finito per darsi ad una lettura della realtà sempre più superficiale e partigiana: dal no-vaxismo all’anti-europeismo, dal trumpismo al putinismo, ci rendiamo conto che queste contrapposizioni – seppur generate da un genuino “rifiuto” dello status-quo demoliberale – contribuiscono solo a rendere il dibattito pubblico, quindi la cultura, più omogeneo e di conseguenza controllabile mentre “la grande truffa continua a Washington e a Mosca“. E no, non è un bene per l’Italia.
Italia quindi Europa
Siamo stanchi di occupare la casella dei semplici bastiancontrari. Noi vogliamo poterci sentire simultaneamente Italiani ed Europei, senza che i due termini si sminuiscano l’un l’altro: c’è chi dice che non è possibile, da destra come da sinistra; Noi vogliamo sentirci nazionalisti di una Patria Europea che – è vero – ancora non c’è (quale Patria non è stata prima immaginata?) ma che potrebbe essere nel futuro: c’è chi dice che non è possibile, da est come da ovest; Noi vogliamo sentirci vivi senza pregiudizi o morali vittimiste da “figli dell’8 settembre”: c’è chi dice che non è possibile, dall’alto come dal basso. Insomma, noi non vogliamo essere “anti”, ma avanti.
L’unica egemonia possibile
Una “contro-narrazione”, quella del mondo antisistema, che si accontenta di fare la cattiva coscienza del padrone, il grillo parlante di fronte al fin troppo evidente “rovesciamento valoriale” che il progressismo, ora con cautela ora a tappe forzate sta portando avanti. Eppure propone gli stessi schemi dogmatici di chi vorrebbe sfidare: una sorta di perverso “il nemico del mio nemico è mio amico”, senza però che si delimiti con confini chiari chi siamo noi. Un mondo che non cerca riferimenti forti ma si accontenta di essere reazionario, nostalgico, al massimo post-ideologico. Con il pessimo risultato poi di “de-potenziarsi” mentre i nostri nemici premono l’acceleratore sulle loro agende sempre più ideologiche, sempre più “assurdamente” reali. Insomma non basta constatare che il mondo è al contrario e starsene fermi come un palo. Nello spirito eretico che ci ha sempre contraddistinto bandiamo l’isterismo e decidiamo di portare il Primato Nazionale ad essere un foglio d’avanguardia, di riscossa e di sfida. Noi non crediamo alla favola della “fine della storia” e nemmeno a quella della “fine delle ideologie“: noi siamo nel bel mezzo di un “conflitto epocale” e crediamo che mai come oggi siano necessarie idee forti, coraggiose, radicali e rivoluzionarie per far si che le tendenze disgregatrici che attaccano i Popoli nella loro identità ed intimità falliscano. Idee che non si limitino ad opporsi, ma che costruiscano l’unica egemonia possibile: quella che non è “frutto di una visione reazionaria ne’ tantomeno di mera amministrazione dell’esistente” ma quella che si crea con “testa e pazienza, proiettandosi avanti con sintesi adatte ai tempi ed un Idea-Forza che disegni un futuro manifesto“.
Cultura è rivoluzione
Meno quantità quindi, ma più qualità. Meno adeguamento agli standard social, ma più educazione rispetto alle grandi sfide di questo tempo: nell’era dell’immediatezza torniamo a “piantare alberi destinati ad un’altra generazione“, consapevoli che una Rivoluzione è qualcosa di ben più vasto ed impegnativo di un godimento istantaneo. Soprattutto una rivoluzione culturale: “La cultura – scrisse Gramsci dal carcere – è organizzazione, disciplina del proprio io, è presa di possesso della propria personalità, è conquista di coscienza superiore, per la quale si riesce a comprendere il proprio valore storico, la propria funzione nella vita, i propri diritti e i propri doveri”. Niente di diverso da come la pensava il Fascista Berto Ricci, seppur in uno stile più vasto, integrale ed universale: “È essa la educazione e trasformazione graduale dello spirito del popolo; è, nello scrittore, nell’artista, la certezza d’una missione cui ogni godimento estetico è subordinato, cui è strumento e solo strumento ogni particolare sistema”.
