Roma, 7 lug – Ipazia nasce ad Alessandria d’Egitto intorno al 370 d.C. È figlia del filosofo, matematico e astronomo Teone, dal quale, come afferma Filostorgio: «apprese le scienze matematiche ma divenne molto migliore del maestro soprattutto nell’arte di osservare gli astri». Mentre lo scolarca dell’Accademia di Atene Damascio ci ricorda che «fu di natura più nobile del padre, non si accontentò del sapere che viene dalle scienze matematiche alle quali lui l’aveva introdotta, ma non senza altezza d’animo si dedicò anche alle altre scienze filosofiche».
Ipazia e il Museo di Alessandria
Ipazia subentra al padre alla guida del Museo di Alessandria, un importantissimo centro culturale dell’età ellenistica, all’interno del quale fioriscono prestigiose scuole letterarie, filologiche, matematiche e mediche. Fondato da Tolomeo Sotere, capostipite della dinastia tolemaica che governa l’Egitto ellenistico fino alla conquista romana, è dedicato alle Muse, le figlie di Zeus che rappresentano l’ideale artistico percepito come verità del Tutto, cioè, per dirla con lo storico delle religioni Walter Friedrich Otto, «l’eterna magnificenza del divino».
Nell’ambito degli studi astronomici, Ipazia, oltre a utilizzare gli studi di Apollonio, iniziatore della matematica quantitativa, si serve dei risultati portati nel campo della teoria dei numeri dall’”Aritmetica” di Diofanto, il padre dell’algebra. Grazie alle sue osservazioni e intuizioni, la filosofa alessandrina nel suo “Canone astronomico” espone nuove teorie in relazione al moto degli astri. Purtroppo non è dato sapere quali siano, ma s’ipotizza che si tratti dell’eliocentrismo. Scrive Gemma Beretta nel suo “Ipazia d’Alessandria”: «Quando tracciava una nuova mappa del cielo, Ipazia stava indicando una traiettoria nuova – e insieme antichissima – per mezzo della quale gli uomini e le donne del suo tempo potessero imparare ad orientarsi sulla terra e dalla terra al cielo e dal cielo alla terra senza soluzione di continuità e senza bisogno della mediazione del potere ecclesiastico». «Ipazia insegnava ad entrare dentro di sé (l’intelletto) guardando fuori (la volta stellata) e mostrava come procedere in questo cammino con il rigore proprio della geometria e dell’aritmetica che, tenute l’una insieme all’altra, costituivano l’inflessibile canone di verità.» Pur apparendo rigorosamente scientifici e matematici, gli intenti di Ipazia tracimano nel religioso. Infatti, insegna l’astronomia e la geometria all’interno di una visione neoplatonica dell’universo.
La distruzione dei templi pagani
Nel 391, ad opera del patriarca di Alessandria, Teofilo, vengono distrutti i templi pagani e, in particolare, quello di Serapide che contiene la Biblioteca, dove allignano i saperi “demoniaci”, dove si può leggere che la Terra gira intorno al Sole, così come scoperto da Aristarco di Samo. La distruzione degli antichi marmi greci vuole «minare le radici stesse delle loro popolazioni, i loro simboli, il loro linguaggio», scrive lo storico Guido Bigoni. Nel 380 poi, con Teodosio, il cristianesimo viene imposto come religione di Stato e viene proibita ogni forma di paganesimo. I cristiani riescono ad afferrare tutte le leve del potere di quella Roma che i valori pagani hanno reso grande.
Le conoscenze distrutte, però, continuano a vivere in Ipazia, che, al termine delle sue giornate di studio, indossa il nero mantello dei filosofi e va in mezzo alla gente a insegnare l’uso della ragione e l’importanza della scienza. Ipazia, neoplatonica erede di Plotino, si oppone all’esegesi patristica che nega la verità della filosofia dove non è possibile farla coincidere con quella delle Scritture. Secondo Bregman: «La scuola di Ipazia era confessionalmente neutrale e slegata da qualsiasi particolare culto o mistero; è improbabile che Ipazia considerasse un qualsiasi credo religioso superiore alla filosofia, la vera via verso la salvezza». Ipazia ha allievi di ogni credo religioso, pagani, cristiani, ebrei, ognuno con la propria parte della verità, che possono comprendere il Tutto però solamente attraverso la filosofia, che deve mantenere il primato «quale chiave agli enigmi dell’universo e via per la salvezza dell’anima».
Lo scontro è tra i rappresentanti di una Chiesa che, all’ispirazione profetica dello Spirito Santo, privilegiano le prescrizioni mondane di un episcopato che mira a liquidare ogni forma di autorità che non sia la sua, e il sentire elleno, che predilige l’autorità che, come afferma la Beretta: «viene dall’intelligenza sul mondo e dal coraggio nell’esporsi».
Ipazia, grazie alla sua cultura e alla sua eloquenza, diviene un’autorità politica interpellata dai leader della polis ogniqualvolta devono prendersi carico delle questioni pubbliche. Lo storico della Chiesa Socrate Scolastico, a tal proposito afferma: «Ella giunse ad un tale grado di cultura, che superò di gran lunga tutti i filosofi suoi contemporanei». «Per la magnifica libertà di parola ed azione, che le veniva dalla sua cultura, accedeva in modo assennato anche al cospetto dei capi della città e non era motivo di vergogna per lei lo stare in mezzo agli uomini. Infatti, a causa della sua straordinaria saggezza, tutti la rispettavano profondamente e provavano verso di lei un timore reverenziale». In pratica, grazie a Ipazia, ad Alessandria si realizzò la platonica politeia, in cui i filosofi decidono le sorti della polis.
