Roma, 24 sett – Monumenti e anime vive. Siamo nei febbrili mesi antecedenti la marcia su Roma – esattamente il 21 aprile 1922 – quando Benito Mussolini verga sulle pagine del Popolo d’Italia la propria idea di città eterna. Compiuta la rivoluzione delle camicie nere il Duce tornerà spesso e volentieri sul mito fondante: tre anni più tardi, ad esempio, parlerà della nitida visione durante l’insediamento del primo governatore capitolino. A stretto giro di posta la città fondata dalla stirpe di Enea sarebbe dovuta tornare “vasta, ordinata e potente”. Proprio come ai tempi dell’impero di Augusto.
Il successore di Giulio Cesare
Gaio Ottavio Turino nasce sul colle Palatino (probabilmente il 23 settembre 63 a.C.): già conosciuto con il nome di Ottaviano, il primo imperatore si affaccia – per così dire – sulla storia con la morte del prozio Giulio Cesare. Formato sia culturalmente che militarmente dal grande conquistatore, riceve dallo stesso anche l’eredità politica. L’accordo con Marco Antonio e Marco Emilio Lepido darà quindi vita al secondo triumvirato, intesa decennale sfociata – dopo la marginalizzazione dell’ultimo – in una contesa a due chiusa dalla battaglia di Azio.
Così Augusto, forte del consenso popolare, si poté permettere con un atto formale di restituire il potere nelle mani della res publica. Una serie di cariche incrociate gli permetterà però di governare – dal Mediterraneo al Mar Caspio, toccando la Germania fino alla Gran Bretagna – per quasi quarant’anni.
La Pax Romana e le opere pubbliche
Con la chiusura delle porte del tempio di Giano si inaugura un periodo di pace interna. Eretto l’impero – forza trascendente, creatrice e ordinatrice – bisognava rinnovare una società agricola e marziale attraverso la tecnica e la cultura. Dall’esercito ai costumi, dalla giustizia al sistema di tassazione viene riformato ogni aspetto della vita statale. La riconciliazione del mare nostrum in particolare favorì i commerci e la conseguente creazione di ricchezza. Non possiamo poi dimenticare l’importante rete di infrastrutture e le – a dir poco – durature opere pubbliche, come gli acquedotti. Basti pensare che l’Aqua Virgo ancora oggi alimenta le fontane Trevi, della Barcaccia e dei Quattro Fiumi.
Immenso uomo politico, Augusto intuì inoltre che avrebbe dovuto comunicare anche attraverso maestosi monumenti: l’omonimo foro, l’imponente mausoleo – circolare, come le tombe dei re etruschi – il Pantheon, l’orologio solare, l’Ara Pacis. Nel museo che custodisce l’altare troviamo incisa una copia moderna delle Res Gestae, enumerazione delle imprese redatta dall’imperatore prima della morte.
Augusto, la centralità di Roma
“Ho trovato una città di mattoni e lascio una città di marmo” è la massima tramandata da Svetonio che però non rende piena giustizia all’operato del figlio adottivo di Cesare. Se da un lato Augusto ribadì “fisicamente” la centralità dell’Urbe sconfiggendo l’amante di Cleopatra, dall’altro dobbiamo osservare che la (relativa) semplicità della sua dimora – un’abitazione gentilizia adiacente la casa Romuli – è un messaggio ben preciso: nessuno sarebbe stato più grande di Roma, nemmeno i suoi governanti.
Lo statista amministrò la cosa pubblica non solo per un’idea fine a se stessa, ma anche per il suo popolo. Basilare nel pensiero imperiale fu infatti la tematica della cultura. Arte, teatro, poesia, oltre alla già citata architettura. Dapprima gli studi giovanili effettuati presso Apollonia – sito archeologico dell’attuale Albania – che lo avvicinano all’educazione greca, successivamente l’amicizia con Mecenate, il cui circolo – al quale partecipa attivamente anche Virgilio – contribuì alla primavera culturale dell’odierna capitale. Monumenti e anime vive, appunto. Solidità, profondità e bellezza misurano davvero la grandezza di un popolo.
Marco Battistini