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Immigrazione e omosessualità: la decadenza a Roma nelle satire di Giovenale

by Federico Rapini
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giovenaleRoma, 17 dic – Dal 14 d.C., quindi post mortem dell’Imperatore Augusto, molti degli autori latini si interrogarono sulla decadenza di Roma. O meglio sulle cause che portarono Roma a vivere un’età di forte declino morale. L’Urbe da secoli aveva basato la sua forza sull’adesione all’ideale di Patria, sul valore militare, sul senso civico, sull’attaccamento alla famiglia. L’adesione dunque al “mos maiorum”, il costume degli antenati, che costituiva appunto la morale tradizionale di Roma. Le tradizioni per la Caput Mundi erano la base della propria civiltà, resa grande dal rispetto di questo mos maiorum da parte di personaggi che incarnarono perfettamente l’ideale di civis romanus.

E fu proprio l’allontanamento da queste tradizioni a portare Roma verso il declino morale di cui scrissero autori come Lucano, Persio o Giovenale. Se Lucano si scagliò soprattutto contro Giulio Cesare visto come il distruttore dell’età repubblicana e uomo preda delle passioni e dell’ira, Giovenale indirizzò la sua critica verso gruppi di persone facendo un’analisi meno soggettiva e più politico-sociale. Giovenale scrisse sotto il principato di Traiano e Adriano, quindi un’età di relativa libertà di parola, pubblicando 16 satire che andarono appunto ad analizzare le cause della degenerazione morale di Roma. E sebbene il suo stile, alto e solenne, rimandasse a Quintiliano, a differenza di questo il suo moralismo non affondava le radici nella filosofia ma proprio nella tradizione morale romana. Il mos maiorum. Tra le 16 satire la II e la III sono quelle che analizzano due punti fondamentali del declino morale di Roma: il malcostume e l’omosessualità dilagante e l’arrivo incontrollato di immigrati greci e orientali.

La II satira è quella che affronta il malcostume e critica gli effeminati che in pubblico condannano le turpitudini di cui essi stessi si rendono colpevoli in privato. E nonostante la sua poca simpatia verso le donne, di cui dice “ché in tutte ormai, e nobili e plebee, uguale è la libidine, e colei che calca a piedi il sudicio selciato non è migliore di colei che a schiena si fa portare di giganteschi sirii”, confronta Lauronia, donna corrotta, con questi effeminati che sono comunque peggiori di lei e delle sue malefatte, poiché questi uomini con la loro condotta deprecabile usurpavano diritti e doveri degli uomini. Giovenale teneva particolarmente alla figura dell’uomo forte e moralmente retto. Un uomo che cercasse di seguire l’esempio degli antenati. Quindi un civis che aderisse al mos maiorum ponendosi come esempio per la comunità.

“E nelle gran famiglie/Si ficcano costoro; e in breve tempo/Ne diventano l’anima e i padroni”

“Ma dunque non si conta omai più nulla/L’aver fin dalla nascita bevuto/L’aure dell’Aventino, e di sabine/Bacche aver preso il nutrimento primo?/ Ma v’è di peggio: in adular maestra/Questa gentaglia ognor leva alle stelle/Il bel visino ed il parlar sapiente/Del suo padrone, e sia pure un camorro/E un babbuasso”

Da questi versi sopracitati possiamo dedurre come  l’avvento di immigrati, in gran parte poeti e intellettuali di vario genere (ma anche schiavi) descritti da Giovenale come arrampicatori sociali senza scrupoli, fosse visto come un grande problema nonchè causa di malcostume e declino della civiltà romana. Nella III satira difatti il poeta descrive all’amico Umbricio il disagio di Roma dove oltre alle donne che si prostituivano davanti al Circo, c’erano questi immigrati che abili nell’arte dell’adulazione toglievano lavoro e spazio ai cittadini del luogo. Questi “intelletucoli” erano quindi in grado di raggirare i ricchi che preferivano loro ai Romani ai quali talvolta non rimaneva che rifugiarsi in qualche cittadina di campagna. Al sangue romano veniva preferita la parlantina straniera, che non conosceva l’onore e piegava la schiena al miglior offerente. Inoltre Giovenale sottolinea come fosse impossibile girare tranquillamente per le vie di Roma senza scorta a causa di bande di balordi provenienti da chissà dove.

Se non sapessimo che Giovenale scrisse tra il 100 ed il 127, queste satire potrebbero essere tranquillamente attuali. Ma sono comunque condivisibili per gran parte delle città italiane, invase da immigrati coccolati dai politici e liberi di scorrazzare impunemente per le città. Per non parlare di una società, quella attuale, dove sta diventando normale l’ostentazione della propria sessualità in pagliacciate carnevalesche per poi pretendere l’adozione di figli dopo aver posato seminudi davanti luoghi di culto, con il solo intento di provocare e deridere.

Ma forse i nostri politici si sono soffermati troppo su Ovidio.

Federico Rapini

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2 comments

Milo 19 Dicembre 2016 - 11:20

Eccerto, magari la Fedeli proprio si è soffermata su Ovidio. Magari, almeno quello…

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Luigi Cardi 22 Giugno 2021 - 3:52

Il commento personale d’attualità si poteva evitare, stupidamente miope e semplicistico su una questione complicata come l’immigrazione. In un paese dove la natalità è in calo da anni e i lavori più “umili” come quelli agricoli vedono sempre meno italiani disposti ad occuparsene
, L’immigrazione ha degli aspetti positivi che nessuno ha mai voglia di mettersi ad analizzare.

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