Roma, 27 feb – Il Parlamento sta preparando la nascita di due Csm: il Consiglio superiore della magistratura giudicante e il Consiglio superiore della magistratura requirente, presieduti entrambi dal Presidente della Repubblica.
Cosa cambia con la riforma della giustizia
Circa la composizione è previsto: un membro togato di diritto: rispettivamente, il primo presidente della Cassazione (Csm giudicante) e il procuratore generale della cassazione (Csm requirente); un terzo di membri laici estratti a sorte da un elenco predisposto dal Parlamento in seduta comune (professori ordinari di università in materie giuridiche e avvocati con almeno quindici anni di esercizio); due terzi di membri togati estratti a sorte tra tutti i magistrati: rispettivamente, tra i magistrati giudicanti (Csm giudicante) e tra i magistrati requirenti (Csm requirente); vicepresidente di ciascun Csm eletto dall’organo fra i componenti laici designati mediante sorteggio dall’elenco compilato dal Parlamento in seduta comune.
La durata dell’incarico, per i componenti designati mediante sorteggio, è di quattro anni e non possono partecipare alla procedura di sorteggio successiva; inoltre non possono, finché sono in carica, essere iscritti negli albi professionali né far parte del Parlamento o di un Consiglio regionale. È assai probabile che la scelta del sorteggio potrebbe complicare la vita alle strategie delle correnti della magistratura e che pertanto, le frange più attive del sindacalismo togato intravedano essenzialmente in questa novità il vero problema.
In merito alle competenze, spettano a ciascun Consiglio superiore della magistratura, secondo le norme sull’ordinamento giudiziario, le assunzioni, le assegnazioni, i trasferimenti, le valutazioni di professionalità e i conferimenti di funzioni nei riguardi dei magistrati. Altra novità sarà l’Alta Corte disciplinare che sostituisce i Csm in tema di provvedimenti disciplinari.
Tale organo è composto da 15 giudici: tre laici, nominati dal Presidente della Repubblica tra professori ordinari di università in materie giuridiche e avvocati con almeno venti anni di esercizio; tre laici estratti a sorte da un elenco di soggetti in possesso dei medesimi requisiti; sei magistrati giudicanti e tre requirenti, estratti a sorte tra gli appartenenti alle rispettive categorie con almeno venti anni di esercizio delle funzioni giudiziarie e che svolgano o abbiano svolto funzioni di legittimità
Il presidente è eletto tra i membri laici, cioè tra i giudici nominati dal Presidente della Repubblica o tra quelli estratti a sorte dall’elenco compilato dal Parlamento in seduta comune.
Quella magistratura che ha smarrito il suo ruolo
Il vero punto chiave della riforma della giustizia è dunque la proposta dei due Csm, che dovrebbero ovviamente non solo continuare a garantire l’indipendenza della magistratura nei confronti del potere esecutivo (un insospettabile Giovanni Falcone lo aveva ben sostenuto, come ultimamente Antonio Di Pietro) ma anche quella dei giudici dai Pm e viceversa. Il rischio è semmai il contrario, ossia rendere quella dei Pm una casta autoreferenziale di super-poliziotti requirenti, una sorte di “magistratura minore” ma di converso, ancora più specializzata sull’aspetto investigativo. La separazione delle carriere nella magistratura è un novum per un sistema processual-penalistico che fino al 1989 ha avuto ispirazione dal modello inquisitorio. L’unico Csm del 1948 era ovviamente concepito in quel vecchio modello che oggi occorre superare per rendere compiuta la scelta del modello procedurale accusatorio. In buona sostanza tutta la questione, al netto delle isterie di qualcuno, risiede nell’ambito di una “coerenza tecnica” di schemi che si sovrappongono. Un vulnus all’ordinamento costituzionale fu invece causato dalla modifica dell’art. 68. L’immunità parlamentare ante 1993 era un presidio costituzionale che dava equilibrio ai poteri dello Stato al netto degli abusi dei medesimi.
Davanti ad un potere giudiziario autonomo (perché si temeva che potesse essere usato dal governo di turno contro gli oppositori) agli occhi dei costituenti serviva un contrappeso per i parlamentari ed infatti era previsto che il Parlamento dovesse autorizzare sia l’inizio di indagini su un membro di un Camera sia il suo arresto in attuazione di una condanna definitiva.
Il populismo giustizialista che con “Mani Pulite” generò una sfiducia totale verso la “politica” in senso lato – e del quale per onestà intellettuale moltissimi furono allora vittime o opportunisti – ha prodotto quel conflitto di poteri che da trenta anni non trova ancora una “pace” vera. In attesa dello sciopero indetto dalla Anm, intanto la magistratura riflette su come comportarsi e come riportato da Il Dubbio: “La protesta proclamata non sta raccogliendo l’adesione unanime che qualcuno si aspettava…in molti ritengono che scioperare contro una prerogativa del Parlamento sia un atto politicamente azzardato, una mossa che rischia di esporre la magistratura a nuove critiche e di rafforzare la narrazione di chi la accusa di volersi porre al di sopra degli altri poteri. A rafforzare questi timori, secondo alcuni, è il modo in cui l’Anm sta gestendo la protesta. Non è passato inosservato, infatti, il tentativo di raccogliere in via preventiva i nominativi di chi parteciperà allo sciopero, attraverso un modulo che sembra rappresentare un deciso ‘invito’ ad aderire. Un modo per avere il controllo sulla situazione e prevenire un’adesione inferiore alle aspettative, che potrebbe trasformarsi in un’arma in mano all’esecutivo… Ma i timori più forti riguardano un tema ancora più delicato: il rapporto tra magistratura e opinione pubblica. «Non è solo una questione di poteri separati – afferma ancora un magistrato – il punto è che abbiamo perso credibilità. Non possiamo più illuderci di essere gli unici paladini della democrazia». E il giudizio diventa ancora più severo: «Abbiamo inseguito il consenso, dimenticando che gli umori cambiano. Abbiamo peccato di superbia, cercato visibilità e potere, difeso la categoria a oltranza senza mai riconoscere le nostre responsabilità. E, soprattutto, abbiamo smarrito il nostro ruolo: non ci siamo limitati ad applicare la legge alla luce della Costituzione, ma abbiamo cercato di piegarla ai nostri ideali». Un’accusa pesante, che il magistrato in questione pronuncia solo dietro garanzia di anonimato”.
Un sistema, quello sorto dalla Costituzione del 1948, già superato sotto vari profili ma che resta come vessillo emotivo per impedire qualsiasi volontà politica di cambiamento e di riforma.
Pietro Ferrari