Per Damascio, Ipazia è la vergine che si manifesta nel mondo per annunciare il ritorno alla leggendaria età dell’oro, quando, secondo il mito, sulla Terra regna la vergine divina Dike e i popoli vivono nella pace e nell’abbondanza. Ma col passare degli anni, come dice Gemma Beretta, «la genia degli uomini e delle donne divenne tanto corrotta che, ad uno ad uno, gli immortali lasciarono il mondo e la Terra ritrasse i suoi doni». Giunge, quindi, l’età del ferro e Dike, l’ultima immortale rimasta, lascia la Terra e trasferisce la sua dimora in cielo come costellazione della Vergine, apparendo nelle notti più terse con una spiga in mano, così come ci racconta il poeta greco Arato di Soli.
Tra gli interlocutori di Ipazia vi è il Prefetto imperiale d’Egitto, Oreste, cristiano e discepolo della filosofa, che è in forte attrito col vescovo di Alessandria Cirillo (appoggiato dalla reggente il trono imperiale d’Oriente, Pulcheria), che vuole condizionare le scelte politiche del Praefectus augustalis per imporre il potere episcopale.
Oreste e Cirillo sono ai ferri corti da quando, nel 414, gli israeliti di Alessandria si vendicano sui cristiani per i torti subiti. Cirillo li espelle dalla città, fa radere al suolo le sinagoghe e consegna alla folla i loro averi. Oreste non può intervenire, perché una costituzione del 384 dichiara che il clero può essere soggetto solo al diritto ecclesiastico. Scrive all’imperatore stigmatizzando la brutale condotta del vescovo, che a sua volta lo accusa.
L’assassinio di Ipazia
È in questa situazione che matura l’assassinio di Ipazia. Inizia a girare la voce che è proprio la filosofa a impedire con i suoi maneggi la riconciliazione tra il vescovo e il Prefetto. Per lo storico statunitense Peter Brown: «Se nella fase di passaggio dal paganesimo al cristianesimo i compiti del filosofo e del vescovo vengono a sovrapporsi, che cosa fa il vescovo, se non eliminare il filosofo?». Mentre Silvia Ronchey, nel suo saggio “Ipazia, l’intellettuale” asserisce che: «Gli elementi in conflitto non sono tanto paganesimo e cristianesimo, quanto le classi dirigenti (locale e romana), le categorie sociali (antica aristocrazia, nuova “burocrazia” ecclesiale), i bellicosi gruppi etnici, nel clima d’instabilità che caratterizza il passaggio dei poteri e l’instaurarsi del cristianesimo nella vita e nelle strutture cittadine del tardo impero romano».
Un giorno di marzo del 515, mentre torna a casa in lettiga, una turba di parabolani, fanatici monaci cristiani guidati da Pietro il Lettore, la bloccano e la picchiano. Poi la trascinano fino al Cesareo, l’ex tempio di Augusto tramutato in chiesa cristiana, e qui Pietro abbatte su di lei una mazza ferrata, mentre gli altri invasati, con pugnali ricavati da conchiglie, si avventano sul suo corpo facendolo a pezzi. Scrive Socrate Scolastico: «Fu vittima della gelosia politica che a quel tempo prevaleva. Ipazia aveva avuto frequenti incontri con Oreste. Questo fatto fu interpretato calunniosamente dal popolino cristiano che pensò fosse lei ad impedire ad Oreste di riconciliarsi con il vescovo. Alcuni di loro, perciò, spinti da uno zelo fiero e bigotto, sotto la guida di un lettore chiamato Pietro, le tesero un’imboscata mentre ritornava a casa. La trassero fuori dalla sua carrozza e la portarono nella chiesa chiamata Caesareum, dove la spogliarono completamente e poi l’assassinarono con delle tegole. Dopo avere fatto il suo corpo a pezzi, portarono i lembi strappati in un luogo chiamato Cinaron, e là li bruciarono. Questo affare portò non poco sdegno contro Cirillo e contro la chiesa di Alessandria: infatti, nulla può essere più estraneo dai seguaci degli (insegnamenti) di Cristo che uccisioni, lotte e cose del genere».
La sua morte mette la parola fine a una delle maggiori comunità scientifiche di tutti i tempi, nata con la stessa Alessandria, che affonda le sue radici nell’Accademia di Platone e nel Liceo di Aristotele.
Eriprando della Torre di Valsassina
4 comments
.da questo si evince, chiaramente, che il clero/ vaticano devono stare lontano, lontano, lontano; meglio se non esistono…
Ché mettetelo in testa ch’er pretaccio È stato sempre lui, sempre lo stesso! Er prete? È stato sempre quell’omaccio nimico de la patria e der progresso. (dalla “scoperta dell’America” di Cesare Pascarella)
Oggi si chiamano CieLlini … nulla a che vedere col testimoniare con la propria vita il cristo (cristiani) . Vedasi l’attuale gerarchia ed il “celeste” , solo business .
Per chi volesse approfondire
http://www.treccani.it/enciclopedia/ipazia_%28Enciclopedia-Italiana%29/
https://it.cathopedia.org/wiki/Ipazia_di_Alessandria