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Le 5 canzoni degli 883 che meglio raccontano la provincia italiana

by Ilaria Paoletti
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Roma, 19 gen – Gli 883 di Max Pezzali sono innegabilmente uno dei gruppi più amati della storia musicale italiana e i critici con la puzza sotto il naso se ne facciano una ragione. Nazionalpopolari nelle loro esternazioni di “noia” provinciale da bar, irrimediabilmente anni novanta nella nostalgia di scooter e radio a mille watt che evocano e, soprattutto, incredibilmente “maschi” coi loro sogni bagnati di “tettone” a Barona e cubiste. Anche quando si tratta di amicizia, senso del gruppo e della fratellanza con buona pace di donne che, spesso, vogliono i protagonisti delle canzoni di Max Pezzali inquadrati, perfettamente inseriti nella grigia vita matrimoniale e provinciale. Oggi analizzeremo i cinque pezzi in cui la band di Max Pezzali – e non dimentichiamo Mauro Repetto – ci ha raccontato la provincia italiana.

5) “Weekend” (1993) – Pare di vederli: un gruppo di ragazzi di una qualsiasi provincia metafisica italiana, annoiarsi al bar di fiducia di domenica, ancora in hangover dalla sera prima. La noia e lo sconforto post adolescenziale dopo il sabato sera in cerca di “svolte” andate a vuoto (sessuali e non, coi due di picche “presi anche dalla cassiera”) e una manciata di parole gettata ad esprimere il disgusto giovanilista per la piccola città con un “fegato spappolato” lasciato sottinteso, un Max Pezzali meno spaccone del collega di Zocca ma più attento all’ambiente circostante: “Tanti uomini con le radioline,
mogli incazzate di fianco / Mille vasche in corso avanti e indietro, torniamo al bar che sono stanco”. Sembra una previsione di un futuro che rifiutano, in attesa del prossimo weekend, “convinti che sarà il migliore dei weekend”.

4) “Jolly blue” (1992) – Questo pezzo nonostante i riferimenti territoriali, potrebbe essere una storia di qualsiasi provincia italiana. Il gruppo di amici pre adolescenti o quasi tali che ruotano attorno alla “sala giochi piena di giochi”, i primi incontri pudici con le femmine, la discoteca pomeridiana, pochi soldi, tanti amici. Il ricordo non si esaurisce nel presente e Max traccia una netta linea tra gli amici che sono rimasti fedeli all’ideale del passato e quelli che, invece, superando la sindrome di Peter Pan sono diventati adulti: quelli con le automobili “sempre lucide e perfette”, regolari e pronti al matrimonio che guardano gli “sfigati” dall’alto in basso. Ma gli “sfigati” hanno solo scelto di non dimenticare ciò che li ha sempre resi felici, l’amicizia, la moto e l’esaltarsi “per un niente basta che si divertente”, che poi forse è la summa teologica di Max Pezzali.

3) “La regina del Celebrità” (1999) – I cantautori di una certa “caratura”, proiettati fuori dal centro e cittadini del mondo hanno come muse ispiratrici poetesse, attrici e donne angelicate. Max Pezzali, invece, fedele alle radici nazionalpopolari, investe con tutta la sua idealizzazione propria dell’amor de lonh dei poeti medievali, chi altri se non la cubista della sua discoteca preferita. Dobbiamo immaginare un piccolo Max con i suoi amici che fanno il grande salto dalla discoteca di pomeriggio alla scintillante parata di quella serale. E nel ricordo, ecco apparire la bellissima regina del Celebrità dal buio nelle luci strobosferiche di una discoteca di provincia. E poi c’è il tocco di dolcezza e sentimentalismo del “bravo ragazzo”: anni dopo Pezzali, proprio perché la città è piccola, rincontra l’irraggiungibile Regina durante una passeggiata in centro, in cui viene a conoscenza con piacere che la donna è sposata e ha un figlio. Niente donne maledette, niente strani sconvolgimenti: nella piccola città di Pezzali anche le cubiste hanno un cuore.

2) “Cumuli” (1993) – Negli anni della crescita di Pezzali nei piccoli centri italiani non tutti vivevano con spensieratezza e con una scrollata di spalle il tedio provinciale. Molti, come d’altronde molte altre controparti dei grandi centri, sono caduti nel tunnel della droga. Max, di nuovo, ricorda l’arcadia dei bei tempi andati, le corse in moto, i “carnevali a uova e farina” e l’importanza della compagnia degli amici – tema ricorrente – in contrapposizione alla figura distante delle donne. Ma un amico si perde per strada, in “cumuli” di droga, viene strappato da questo mondo alla ricerca di qualcosa che riempia il suo vuoto interiore. E qui Pezzali, il buon Max, il bravo ragazzo tutto bar, moto e amici, al ritorno dell’amico sorprendentemente esce dallo schema che vuole nei piaceri della vita del piccolo centro tutte le soluzioni: tutti abbiamo un vuoto dentro, tutti ci “sbattiamo” per chiuderlo, mentre invece dovremmo conviverci.