Per una Patria delle Patrie
Il Primato Nazionale resterà la testata online più scomoda ed “inquietante” di questo paese ma soprattutto, resterà la testata di chi crede nel progetto storico di una terra che si chiama Italia per un destino che si chiama Europa. Il Primato Nazionale resterà l’avanguardia culturale di un Popolo, che non è il popolo-massa delle “persone” ma quello mazziniano del “cittadino”, dove cittadino non è semplice abitante di un luogo ma milite (per dirla sempre con Ricci) di una “rivoluzione in atto e di costruttore d’Impero“. Il Primato Nazionale sarà la testata di chi crede in un’Europa come potenza “possibile”, una “Patria delle Patrie”, che sia alternativa culturale, economica e militare ai grandi blocchi che dal 1945 operano per la nostra divisione. Una Patria che incarni una visione organica, sociale e partecipativa di Nazione; che sappia rendersi ben “riconoscibile” a tutti quei mondi che lungi dall’utopia multipolarista hanno bisogno di guide, di un esempio lampante di terza via, di un’alternativa che possa diventare “faro” per tutti quelli che non godono alla prospettiva che Adriano Romualdi definì come quella “d’esser macinati in una polvere anonima delle internazionali di Mosca, di Hollywood, di Wall Street”.
Rinascere europei per non morire occidentali
“Rinascere europei per non morire occidentali” è uno slogan coniato un anno fa che sentiamo di fare nostro al 100% e che da oggi metteremo al centro della nostra linea editoriale. C’è chi vi dirà che è inutile; C’è chi vi dirà che è impossibile; C’è chi vi dirà “euroinomani“. Noi dal canto nostro non ci siamo mai identificati con una banca: che sia la “nostrissima” Banca d’Italia o la “perfidissima” Banca Centrale Europea, non abbiamo mai creduto ai “cultori delle cedole bancarie“. Non abbiamo mai creduto ad un’Italia tranquilla “isola delle rose” (o peggio solitaria Repubblica delle banane in mezzo al Mediterraneo): abbiamo sempre voluto un’Italia (ma soprattutto un tipo d’italiano) interventista, ardito, pioniere, futurista ed eroe. Un Italiano “nella storia”. Un Italiano artefice di storia. Un italiano che accetta sulle sue spalle la missione storica ed eroica della potenza. Ci dispiace, ma il nostro orizzonte non sarà mai quello dell’Italia borghese, quella del boom economico che molti sovranisti post-fascisti sembrano voler erigere ad età dell’oro. Non abbiamo mai creduto nemmeno al capitalismo finanziario: che sia americano o asiatico, l’unica guerra santa è sempre stata quella del “lavoro contro il denaro“, così come ci insegna la rivoluzione mussoliniana.
Il contro-progetto radicale
Crediamo però in un’identità millenaria potente che ci unisce come italiani ed europei più di quanto ci abbia mai diviso. Crediamo in un “contro-progetto radicale” che sfida il mondo egualitarista, progressista e conservatore allo stesso tempo: “soli contro tutti”, disse Guillaume Faye, “questo è il destino”. Crediamo nella storia come patria dell’imprevisto, escludendo qualsiasi tentazione messianica o teleologica dalle nostre analisi. Guardiamo con tragico ottimismo alle sfide della tecnologia, dell’ambiente, della demografia, della tecnica e della società, senza paraocchi morali o dogmi inconfutabili. Sentiamo il dovere di rendere la nostra identità non solo un luogo di contemplazione ma soprattutto un’arma per la riscossa. Rifare il Primato Nazionale. Rifare l’Italia – quindi l’Europa. Partiamo!
Sergio Filacchioni