Roma, 8 apr – Particolare forma grafica chiamata a identificare un qualcosa di preciso, la funzione primaria del logo – troncatura derivante da due termini greci, logos e typos – è spiccatamente evocativa. Ruolo allusivo, solo in rarissime occasioni diretto a rendere completamente comprensivo il proprio significato. Entra quindi in gioco il sentire comune: senza identificare in maniera diretta ciò che intende rappresentare, riesce al contrario a racchiuderlo al suo interno. Così in giorni in cui si discute sempre più spesso di spazi continentali, l’avvento sulla scena italiana di un centro studi per la lunga memoria europea ha lasciato piacevolmente sorpreso chi scrive: in tal senso scopriamo il simbolo dell’Istituto Eneide.
Ritorno all’origine e proiezione al futuro
Già dal nome il progetto di studi, ricerche e formazione presieduto da Pierluigi Locchi, ci riporta alle vicende della figura mitologica di Enea. Figlio di Venere, dea della bellezza, e del mortale Anchise, il Principe dei Dardani viene descritto come un valoroso guerriero. Con la città di Troia già in fiamme inizia un lungo peregrinare che lo porterà sulle coste del Lazio. Qui fonderà Lavinium e dalla sua discendenza nasceranno poi Romolo e Remo, eredi diretti di Marte.
Il viaggio dell’eroe in realtà “è la storia di un ritorno, ma al contempo è anche quella di una proiezione verso il futuro”. Spiega la stessa organizzazione che concretizza le volontà testamentarie di Dominique Venner: “Enea torna nella terra di origine del suo popolo, ma questa è anche la culla di una nuova civiltà che dovrà sorgere dalla sua progenie. Il suo viaggio è un ritorno all’Origine, ma questa Origine è proiettata in avanti. Egli porta i penati, i suoi antenati, ma la patria che cerca sarà la terra dei suoi figli”.
Un concetto splendidamente rappresentato dal Bernini nella scultura ‘Enea, Anchise e Ascanio’ oggi conservata alla Galleria Borghese di Roma. L’eroe porta sulla spalle il padre ricurvo, custode della protezione degli antenati, e si fa seguire dal figlio Ascanio: il piccolo – futuro fondatore di Alba Longa – porta con sé il Fuoco Sacro.
Il simbolo dell’Istituto Eneide
Proprio quest’ultimo elemento “nel suo immoto dinamismo riesce a coniugare il culto degli antenati con la promessa per i propri figli”. Ovvero “il centro che mantiene unita la comunità e il popolo in un continuum che travalica il tempo. È il Nesso di Civiltà che congiunge Terra e Cielo, la scintilla di eternità che feconda lo spazio umano e in cui si ritrovano e convivono le generazioni passate e quelle future. Una memoria e una promessa che si celebrano e attuano qui ed ora”.
Nel simbolo dell’Istituto Eneide campeggia quindi la stilizzazione di un Tempio, struttura sacra per eccellenza. Luogo che, come ci insegna Ezra Pound, per sua stessa natura non può essere soggetto a speculazione, “spazio ordinato in cui il Divino può manifestarsi”. Al suo interno troviamo quindi un braciere sul quale arde – appunto – una fiamma graficamente divisa in due.
“È un Fuoco acceso dagli uomini per far salire le offerte al Cielo, o è un Fuoco divino che scende per manifestare il divino sulla terra?” si chiedono i promotori dell’organizzazione. Probabilmente rappresenta entrambe le cose: sulla sinistra si forma una E arcaica (quasi runica) che si alza fino al frontone. Lettera E, principio di Enea, ma anche di Europa ed Esperia, antichissimo nome con il quale si riconosceva l’Italia. Interessante poi la notazione sulla forma del tetto, triangolare come il simbolo alchemico del fuoco: “la fiamma che vi irrompe ha la sua stessa natura e ad esso ritorna”.
La quercia e l’alloro
Il sacro quindi si manifesta anche nella sua componente naturale. D’altronde il termine ecologia – dal greco studio dell’ambiente, della propria casa – è tra le parole d’ordine che riguarderà da vicino il futuro prossimo del nostro continente. Il simbolo dell’Istituto Eneide è quindi coronato da fronde di quercia ed alloro. Simbolo di “forza, rettitudine e nobiltà ma anche di divinazione” il primo albero, pianta solare per eccellenza la seconda.
La quercia accomuna l’Europa e più in generale tutti i popoli indoeuropei: “sacra a Zeus in Grecia, a Thor tra i Norreni, a Donar tra i Germani, a Giove a Roma, a Perun tra gli Slavi, a Perkunas tra i Baltici, presso i Celti era l’albero druidico al centro di ogni azione magico-sacrale”. Contraddistinta da salde radici e robustezza del tronco, le sue foglie offrono all’uomo il dono di preveggenza, sintesi della “compenetrazione delle tre dimensioni temporali dell’azione eroica e del mito”.
L’allora, invece, rappresenta la “gloria divina concessa a eroi e sapienti, a coloro che mantenendosi saldi sono in grado di portare a termine la propria missione”. Antesignana della corona e dell’aureola, nel suo stretto rapporto con il sole la “trasfigurazione apollinea che già preannuncia la Vittoria”.
Marco Battistini