1) “Con un deca” (1992) – Gli 883 secondo molti, in virtù del successo commerciale e dell’aria “disimpegnata” sarebbero stati un gruppo leggero: quando si parla di narrazione della quotidianità di un centro di ridotte dimensioni spesso si fa ricorso alle vie “tra la Emilia e il West” di Guccini o ai fumosi “Bar Mario” delle notti di Ligabue. Ma è “Con un deca” la canzone che, da nord a sud, parla in maniera puntuale del tedio delle notti senza scampo di paese, della mentalità spesso gretta di chi circonda i giovani. I giovani privi di sbocchi economici, “con un deca” in tasca, appunto, “costretti” a girare in auto in cerca di una novità e che si ritrovano sempre sugli stessi palcoscenici. In una narrazione di insegne al neon di negozi e distributori automatici nelle tenebre alla Edward Hopper, Pezzali dipinge a tinte fosche l’uggia esistenziale di una serata senza opportunità o divertimento di un gruppo di ragazzi. E non offre soluzioni: questa volta non c’è idealizzazione, non c’è consiglio o miraggio. “Guarda di là quei cani che ululano per una femmina che dice di no adesso vanno in giro a fare gli eroi poi torneranno a casa un po’ come noi”: il tono dark dell’autore pavese è sorprendentemente cinico ma è certamente il più autentico.

Ilaria Paoletti

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6 comments

Roberto 19 Gennaio 2019 - 12:18

Non credo che lei capisca molto di musica, non credo che abbia mai preso in mano uno strumento o letto una partitura. Quella degli 883 è musicaccia, al limite della cacofonia, così come Jovanotti Antonacci Ligabue e compagnia gracchiante, non è questione di puzza sotto il naso. Se a lei piace ascoltare quella roba fatti suoi, ma non giudichi chi invece quelle banalità musicali le detesta.

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Michele 20 Gennaio 2019 - 7:47

Roberto le risponderei come alla telefonata del socio Aci interpretato da Carlo Verdone…ah,suono il sassofono,ho frequentato il conservatorio.bastava anche meno per notare come si stiano analizzando i testi degli 883 senza citare mai la musica.Come autore o paroliere max Pezzali è ampiamente sottovalutato

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Roberto 20 Gennaio 2019 - 11:30

Buono, quindi se sei un musicista credo che non puoi che concordare con me che quella degli 883 è spazzatura musicale. Non essendo totalmente stupido ho ben capito che l’articolo analizzava i testi più che la musica, ma esordisce dicendo che gli 883 sono uno dei gruppi più amati della storia della musica italiana, anzi lo sono “indubbiamente” e questo è tutto da dimostrate e coloro che non li apprezzano sono degli snob con la puzza sotto il naso, a questo si deve la mia replica. Per alcune persone la musica è una cosa molto importante, penso tu lo capisca, e ne hanno le palle piene di questa decadenza del gusto, chi se ne fotte se sono “nazional popolari”.

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luis r. 21 Gennaio 2019 - 10:52

Weekend: quando la ascoltavo mi sono sempre detto: “gli 883 sono venuti da noi e hanno visto come viviamo le domeniche”: la noia, la vasca in centro alla ricerca di compagnia femminile che puntualmente non si trova, la solita partita di calcio, la frustrazione di un altro weekend perso nel nulla

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luis r. 21 Gennaio 2019 - 11:16

Weekend. Quando lo ascoltavo mi sono sempre detto: “Max è venuto nel nostro bar, ha visto come viviamo e ha messo tutto in musica!”. La stessa disillusione, l’attesa, la vasca in centro, la partita di calcio, la consapevolezza di un weekend pieno d’illusioni e begli incontri che svanisce. È lo davvero uno spaccato d’epoca e uno stile di vita.

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Ecco perché il gruppo degli 883 sarà sempre uno dei più amati in Italia 21 Gennaio 2019 - 2:09

[…] “Guarda di là quei cani che ululano per una femmina che dice di no adesso vanno in giro a fare gli eroi poi torneranno a casa un po’ come noi”: il tono dark dell’autore pavese è sorprendentemente cinico ma è certamente il più autentico. Fonte Il primato nazionale […]

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