Milano, 24 apr – Tutto sembra tranne che calcio italiano. Ieri sera a San Siro, per Inter-Udinese, l’unico italiano in campo era l’arbitro. Due squadre, ventidue stranieri. Il primo italiano si vede solo al ’76, ed è Pasquale. E’ un record, anche se triste, nella storia del calcio nostrano. Se dovessimo elencare tutte le nazionalità presenti sul campo ieri, più che una formazione sembrerebbe una barzelletta.
Non meraviglia il fatto che questo record sia stato raggiunto proprio da questi due club. La vena “internazionalistica” l’Inter la porta nella storia e nel nome, basti ricordare che nel 1908 si distaccò dal Milan proprio per tal motivo.
L’Udinese è un’altra squadra che negli ultimi anni si è fondata sullo scouting massiccio di giocatori in tutto il mondo, infatti nella sua rosa attuale non conta più di quattro o cinque italiani. Prima di ieri, all’estero, qualcosa di simile accadde in Premier League nel 2009, dove nel match Portsmouth – Arsenal il primo Inglese entrò solo all’85. Ora, forse questo calcio qui piacerà alla Boldrini, ma il calcio nostrano sta realmente prendendo una tendenza preoccupante. Il problema infatti non si limita all’Inter o ai bianconeri di Udine, ma sta in generale diventando sempre più complicato trovare una formazione con un buon numero di italiani in rosa, fatta eccezione del Sassuolo che non si è lasciato trascinare – come ci spiegava anche Paolo Cannavaro su Gazzetta – dalla moda degli stranieri, puntando molto sulle giovani promesse italiane.
La questione infatti – oltre che identitaria poiché è ridicolo pensare ad un campionato italiano senza italiani – riflette anche e soprattutto in ambito sportivo: l’Italia è una delle ultime in Europa a formare i propri giovani e a ciò bisogna aggiungere gli effetti della sentenza Bosman, che consentendo ai calciatori professionisti aventi cittadinanza UE di trasferirsi gratuitamente da una squadra all’altra alla scadenza del contratto, ha fatto sì che l’Italia, come in parte l’Inghilterra, abbandoni i settori giovanili favorendo invece acquisti di giocatori stranieri. In fin dei conti il tutto è riducibile ad uno. Come nella società le logiche del mercato calpestano le identità nazionali, così fanno anche nel calcio moderno.
L’immagine finale di ieri parla da sè. Undici stranieri vincono. I cinesi festeggiano. L’Italia sta perdendo una sua identità calcistica e la mancanza di giovani promesse su cui puntare si riflette di conseguenza nelle competizioni internazionali.
Edoardo Martino
3 comments
Milano, 17 gennaio 1960
Sole, nebbia, gelo e colpi di scena a San Siro.
Inter: Matteucci; Fongaro, Guarneri; Masiero, Cardarelli, Invernizzi; Bicicli, Rancati, Angelillo, Lindskog, Corso.
Udinese: Santi; Burgnich, Del Bene; Sassi, Pinardi, Menegotti; Pentrelli, Milan, Bettini, Giacomini, Fontanesi.
Mondiali 1934-1938 quando c’era lui https://www.youtube.com/watch?v=B2dIOrqa6tE
Mi ricordo quando, nei primi anni ’90, si era appena al “terzo straniero”, e già tre stranieri mi sembravano (ed erano) troppi.
Nelle trasmissioni televisive infrasettimanali, dedicate al campionato, si parlava già di “legalizzare” il quarto straniero.
Allora ero appena studente, quindi essendo giovane ci capivo poco. Però mi domandavo continuamente : “ma perché, tra stampa e televisione continuano a parlare di stranieri nel calcio, ed osannarli, invece di fare discorsi (a mio parere) più costruttivi, imperniati sui “vivai” di giovani leve di future promesse italiane?
Povero ingenuo che ero.
Con il tempo (e lo dico, senza nessun intento offensivo verso quegli eventuali lettori che di calcio, sono appassionati e tifosi) devo dire che questo atteggiamento, ostentatamente esterofilo fino alla nausea, anziché coinvolgermi mi ha così disgustato da farmi completamente disamorare di questo sport (se ancora lo possiamo chiamare tale, visto che il termine più adeguato mi sembra ormai “business”) tanto che sono decenni, letteralmente, che non lo seguo più.
Però è curioso, secondo me, che un paese che si definisce “patria del calcio” sia disposto a valorizzare qualunque cane (purchè straniero) a costante, metodico e totale discapito delle potenziali giovani leve “autoctone”. Ma, si sa, io non sono tifoso, io non c’ho “la fede”, e quindi ovviamente queste sottigliezze non le posso comprendere…