Roma, 24 sett – Il tema dell’immigrazione nelle ultime settimane è tornato ad infiammare il dibattito politico e mediatico. Il governo guidato da Giorgia Meloni cerca di barcamenarsi, tra le critiche sterili delle opposizioni e gli accordi nel contesto delle consorterie europee, allo scopo di far cessare gli sbarchi di immigrati sulle coste italiane. In Italia, ormai da diversi anni, l’immigrazione è diventata un argomento di retorica contrapposizione fra partigianerie ideologiche completamente incapaci di mettere in piedi un ragionamento volto alla risoluzione di questo annoso problema. L’Europa, dipinta come la terra promessa, rischia invece di crollare su se stessa perché – di fronte ad uno spostamento sempre più massiccio dei popoli africani – totalmente inerme e priva di peso geopolitico.
Un fenomeno identitario e sociale
Il fenomeno dell’immigrazione deve essere inquadrato sotto il duplice aspetto, identitario e socio-economico. Sul primo, come ben risaputo, l’ideologia immigrazionista impone una visione del mondo che spinge sempre più verso la cancellazione delle identità, dalla storia, della cultura, delle tradizioni. In buona sostanza, per i sostenitori dell’immigrazione, siamo tutti individui atomizzati ma pur sempre “cittadini del mondo”. Ecco che a questa follia ideologica bisogna opporsi attraverso la salvaguardia delle radici e delle identità dei popoli. D’altro canto, soffermarsi esclusivamente su tale aspetto avallando scelte economiche di matrice neoliberista produce non solo un abbassamento del costo del lavoro e della compressione dei diritti sociali, ma altresì una guerra tra poveri (autoctoni contro immigrati) con gravi ripercussioni dal punto di vista della tenuta sociale. Identità e socialità, pertanto, devono camminare di pari passo anche su questo tema.
I costi dell’immigrazione
Chi pensa che gli immigrati possano rappresentare un toccasana per lo Stato sociale probabilmente non ha ancora contezza di quali oneri debba farsi lo Stato, quindi noi contribuenti. Innanzitutto, per onesta intellettuale, bisogna dire che è davvero difficile stabilire con esattezza le spese che l’Italia sostiene annualmente per l’immigrazione. È possibile, tuttavia, farne una stima indicativa. Secondo quanto riportato da Money.it, nel Def del 2018 si parlava di una spesa annua pari a 4,4 miliardi nel 2017 e di una previsione di 4,6 miliardi per l’anno successivo se il numero degli sbarchi fosse rimasto costante rispetto all’anno precedente. Nel bilancio dello Stato relativo all’anno 2021, tenendo in considerazione un numero di sbarchi inferiori rispetto all’annata 2017-2018, le spese per “Immigrazione, accoglienza e garanzia dei diritti” – suddivise tra i Ministeri del Lavoro (12,36 milioni), dell’Economia (1.237,37 milioni) e degli Interni (1.931,08 milioni) – con annessa quota annuale all’Unione Europea per le politiche sull’immigrazione, risultavano decisamente inferiori1. Un altro sito, Fisco e Tasse, riporta che il costo medio del rimpatrio degli extracomunitari assunti illegalmente – sul quale gravano le sanzioni amministrative accessorie per il datore di lavoro – ammonta per l’anno 2023 ad euro 2.365,23 per ogni lavoratore. Nel 2022, diversamente, era fissato ad euro 1.798,00 per ogni lavoratore2.
Quale ruolo per l’Italia?
Fronteggiare un fenomeno epocale come quello dell’immigrazione di massa non è affatto semplice. Al di là degli slogan da campagna elettorale, l’Italia deve cercare di adottare una strategia ad ampio raggio nel medio-lungo periodo. In primo luogo, occorrerebbe analizzare le ragioni profonde della storia del colonialismo europeo in Africa. A queste considerazioni bisognerebbe affiancarne delle altre inerenti al neocolonialismo cinese nel Continente africano. Per cui, volenti o nolenti, in Africa bisognerà fare i conti, oltre che con russi e turchi, anche e soprattutto con i cinesi. Su quest’ultimo versante, l’uscita italiana dalla Via della Seta si presenta come un serio ostacolo non solo ai fini della questione sbarchi, ma bensì per l’attuazione dall’ambizioso Piano Mattei e del progetto dell’Italia di tornare protagonista nel Mediterraneo. Per fare ciò, l’aiuto (o presunto tale) degli Stati Uniti in Africa non basterà all’Italia riconquistare il ruolo di credibile attore geopolitico.
Francesco Marrara