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Jean de Brem, una penna (e una pistola) per l’Europa

by Sergio Filacchioni
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Jean de Brem

Roma, 18 apr – «Sento gravare sulle mie miserabili spalle il peso smisurato della più gloriosa delle eredità.» Con queste parole, Jean de Brem — poeta, soldato, giornalista e militante dell’OAS — apriva il suo testamento spirituale e politico, Le testament d’un Européen, pubblicato postumo nel 1964. Un grido solenne, carico di amore per l’Europa delle cattedrali e degli imperi, e di dolore per la sua decadenza.

Jean de Brem, intellettuale e militante

Nato a Parigi il 2 agosto 1935 in una famiglia aristocratica legata alla tradizione controrivoluzionaria vandeana, Jean de Brem fu educato al collegio Sainte-Croix des Neiges ad Abondance, poi al liceo Buffon. Giovanissimo militante nei Jeunes Indépendants de Paris, si distinse presto per un ardente patriottismo e per una cultura fuori dal comune. Sottotenente nel prestigioso 2º Reggimento di Paracadutisti Coloniaux, combatté in Algeria e partecipò all’operazione di Suez sotto il comando del colonnello Chateau-Jobert. Esperienze che lo segnarono nel profondo e che alimentarono in lui una visione tragica ma lucida del destino europeo: un mondo in lotta per non essere risucchiato nel nichilismo moderno, tra decolonizzazione forzata, burocratismo gollista e dominio americano. Congedato, Jean de Brem si dedicò al giornalismo collaborando con Paris Match, Combat e L’Esprit Public. Scrisse poesie e saggi, ma anche inni militanti, come La Cavalcade, in memoria di Jean-Marie Bastien-Thiry, il colonnello fucilato nel 1963 per aver organizzato l’attentato al generale De Gaulle a Petit-Clamart. Fu in quegli anni che Jean si legò definitivamente alla causa dell’Algeria francese, aderendo all’OAS, L’Organisation de l’armée secrète, organizzazione paramilitare che tra il 1961 e il 1962 provocò una lotta armata sanguinosissima per impedire l’indipendenza algerina.

La militanza e la morte

Il 6 marzo 1963, Jean de Brem compì un gesto estremo: uccise il banchiere Henri Lafond, colpevole — ai suoi occhi — di aver voltato le spalle ai patrioti processati dopo l’attentato di Bastien-Thiry. «De la part de Bastien-Thiry!» gridò, prima di premere il grilletto. Nel suo libro Je veux la tourmente, Jean Curutchet — figura chiave dell’OAS in Francia e co-fondatore del Conseil National de la Révolution — rievoca con tono diretto e vibrante gli anni della clandestinità e della lotta armata per l’Algérie française. Tra i passaggi più toccanti del volume, pubblicato nel 1964, spicca proprio il ricordo della morte di Jean de Brem, nome di battaglia “Alex”, caduto durante una missione a Parigi il 18 aprile 1963. Fedelissimo alla causa, “Alex” aveva accettato di lavorare all’estero ma volle tornare in patria per portare a termine un’ultima azione. Colto sul fatto mentre tentava il furto di un’auto destinata a un’operazione clandestina, aprì il fuoco contro la polizia prima di essere ucciso a colpi di mitra. Curutchet racconta con amara lucidità il tentativo disperato dell’amico di ingoiare un foglio con informazioni riservate, subito recuperato dai poliziotti dopo che uno di essi gli tagliò la gola, appena dopo averlo finito con un colpo alla testa. Una scena brutale, quasi cinematografica, che racchiude lo spirito tragico e assoluto di quella generazione di giovani militanti che, tra entusiasmi e illusioni, avevano scelto di combattere “à force ouverte” per mantenere l’Algeria dentro la Repubblica, ma soprattutto – e solo oggi ne capiamo l’importanza – gli Europei in Africa. “Morirò senza posterità, sterilizzato dall’atomo o sgozzato da un fanatico”, aveva scritto profeticamente nell’introduzione al suo Testament d’un Européen. Con questo episodio, Curutchet non solo rende omaggio a un amico perduto, ma ci offre uno spaccato inquietante della guerriglia urbana dell’OAS a Parigi, tra le ombre del dopoguerra e le premonizioni del terrorismo globale: “Jean de Brem attraversò come una meteora il cielo scuro della mia clandestinità. La nostra amicizia non durò nemmeno tre mesi. Ma non potrò mai dimenticare questo amico luminoso dei miei vent’anni“. Jean de Brem aveva solo 27 anni. Il suo corpo riposa al cimitero del Père-Lachaise, accanto a tanti nomi della storia di Francia.

L’eredità spirituale e poetica

Il suo spirito, invece, vive ancora tra le pagine del Testament d’un Européen, un’opera monumentale di oltre seicento pagine che Jean de Brem aveva concepito come un vero e proprio lascito intellettuale. Quest’opera, frutto di profonda erudizione ma sorprendentemente accessibile, ripercorre la storia degli Europei dalla mitologia greca fino alla metà del XX secolo. La prima parte è dedicata all’Antichità e al Medioevo; la seconda, dal Rinascimento ai giorni nostri. De Brem esalta proprio il Rinascimento come l’epoca della grande curiosità europea: una qualità che ha generato un nuovo slancio nelle arti, nelle lettere, nelle scienze, ma che ha anche alimentato rivalità fratricide tra nazioni sorelle nell’esplorazione e nello sfruttamento del mondo. Nella sua breve ma intensissima parabola esistenziale, Jean de Brem ha lasciato anche un’eredità poetica che trasuda spirito cavalleresco e fedeltà ai propri ideali. Il suo componimento La Cavalcade, ispirato all’antico canto tedesco Ich hatt’ einen Kameraden, è diventato un inno struggente per i nazionalisti francesi. Scritto in memoria di Jean-Marie Bastien-Thiry e dei camerati caduti nella guerra d’Algeria, il testo alterna pathos lirico e spirito militante, esprimendo il dolore di un combattente che ha perso il compagno più caro. Con una semplicità epica, De Brem evoca il cameratismo, l’onore e la fede cristiana come colonne portanti della civiltà che ha voluto difendere fino alla fine, trasformando la poesia in preghiera e la nostalgia in fierezza.

Il testamento spirituale

Strenuo difensore di una civiltà cristiana in declino, de Brem era convinto che solo un’Europa unita e profondamente coesa potesse salvarla dal baratro. Partecipava attivamente ai congressi e alle iniziative dei movimenti europeisti, non certo in nome di un’Europa burocratica e monetaria, ma di una visione organica e spirituale dell’unità europea, radicata nella storia, nella fede e nella cultura classica. Con la sua morte, la destra radicale francese ed europea perde uno dei suoi giovani autori più promettenti; l’idea di Europa, un fervente e appassionato militante. Figura scomoda, troppo romantica, troppo lucida, troppo europea. Jean de Brem è stato dimenticato dai manuali ufficiali. Ma è proprio nel suo oblio che si nasconde la sua attualità. Oggi, in un’Europa svuotata di identità, la sua voce torna come un tuono: senza memoria non c’è civiltà, senza coraggio non c’è Europa.

Sergio Filacchioni

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