Roma, 26 nov – Il rapporto di Pound con il divino e la religione. È questo l’angolo visuale scelto da Adriano Scianca per indagare l’opera del «miglior fabbro» nel suo nuovo saggio dal titolo «Il tempio non è in vendita». Ezra Pound e il sacro, edito da Passaggio al Bosco, uscito precedentemente in francese per i tipi della Nuovelle Librairie nella Collection Longue Mémoire de l’Institut Iliade.
«Il tempio non è in vendita». Ezra Pound e il sacro, il nuovo libro di Adriano Scianca
Se si ha in mente l’immagine dell’ultimo Pound, ieraticamente chiuso nel suo tempus tacendi, si potrebbe avere la sensazione di trovarsi di fronte a un qualche profeta, i cui strali vanno per lo più contro la più prosaica e materiale delle scienze, ovvero l’economia. O, meglio, l’economia pervertita in Usura. Un ritratto, però, che rischia di risultare eccessivamente fosco e sicuramente parziale. Diversamente, Scianca ci restituisce un Pound a tutto tondo, luminoso, sano, vitale, senza pruriti puritani o bigottismi vari. In una parola, mediterraneo. Così anche l’opposizione all’Usura vene letta attraverso polarità archetipiche come quelle di Demetra e Plutone, dove la prima rappresenta il «culto legato alla natura, alla fecondità, alla coltivazione dei campi», con le sue risonanze misteriche ed eleusine, mentre il secondo una «terra morta, sterile, abitata da esseri sfibrati». Si viene a creare una sorta di «geofilosofia» poundiane che ha come orizzonte il clima mite del Medirraneo, dalla Provenza fino alle coste italiane di Rapallo e Venezia. Una classicità circonfusa di luce e fuori da ogni eccesso, pedanteria o provincialismo, che si richiama a «un’idea di ordine che è sempre solare, vivace, mai irregimentato, mai mastodontico, sempre misurato» e che Pound ritrova anche nell’Italia fascista del tempo.
Una «metafisica del sesso» poundiana
Nel saggio di Scianca c’è spazio anche per una «metafisica del sesso» poundiana, degna di nota soprattutto in un’epoca come la nostra dove la scelta sembra essere tra un bigottismo paranoico o il lasciapassare per qualsiasi follia ideologica. Quella di Pound, infatti, è «una sessualità senza complessi, intrinsecamente creativa e dal carattere eminentemente spirituale – ma alla luce di uno spirito che non tradiva la carne», dove viene ribadita la dimensione attiva e virile dell’uomo, «verticale, quindi solare, uranica».
«From the wreckage o Europe, ego scriptor»
Come ebbe modo di rilevare Giorgio Agamben, l’opera di Pound si inserisce in un contesto specifico, quello di «una frattura senza precedenti nella tradizione dell’Occidente». Siamo insomma all’interno di una catastrofe, contornati da rovine, nel mezzo di un naufragio. La linea che congiunge l’Europa con il suo passato e con la sua spiritualità è spezzata. Pertanto si impone la consapevolezza di un «unico destino europeo» e la necessità di «salvare l’Europa». Una riscoperta della civiltà europea che passa attraverso il rifiuto di un pensiero omologante e banalizzante, mantenendo quindi la propria identità, la propria assialità, il proprio essere così. Senza però nessuna fuga all’indietro, nessun collo ritorto verso un passato imbalsamato. In questo senso Pound è «l’autentico maestro di un pensiero differenzialista che si opponga all’avanzata planetaria del Medesimo». Allo stesso modo, anche il confronto con l’altro viene vissuto in una dimensione profonda, anagogica, capace di dare valore alle identità senza scivolare in un universalismo acefalo che appiattisce e deforma tutto.
Michele Iozzino